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LEZIONI DALLA STORIA
tratto dal n. 04 - 2009

«Gli uomini han più bisogno di costumi che di leggi»


Così affermava Bernardo Tanucci, ministro di Ferdinando IV Borbone: legislatore saggio, che per quarant’anni tenne il timone del Regno di Napoli


di Benedetto Cottone


Bernardo Tanucci

Bernardo Tanucci

Nessun popolo, nessuna nazione, nessuna società possono vivere senza le leggi; anche una banda di malfattori, all’interno di sé stessa, ha delle leggi. La legge regola il comportamento dell’uomo nella comunità, nell’interesse di ciascuno e di tutti. La legge è «la regina di tutte le cose»: così cantava Pindaro; e Benedetto Spinoza argomentava che, non essendo l’uomo nato per vivere in comune, è soltanto la legge che può abituarlo ad adattarvisi. La legge dunque è necessaria per la convivenza civile.
Wolfgang Goethe, come si sa, fece il suo celebre saggio Viaggio in Italia in incognito, anche se non sempre riuscì a celare la sua identità. Dopo essersi fermato per più di tre mesi a Roma, proseguì il suo viaggio per la penisola e arrivò a Napoli. Qui conobbe molti personaggi italiani e stranieri, e tra questi Gaetano Filangieri, il famoso autore dell’opera La scienza della legislazione.
Goethe racconta che in casa di lui, il venerdì 9 marzo 1787, incontrò una signora che lo colpì per il suo aspetto piuttosto eccentrico e bizzarro, e ne copre il nome con tre asterischi. Questa «graziosa donnina» lo invitò a pranzo a casa sua, e fu così che la sera di lunedì 12 marzo, Goethe si trovò a tavola, seduto tra Filangieri e l’ospite padrona di casa, e con alcuni monaci benedettini seduti di fronte a loro. La «donnina», racconta sempre Goethe, non cessava mai di parlare, tormentando soprattutto, in modo inverecondo e con malizia, i monaci benedettini. A un tratto, rivolta a Goethe, disse: «Che diavolo avete detto col Filangieri? Gran brav’uomo, eh! Ma si dà troppo da fare. Quante volte non gli ho detto: se voi altri fate delle leggi nuove, noi non finiremo più di stancarci per trovare subito il mezzo di trasgredirle, mentre per le leggi vecchie abbiamo già trovato il rimedio». A queste parole, riportate dal suo racconto, Goethe fa seguire il seguente commento: «Certe cose possono essere tollerate nel vivo della conversazione, specialmente se pronunziate da una bella bocca, ma a metterle nero su bianco non piacciono nemmeno a me; l’insolenza ha questo di particolare, che lì per lì piace perché stordisce, ma a raccontarla ci offende e ci ripugna».
Ma di leggi ce n’è una varietà innumerevole: leggi agrarie, leggi finanziarie, leggi sanitarie, leggi militari, leggi scolastiche... «Plurimae leges pessima res publica», massima questa accreditata da tanti filosofi e giuristi, e pertanto necessaria di volta in volta una salutare potatura, come quella attuata dall’imperatore Giustiniano che riuscì saggiamente, attraverso una commissione di rinomati giuristi presieduta da Triboniano, a «trarre d’entro le leggi il troppo e il vano».
Di tutte le leggi, quelle che, di solito, sono pregiudizialmente considerate esose e vessatorie sono le fiscali, che impongono tasse e imposte ai contribuenti, pur essendo necessarie.Tra i tanti legislatori saggi e famosi, ce n’è uno, forse meno che famoso, ma non per questo meno benemerito, che si chiama Bernardo Tanucci. Era impegnato a insegnare Giurisprudenza all’Università di Pisa, quando accettò l’invito del re don Carlos di Borbone a trasferirsi a Napoli, dove nel 1752 fu subito nominato ministro della Giustizia prima, e poi ministro degli Esteri del Regno borbonico; in ultimo, per molti anni, fu primo ministro con il re Ferdinando IV, il quale lo idolatrava al punto da consegnargli un timbro con il fac simile del suo nome con cui siglare, in vece sua, tutti gli atti governativi. Lo stesso Ferdinando IV, alla fine, si decise a destituirlo nel 1776 per le continue insistenze di licenziarlo di sua moglie Maria Carolina, che detestava Tanucci perché non le permetteva di occuparsi degli affari dello Stato.
Tanucci governò senza servirsi di molte leggi: «Gli uomini hanno bisogno più di costumi che di leggi», soleva dire; ma soprattutto in campo fiscale si guardò bene dal tosare le pecore fino a scorticarle.
Sulla lapide della sua tomba in San Giovanni dei Fiorentini a Napoli sono incise queste parole: «Cum per annos plusquam quadraginta huius Regni clavum moderasset, vectigal nullum usquam imposuit» (quantunque avesse tenuto il timone di questo Regno per più di quarant’anni non impose mai alcun tributo!). E dove si trova un altro Bernardo Tanucci?!


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