VENT’ANNI DOPO. Dal crollo del Muro alla crisi globale
L’89 secondo Marx
Credere che da lì sarebbe rinata la fede è stata un’illusione. E l’ideologia messianica neoliberista ha aumentato le povertà. Intervista con Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, che del suo famoso omonimo dice…
Intervista con Reinhard Marx di Gianni Valente
Vent’anni possono essere un tempo sufficiente per
riguardare i fatti del passato con realismo. Il passare del tempo fa decantare
le emozioni, aiuta a prendere le giuste distanze dai trucchi della propaganda
e dalle precomprensioni ideologiche di quello che succede.
Vent’anni fa, il crollo del Muro di Berlino fu salutato da molti come l’avvento di una nuova era. Anche nella Chiesa, quel passaggio di potere mondano venne letto in chiave mistica, come preludio di un tempo di rinascita spirituale e materiale per i popoli d’Europa.
Alla luce di quello che è successo dopo, forse sarebbe stato meglio essere più sobri. Parola di Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga.
Il 9 novembre di vent’anni fa cadeva il Muro di
Berlino. Lei ricorda cosa stava facendo, in quel momento?
REINHARD MARX: Ricordo molto bene quel giorno. Con gli studenti avevamo fatto un pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Stavamo tenendo un incontro serale al Sozialinstitut per riparlare di quelle belle giornate. Vedemmo in televisione le immagini di quanto stava succedendo a Berlino. Capii subito che era un evento storico. Ero emozionato, anche perché avevo fatto tante volte viaggi nella Ddr: a quel tempo, la diocesi di Paderborn, a cui appartenevo, si estendeva fino al territorio di Magdeburgo, nella Germania dell’Est. Avevamo dunque una stretta relazione con il clero di lì, io stesso avevo fatto avanti e indietro, anche con un po’ di paura, perché non poche volte avevo portato di nascosto dei libri da distribuire. Pochi giorni dopo la caduta del Muro, vennero proprio dei sacerdoti dell’Est, e facevano domande politiche e sociali. Chiedevano se con quello che era successo si sarebbe arrivati presto alla riunificazione della Germania. Io rispondevo di sì. Era una cosa desiderata da tanto tempo, ma non avevo mai pensato che sarebbe arrivata così in fretta.
Dopo il crollo del comunismo, negli anni Novanta iniziarono a circolare le teorie delle scuole economiche liberiste. Annunciavano la progressiva e inarrestabile acquisizione di una condizione di benessere universale e consumistico per tutti i popoli e le nazioni. Fukuyama preconizzava la fine della storia. Poi, com’è andata a finire?
MARX: Ricordo Bush senior che diceva che dopo la caduta del Muro e il crollo del comunismo c’era la possibilità di costruire un Nuovo ordine mondiale. Giovanni Paolo II, già nel ’91, nella Centesimus annus, avvertì che l’ideologia capitalista radicale non avrebbe aperto la strada del futuro. E che serviva un’economia di mercato eticamente avvertita, orientata verso il bene comune globale. Di fatto, proprio quell’ideologia capitalista radicale è diventata modello sociale. È prevalsa la visuale stretta che lascia al mercato il monopolio di tutte le relazioni umane. E questo ha portato il mondo in un vicolo cieco. Se adesso si riguarda indietro, ai pensieri e agli slogan di vent’anni fa, che enfatizzavano l’emergere di un nuovo ordine sociale dopo la fine del comunismo, si può dire con certezza che il primo tentativo è fallito.
Come pastore, concretamente, dove ha visto e percepito per la prima volta l’inganno dell’utopia liberista?
MARX: I problemi sociali delle persone concrete, come la disoccupazione, me li trovavo davanti anche prima, da tanto tempo. Già quando ero vescovo a Treviri, insieme alle grandi agenzie caritative, avevamo preso iniziative a favore delle famiglie per frenare gli effetti dell’impennata della disoccupazione. Ma adesso c’è una radicalizzazione, coi lavori precari che coinvolgono una fascia di lavoratori in continua crescita o con quello che succede ad esempio nel campo dell’assistenza sanitaria, dove un’applicazione dogmatica della deregulation e della privatizzazione ha aumentato l’insicurezza delle famiglie, la loro difficoltà reale a rimanere sopra gli standard della mera sopravvivenza. Nelle mense gestite dagli istituti caritativi si presentano anche in Germania interi nuclei familiari che prima appartenevano alla classe media. E tutto quello che si è detto e fatto dal 2000 a oggi ha dato solo risposte illusorie e apparenti, senza che si cercassero davvero le soluzioni ai problemi reali. Il mondo perfetto non ci sarà mai. Questo un vescovo lo sa bene. Ma certo questo “turbocapitalismo” globale ha portato un deterioramento delle condizioni quotidiane di vita di milioni di persone.
Il crollo del Muro segnava il fallimento storico del comunismo. Eppure lei nel suo libro Il capitale rileva come la situazione globale che abbiamo sotto gli occhi oggi confermi alcune previsioni di Karl Marx sulle dinamiche del capitalismo.
MARX: Nell’analisi del liberalismo e del capitalismo alcune cose Karl Marx le ha riconosciute per quello che erano. E certe sue analisi funzionano anche per cogliere le dinamiche del momento presente. Ad esempio la globalizzazione dei capitali, la riduzione del lavoro a merce su scala mondiale. La terapia che proponeva era sbagliata. La sua concezione materialistica dell’uomo, più che essere in contrasto con la visione dell’antropologia cristiana, non corrisponde al dato della realtà. D’altro canto, questo vale anche per l’altra immagine materialistica, quella trionfante veicolata dall’ideologia capitalista, per cui l’unico uomo reale sul piano dell’esistente è l’homo oeconomicus, l’uomo come funzione dei processi economici, e il resto sono inezie accidentali e ridondanti.
Dunque Karl Marx non aveva tutti i torti. Senza entrare nel gioco delle riabilitazioni fittizie, i suoi strumenti di analisi dell’economia capitalista possono servire per uno sguardo realista e concreto sul presente?
MARX: Forse non c’era nemmeno bisogno di Karl Marx per cogliere queste dinamiche. Non era questa la sua originalità. In quel momento, c’erano anche esponenti della dottrina sociale cristiana che avevano raggiunto lo stesso livello di disamina critica dei meccanismi del capitalismo, e di dove tali meccanismi avrebbero portato, se lasciati senza freno. Ma certo, dove Marx ha ragione, bisogna dargliela.
Alcuni politici, nella ricerca di strade per uscire
dalla crisi, stanno proponendo anche modifiche strutturali nei processi
economici e nei rapporti tra capitale, lavoro e produzione. In Italia, il
ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha avanzato l’ipotesi
della compartecipazione degli operai agli utili delle aziende. Lei cosa
pensa di proposte del genere?
MARX: Questo è un criterio già preso in considerazione dalla dottrina sociale cattolica più tradizionale. Io sono favorevole a verificare i vari modelli della compartecipazione dei lavoratori, ma occorre definirli in termini precisi. Perché in un’economia globale, dove c’è una flessibilità enorme, non è facile stabilire le modalità con cui il lavoratore può compartecipare ai bilanci dell’azienda. Ad esempio, se il lavoratore deve partecipare anche alle perdite, questo potrebbe mettere a rischio la sua stessa esistenza. Questo vuol dire che il salario non può certo essere totalmente assorbito dalla partecipazione. La partecipazione deve essere definita come un surplus rispetto al salario base garantito, in modo che non ci sia il rischio per i lavoratori di rimanere sul lastrico perdendo un salario che a loro è necessario per vivere. Certo, occorre favorire in ogni modo possibile che il lavoratore si senta coinvolto nelle MARX: In Germania tutte le forze politiche affermano di ispirarsi al modello dell’economia sociale di mercato. Ma negli ultimi tempi si è visto che ci sono interpretazioni diverse di questo modello. E certo, rispetto a prima, lo Stato sociale si è indebolito. Adesso sembra quasi che sia diventato un impaccio e un problema, e invece è parte della soluzione del problema. Si è visto bene che, nel momento acuto della crisi, la Germania ha retto proprio grazie allo Stato sociale che funziona: l’assicurazione per i disoccupati, la cassa integrazione, i sostegni per chi ha lavori saltuari, l’assistenza sanitaria pubblica. Grazie a questi strumenti si sono evitati i contraccolpi subiti dalla popolazione nei Paesi che hanno ridotto al minimo o smantellato del tutto la rete di garanzie sociali. E non mi convince affatto chi dice che la spesa per lo Stato sociale si può diminuire perché “da noi non fa la fame nessuno”. Lo trovo primitivo. In situazioni di totale assenza di giustizia sociale, l’assicurare il cibo per tutti poteva essere un obiettivo minimo da raggiungere, ma certo, questa non è una vita degna di un essere umano. E quindi direi che per quelli che in Germania ritengono che bisogna abolire lo Stato sociale, le chance di prevalere sono decadute, per il momento. Attendiamo.
Non c’è niente da rivedere, da cambiare? Ci si espone alla critica di coltivare nostalgie stataliste e assistenzialiste ormai fuori tempo.
MARX: Certo, nelle cose politiche e sociali tutto è dinamico e può essere migliorato e adattato alle nuove esigenze, ci mancherebbe altro. Anche la Conferenza episcopale tedesca ha suggerito l’utilità di un rinnovamento dello Stato sociale. Per esempio, investendo nella formazione e nella qualificazione professionale. Non si tratta solo di trasferire somme di denaro da qua a là, ma di dare a tutti la possibilità di aggiornare la propria formazione e dunque di non essere emarginati dalla vita sociale. Oppure affrontando davvero la questione degli immigrati. È un problema sociale enorme. In Germania come in Italia si è un po’ dormito su questo punto. Non si è focalizzato il fatto che i maggiori fattori di integrazione sono il lavoro e la scuola. Bisogna dire con chiarezza che siamo un Paese di nuova immigrazione e che siamo felici di esserlo, siamo felici che la gente venga qui, altro che chiudere la strada a queste persone. Parliamoci chiaro: in un Paese con questi tassi demografici, siamo contenti di vedere gli immigrati che hanno figli. E lo Stato sociale svolge un ruolo decisivo nei processi di integrazione.
Nella Chiesa, riguardo ai fatti dell’89, fu enfatizzato il protagonismo di personaggi legati alle diverse comunità ecclesiali. E quel passaggio storico, quel cambio di scenario storico-politico, fu vissuto e descritto da molti come la premessa di un rifiorire della fede e della Chiesa come forza sociale.
MARX: Quella è stata un’illusione. Il fatto di pensare: impegniamoci per la svolta, e poi le persone, per ringraziarci, diventeranno cristiane e torneranno nelle chiese, è stata un’illusione. Perché diventare cristiani è un regalo. Io non posso comprare la fede, non posso neanche pensare di catturare l’interesse di qualcuno per la fede attraverso performance politiche, come sembrano credere alcuni. Ricordo che ancora al tempo del comunismo, parlavo con dei preti polacchi, che si chiedevano: che cosa accadrebbe se da noi si vivesse come da voi? Gli risposi che avrebbero avuto gli stessi problemi nostri. In una società libera come quella in cui viviamo, si diventa cristiani solo per una grazia. E questa è la condizione che dobbiamo augurarci. Ma nella Chiesa alcuni non lo capiscono. Non vogliono capire che nella condizione in cui siamo si diventa cristiani solo così: che la gente guarda i cristiani, e vede che la fede è un dono, una ricchezza, che va ben al di là di tutto quello che possiamo fare noi, e chiede di godere della stessa ricchezza. Per questo la liturgia è così importante.
In alcuni circoli, soprattutto quelli neoconservative statunitensi, hanno saputo far fruttare in termini di politica (anche di politica ecclesiastica) l’euforia dell’89…
MARX: Bisogna sempre ripeterlo chiaramente: la Chiesa non è contro il mondo moderno, la libertà, la democrazia, il pluralismo. Come se fosse meglio che queste cose non ci fossero. Ma questo non c’entra nulla con il ridurre il cristianesimo a ideologia religiosa di supporto all’economia di mercato. Riguardo ai cosiddetti neoconservative, su alcune questioni come quelle della difesa della vita e della famiglia sono pienamente in linea con la Chiesa. Ma non capisco come ci si può definire neoconservatori e porre tutta la fiducia nel modello capitalista. Il capitalismo è dinamico, non è conservativo, è molto progressivo. Non conserva le situazioni sociali e culturali così come le trova, le modifica e spesso le stravolge, introducendo nuovi paradigmi e cliché. Invece si vede spesso questa specie di patto che lega quelli che coltivano valori tradizionalisti di conservazione e il capitalismo. Ma sono cose che non stanno bene insieme.
Lei scrive nel suo libro che la Chiesa è stata
condotta anche dalle vicende della storia a modificare il proprio magistero
sociale. Può fare esempi concreti di questi casi di
discontinuità, e di come sono stati in qualche modo favoriti da
contingenze storiche anche ostili?
MARX: Per esempio si pensi all’inizio del XIX secolo. In Europa si avvertiva il senso di un crollo di tutte le strutture ecclesiastiche. L’opinione pubblica delle classi colte e anche i grandi movimenti popolari apparivano ispirarsi a filosofie e concezioni ostili nei riguardi della Chiesa. E la Chiesa reagiva, davanti a questa situazione di ostilità generalizzata, con dei rifiuti e delle condanne che toccavano anche i nuovi fenomeni legati alla crescita della base democratica della vita sociale. C’è voluto del tempo prima che si accettassero i criteri moderni della democrazia, della libertà di coscienza, della libertà religiosa. Su questi punti c’è stato un cambiamento progressivo. E questo può accadere su questioni sociali e politiche. Per esempio su cosa vuol dire Stato sociale, sui rapporti tra Chiesa e Stato, sui rapporti tra lavoro e capitale, sui sindacati… Anche la Chiesa impara nel corso del tempo. Impara anche ad avere un poco di umiltà. Ecclesia audiens, non solo docens.
Vorrei sottoporle qualche domanda sulla Chiesa tedesca. Sul momento che sta vivendo. E in che termini la sua condizione è stata descritta alla recente assemblea episcopale di Fulda.
MARX: Negli ultimi trenta anni abbiamo vissuto un grande cambiamento. Non tanto nel senso che tutti oggi fanno a gara a ripetere a pappagallo che la Germania non è più cristiana. Su questo punto della fede, ad esempio, c’è una grande differenza tra Est e Ovest. Molto si è uniformato a tutti i livelli tra i länder dell’Est e quelli dell’Ovest, ma non su questo punto. A Est i non battezzati sono l’ottanta per cento della popolazione, a Ovest invece più dell’ottanta per cento sono battezzati. Siamo di fronte a una società simile a quelle in cui sono immerse tutte le Chiese nell’Europa di oggi: società liberali, plurali, aperte. Non abbiamo mai avuto una situazione così. Tutti gli strati sociali possono scegliere quello che vogliono, quale religione professare, quante volte sposarsi, anche cinque o sei. È un sentiero inedito, vertiginoso, e per le singole parti coinvolte, anche per i vescovi, può essere faticoso e doloroso. Ma non lo attraverseremo in virtù di slogan sulla cattiveria della società, o sui presunti errori fatti dal Papa, o sul celibato sacerdotale e altre questioni secondarie. Tutte queste cose servono solo a nascondere e a sfuggire l’unica domanda importante. Cioè, che cosa vuol dire essere cristiani oggi. Che cosa vuol dire che seguire oggi Gesù è un guadagno dell’altro mondo, una vincita enorme per la propria vita.
Viene spesso criticata, da varie parti, la struttura possente della Chiesa tedesca, per il numero dei laici che vi lavorano stipendiati e avendo ruoli di responsabilità nelle diocesi, per i legami strutturali con lo Stato e con le istituzioni civili. L’emblema di questo modello è la tassa sulla Chiesa. Nell’ultimo anno 120mila persone hanno chiesto di uscire dalla Chiesa pur di non pagarla. Secondo lei questo modello è in crisi? Questo modus essendi della Chiesa è causa della secolarizzazione?
MARX: È una questione delicata. Sui motivi della crisi ci sono molte parole e molte opinioni. Per esempio la Fraternità lefebvriana di San Pio X ci dice: c’è la scristianizzazione perché la Chiesa non è come noi la vorremmo, per questo tutti vanno via. Se voi foste come noi tornerebbe tutto a posto. Il movimento “Noi siamo Chiesa” dice esattamente il contrario: c’è la crisi perché non abolite il celibato ecclesiastico, se voi foste più moderni le cose non andrebbero male. Un terzo gruppo dice: basta abolire la tassa sulla Chiesa, così nessuno andrà più via per non pagar pegno. Insomma, non c’è una diagnosi omogenea. Personalmente non ritengo sbagliato il fatto che le persone siano chiamate a decidersi, a dire: «Sì, io faccio parte della Chiesa, e sono disposto a pagare per sostenere le sue opere». Certo, molto è migliorabile, ma io non penso che questo sistema sia superato. E non capisco gli osservatori stranieri che giudicano queste cose senza considerare in quale tradizione e in quale percorso storico si è sviluppato questo modello. Ogni Chiesa ha le sue vicende particolari, la sua storia particolare, e occorre tenerne conto e rispettarla. La Chiesa non è un’idea, è una comunità visibile. E poi la tassa la paga solo chi gode di un reddito da lavoro, ossia un terzo della popolazione, ed è proporzionata al reddito.
Che sviluppi ha avuto a Monaco la vicenda lefebvriana?
MARX: Io sono dell’idea che bisogna essere magnanimi anche nel concedere il rito straordinario. Trovo che quello che ha fatto il Papa è stato molto saggio. Adesso nessuno ha più bisogno di andare dai lefebvriani per prendere parte a messe con il rito antico. Devo dire che nella nostra diocesi i numeri di chi partecipa alle messe col rito antico sono molto ridotti. E comunque io tengo a che le nostre funzioni domenicali siano celebrate in modo liturgicamente corretto. Come ha detto una volta il Papa, sulla liturgia si decide il destino della Chiesa. Se la messa non è celebrata bene, non servono a niente tutti i nostri discorsi, i nostri pronunciamenti, le nostre encicliche.
Il prossimo anno cattolici e protestanti tedeschi si
incontreranno qui a Monaco per il Kirchentag. Che rapporto reale
c’è coi luterani?
MARX: Tra poche settimane ricordiamo i dieci anni dalla Dichiarazione congiunta sulla giustificazione. E anche nell’ecumenismo bisogna avere pazienza. Se penso a quello che si è raggiunto in Germania negli ultimi cinquanta anni, non si può dire che sia roba da poco. Mi è piaciuta l’immagine usata riguardo all’ecumenismo dal cardinale Lehmann: quando si sale in montagna, l’ultimo tratto prima di arrivare in cima è sempre il più faticoso. Ci vuole pazienza, e a volte bisogna magari passare la notte in montagna.
Teme, come in altre occasioni, polemiche o gesti plateali sul tema dell’intercomunione?
MARX: Sono già d’accordo con il vescovo protestante. Lui riconosce con me che se celebrassimo insieme l’Eucaristia saremmo già in perfetta comunione e non ci sarebbe più bisogno dell’ecumenismo. Fino a quando non saremo veramente uniti, l’intercomunione sarebbe un segno sbagliato, senza fondamento, fatto per le televisioni, inseguendo la logica dell’evento spettacolare. E causerebbe alla fine nuove divisioni e irritazioni tra cattolici, protestanti e ortodossi. Spero invece che il Kirchentag ecumenico sia un segnale per la società che noi cristiani siamo uniti nella fede. Noi confessiamo insieme la fede nel Dio Uno e Trino, nel cui nome riceviamo il battesimo. Non mi sembra una cosa da poco. Davanti al mondo dobbiamo confessare insieme questa fede comune, e non mettere in mostra i nostri litigi.
Lei prima ha parlato dell’integrazione degli immigrati. In Germania la minoranza turca è imponente. Ma la Chiesa non ha alzato barricate contro le moschee.
MARX: La Conferenza episcopale tedesca ha pubblicato un documento sulla costruzione delle moschee che ha suscitato delle critiche. La linea principale è questa: se abbiamo tra noi numerose persone di fede musulmana, queste persone hanno il diritto di vivere la loro religione in modo dignitoso, nel rispetto delle leggi dello Stato. Certo, noi stiamo attenti a far in modo che la moschea non venga costruita accanto alla cattedrale, magari cento metri più alta. Ma a evitare questo ci pensano i responsabili dei beni culturali.
Il suo motto è Ubi Spiritus Domini, ibi libertas. Dov’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà.
MARX: Mi ha sempre fatto arrabbiare il fatto che la libertà venga contrapposta alla predicazione della Chiesa. E che tanti pensano che Chiesa e libertà siano incompatibili. È un’espressione-chiave di san Paolo. La questione su cosa vuol dire libertà sarà cruciale nel tempo che abbiamo davanti.
L’equivalenza contenuta nel suo motto è da tener presente anche per le vicende della Chiesa di oggi?
MARX: Libertà significa scegliere il bene in libertà. E nella Chiesa vale la stessa cosa. La frase più libera che un uomo può pronunciare è «ti amo». E quando la si è pronunciata, in qualche modo si dipende dall’oggetto del proprio amore. Questo vale nel matrimonio, nella vita sacerdotale, vale per ogni battezzato che alla domanda di Gesù: «mi ami tu?», risponde: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene». E anche nella Chiesa, è per quell’amore che si può vivere nella libertà.
Vent’anni fa, il crollo del Muro di Berlino fu salutato da molti come l’avvento di una nuova era. Anche nella Chiesa, quel passaggio di potere mondano venne letto in chiave mistica, come preludio di un tempo di rinascita spirituale e materiale per i popoli d’Europa.
Alla luce di quello che è successo dopo, forse sarebbe stato meglio essere più sobri. Parola di Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga.
L’arcivescovo Reinhard Marx accolto dai bambini dell'asilo di San Giuseppe, nella parrocchia Pietro e Paolo, a Monaco, il 30 gennaio 2008 [© Katharina Ebel/KNA-Bild]
REINHARD MARX: Ricordo molto bene quel giorno. Con gli studenti avevamo fatto un pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Stavamo tenendo un incontro serale al Sozialinstitut per riparlare di quelle belle giornate. Vedemmo in televisione le immagini di quanto stava succedendo a Berlino. Capii subito che era un evento storico. Ero emozionato, anche perché avevo fatto tante volte viaggi nella Ddr: a quel tempo, la diocesi di Paderborn, a cui appartenevo, si estendeva fino al territorio di Magdeburgo, nella Germania dell’Est. Avevamo dunque una stretta relazione con il clero di lì, io stesso avevo fatto avanti e indietro, anche con un po’ di paura, perché non poche volte avevo portato di nascosto dei libri da distribuire. Pochi giorni dopo la caduta del Muro, vennero proprio dei sacerdoti dell’Est, e facevano domande politiche e sociali. Chiedevano se con quello che era successo si sarebbe arrivati presto alla riunificazione della Germania. Io rispondevo di sì. Era una cosa desiderata da tanto tempo, ma non avevo mai pensato che sarebbe arrivata così in fretta.
Dopo il crollo del comunismo, negli anni Novanta iniziarono a circolare le teorie delle scuole economiche liberiste. Annunciavano la progressiva e inarrestabile acquisizione di una condizione di benessere universale e consumistico per tutti i popoli e le nazioni. Fukuyama preconizzava la fine della storia. Poi, com’è andata a finire?
MARX: Ricordo Bush senior che diceva che dopo la caduta del Muro e il crollo del comunismo c’era la possibilità di costruire un Nuovo ordine mondiale. Giovanni Paolo II, già nel ’91, nella Centesimus annus, avvertì che l’ideologia capitalista radicale non avrebbe aperto la strada del futuro. E che serviva un’economia di mercato eticamente avvertita, orientata verso il bene comune globale. Di fatto, proprio quell’ideologia capitalista radicale è diventata modello sociale. È prevalsa la visuale stretta che lascia al mercato il monopolio di tutte le relazioni umane. E questo ha portato il mondo in un vicolo cieco. Se adesso si riguarda indietro, ai pensieri e agli slogan di vent’anni fa, che enfatizzavano l’emergere di un nuovo ordine sociale dopo la fine del comunismo, si può dire con certezza che il primo tentativo è fallito.
Come pastore, concretamente, dove ha visto e percepito per la prima volta l’inganno dell’utopia liberista?
MARX: I problemi sociali delle persone concrete, come la disoccupazione, me li trovavo davanti anche prima, da tanto tempo. Già quando ero vescovo a Treviri, insieme alle grandi agenzie caritative, avevamo preso iniziative a favore delle famiglie per frenare gli effetti dell’impennata della disoccupazione. Ma adesso c’è una radicalizzazione, coi lavori precari che coinvolgono una fascia di lavoratori in continua crescita o con quello che succede ad esempio nel campo dell’assistenza sanitaria, dove un’applicazione dogmatica della deregulation e della privatizzazione ha aumentato l’insicurezza delle famiglie, la loro difficoltà reale a rimanere sopra gli standard della mera sopravvivenza. Nelle mense gestite dagli istituti caritativi si presentano anche in Germania interi nuclei familiari che prima appartenevano alla classe media. E tutto quello che si è detto e fatto dal 2000 a oggi ha dato solo risposte illusorie e apparenti, senza che si cercassero davvero le soluzioni ai problemi reali. Il mondo perfetto non ci sarà mai. Questo un vescovo lo sa bene. Ma certo questo “turbocapitalismo” globale ha portato un deterioramento delle condizioni quotidiane di vita di milioni di persone.
Il crollo del Muro segnava il fallimento storico del comunismo. Eppure lei nel suo libro Il capitale rileva come la situazione globale che abbiamo sotto gli occhi oggi confermi alcune previsioni di Karl Marx sulle dinamiche del capitalismo.
MARX: Nell’analisi del liberalismo e del capitalismo alcune cose Karl Marx le ha riconosciute per quello che erano. E certe sue analisi funzionano anche per cogliere le dinamiche del momento presente. Ad esempio la globalizzazione dei capitali, la riduzione del lavoro a merce su scala mondiale. La terapia che proponeva era sbagliata. La sua concezione materialistica dell’uomo, più che essere in contrasto con la visione dell’antropologia cristiana, non corrisponde al dato della realtà. D’altro canto, questo vale anche per l’altra immagine materialistica, quella trionfante veicolata dall’ideologia capitalista, per cui l’unico uomo reale sul piano dell’esistente è l’homo oeconomicus, l’uomo come funzione dei processi economici, e il resto sono inezie accidentali e ridondanti.
Dunque Karl Marx non aveva tutti i torti. Senza entrare nel gioco delle riabilitazioni fittizie, i suoi strumenti di analisi dell’economia capitalista possono servire per uno sguardo realista e concreto sul presente?
MARX: Forse non c’era nemmeno bisogno di Karl Marx per cogliere queste dinamiche. Non era questa la sua originalità. In quel momento, c’erano anche esponenti della dottrina sociale cristiana che avevano raggiunto lo stesso livello di disamina critica dei meccanismi del capitalismo, e di dove tali meccanismi avrebbero portato, se lasciati senza freno. Ma certo, dove Marx ha ragione, bisogna dargliela.
Centinaia di berlinesi scavalcano il Muro di Berlino nella notte del 9 novembre 1989
[© Associated Press/LaPresse]
MARX: Questo è un criterio già preso in considerazione dalla dottrina sociale cattolica più tradizionale. Io sono favorevole a verificare i vari modelli della compartecipazione dei lavoratori, ma occorre definirli in termini precisi. Perché in un’economia globale, dove c’è una flessibilità enorme, non è facile stabilire le modalità con cui il lavoratore può compartecipare ai bilanci dell’azienda. Ad esempio, se il lavoratore deve partecipare anche alle perdite, questo potrebbe mettere a rischio la sua stessa esistenza. Questo vuol dire che il salario non può certo essere totalmente assorbito dalla partecipazione. La partecipazione deve essere definita come un surplus rispetto al salario base garantito, in modo che non ci sia il rischio per i lavoratori di rimanere sul lastrico perdendo un salario che a loro è necessario per vivere. Certo, occorre favorire in ogni modo possibile che il lavoratore si senta coinvolto nelle MARX: In Germania tutte le forze politiche affermano di ispirarsi al modello dell’economia sociale di mercato. Ma negli ultimi tempi si è visto che ci sono interpretazioni diverse di questo modello. E certo, rispetto a prima, lo Stato sociale si è indebolito. Adesso sembra quasi che sia diventato un impaccio e un problema, e invece è parte della soluzione del problema. Si è visto bene che, nel momento acuto della crisi, la Germania ha retto proprio grazie allo Stato sociale che funziona: l’assicurazione per i disoccupati, la cassa integrazione, i sostegni per chi ha lavori saltuari, l’assistenza sanitaria pubblica. Grazie a questi strumenti si sono evitati i contraccolpi subiti dalla popolazione nei Paesi che hanno ridotto al minimo o smantellato del tutto la rete di garanzie sociali. E non mi convince affatto chi dice che la spesa per lo Stato sociale si può diminuire perché “da noi non fa la fame nessuno”. Lo trovo primitivo. In situazioni di totale assenza di giustizia sociale, l’assicurare il cibo per tutti poteva essere un obiettivo minimo da raggiungere, ma certo, questa non è una vita degna di un essere umano. E quindi direi che per quelli che in Germania ritengono che bisogna abolire lo Stato sociale, le chance di prevalere sono decadute, per il momento. Attendiamo.
Non c’è niente da rivedere, da cambiare? Ci si espone alla critica di coltivare nostalgie stataliste e assistenzialiste ormai fuori tempo.
MARX: Certo, nelle cose politiche e sociali tutto è dinamico e può essere migliorato e adattato alle nuove esigenze, ci mancherebbe altro. Anche la Conferenza episcopale tedesca ha suggerito l’utilità di un rinnovamento dello Stato sociale. Per esempio, investendo nella formazione e nella qualificazione professionale. Non si tratta solo di trasferire somme di denaro da qua a là, ma di dare a tutti la possibilità di aggiornare la propria formazione e dunque di non essere emarginati dalla vita sociale. Oppure affrontando davvero la questione degli immigrati. È un problema sociale enorme. In Germania come in Italia si è un po’ dormito su questo punto. Non si è focalizzato il fatto che i maggiori fattori di integrazione sono il lavoro e la scuola. Bisogna dire con chiarezza che siamo un Paese di nuova immigrazione e che siamo felici di esserlo, siamo felici che la gente venga qui, altro che chiudere la strada a queste persone. Parliamoci chiaro: in un Paese con questi tassi demografici, siamo contenti di vedere gli immigrati che hanno figli. E lo Stato sociale svolge un ruolo decisivo nei processi di integrazione.
Nella Chiesa, riguardo ai fatti dell’89, fu enfatizzato il protagonismo di personaggi legati alle diverse comunità ecclesiali. E quel passaggio storico, quel cambio di scenario storico-politico, fu vissuto e descritto da molti come la premessa di un rifiorire della fede e della Chiesa come forza sociale.
MARX: Quella è stata un’illusione. Il fatto di pensare: impegniamoci per la svolta, e poi le persone, per ringraziarci, diventeranno cristiane e torneranno nelle chiese, è stata un’illusione. Perché diventare cristiani è un regalo. Io non posso comprare la fede, non posso neanche pensare di catturare l’interesse di qualcuno per la fede attraverso performance politiche, come sembrano credere alcuni. Ricordo che ancora al tempo del comunismo, parlavo con dei preti polacchi, che si chiedevano: che cosa accadrebbe se da noi si vivesse come da voi? Gli risposi che avrebbero avuto gli stessi problemi nostri. In una società libera come quella in cui viviamo, si diventa cristiani solo per una grazia. E questa è la condizione che dobbiamo augurarci. Ma nella Chiesa alcuni non lo capiscono. Non vogliono capire che nella condizione in cui siamo si diventa cristiani solo così: che la gente guarda i cristiani, e vede che la fede è un dono, una ricchezza, che va ben al di là di tutto quello che possiamo fare noi, e chiede di godere della stessa ricchezza. Per questo la liturgia è così importante.
In alcuni circoli, soprattutto quelli neoconservative statunitensi, hanno saputo far fruttare in termini di politica (anche di politica ecclesiastica) l’euforia dell’89…
MARX: Bisogna sempre ripeterlo chiaramente: la Chiesa non è contro il mondo moderno, la libertà, la democrazia, il pluralismo. Come se fosse meglio che queste cose non ci fossero. Ma questo non c’entra nulla con il ridurre il cristianesimo a ideologia religiosa di supporto all’economia di mercato. Riguardo ai cosiddetti neoconservative, su alcune questioni come quelle della difesa della vita e della famiglia sono pienamente in linea con la Chiesa. Ma non capisco come ci si può definire neoconservatori e porre tutta la fiducia nel modello capitalista. Il capitalismo è dinamico, non è conservativo, è molto progressivo. Non conserva le situazioni sociali e culturali così come le trova, le modifica e spesso le stravolge, introducendo nuovi paradigmi e cliché. Invece si vede spesso questa specie di patto che lega quelli che coltivano valori tradizionalisti di conservazione e il capitalismo. Ma sono cose che non stanno bene insieme.
Il Duomo di Monaco [© Katharina Ebel/KNA-Bild]
MARX: Per esempio si pensi all’inizio del XIX secolo. In Europa si avvertiva il senso di un crollo di tutte le strutture ecclesiastiche. L’opinione pubblica delle classi colte e anche i grandi movimenti popolari apparivano ispirarsi a filosofie e concezioni ostili nei riguardi della Chiesa. E la Chiesa reagiva, davanti a questa situazione di ostilità generalizzata, con dei rifiuti e delle condanne che toccavano anche i nuovi fenomeni legati alla crescita della base democratica della vita sociale. C’è voluto del tempo prima che si accettassero i criteri moderni della democrazia, della libertà di coscienza, della libertà religiosa. Su questi punti c’è stato un cambiamento progressivo. E questo può accadere su questioni sociali e politiche. Per esempio su cosa vuol dire Stato sociale, sui rapporti tra Chiesa e Stato, sui rapporti tra lavoro e capitale, sui sindacati… Anche la Chiesa impara nel corso del tempo. Impara anche ad avere un poco di umiltà. Ecclesia audiens, non solo docens.
Vorrei sottoporle qualche domanda sulla Chiesa tedesca. Sul momento che sta vivendo. E in che termini la sua condizione è stata descritta alla recente assemblea episcopale di Fulda.
MARX: Negli ultimi trenta anni abbiamo vissuto un grande cambiamento. Non tanto nel senso che tutti oggi fanno a gara a ripetere a pappagallo che la Germania non è più cristiana. Su questo punto della fede, ad esempio, c’è una grande differenza tra Est e Ovest. Molto si è uniformato a tutti i livelli tra i länder dell’Est e quelli dell’Ovest, ma non su questo punto. A Est i non battezzati sono l’ottanta per cento della popolazione, a Ovest invece più dell’ottanta per cento sono battezzati. Siamo di fronte a una società simile a quelle in cui sono immerse tutte le Chiese nell’Europa di oggi: società liberali, plurali, aperte. Non abbiamo mai avuto una situazione così. Tutti gli strati sociali possono scegliere quello che vogliono, quale religione professare, quante volte sposarsi, anche cinque o sei. È un sentiero inedito, vertiginoso, e per le singole parti coinvolte, anche per i vescovi, può essere faticoso e doloroso. Ma non lo attraverseremo in virtù di slogan sulla cattiveria della società, o sui presunti errori fatti dal Papa, o sul celibato sacerdotale e altre questioni secondarie. Tutte queste cose servono solo a nascondere e a sfuggire l’unica domanda importante. Cioè, che cosa vuol dire essere cristiani oggi. Che cosa vuol dire che seguire oggi Gesù è un guadagno dell’altro mondo, una vincita enorme per la propria vita.
Viene spesso criticata, da varie parti, la struttura possente della Chiesa tedesca, per il numero dei laici che vi lavorano stipendiati e avendo ruoli di responsabilità nelle diocesi, per i legami strutturali con lo Stato e con le istituzioni civili. L’emblema di questo modello è la tassa sulla Chiesa. Nell’ultimo anno 120mila persone hanno chiesto di uscire dalla Chiesa pur di non pagarla. Secondo lei questo modello è in crisi? Questo modus essendi della Chiesa è causa della secolarizzazione?
MARX: È una questione delicata. Sui motivi della crisi ci sono molte parole e molte opinioni. Per esempio la Fraternità lefebvriana di San Pio X ci dice: c’è la scristianizzazione perché la Chiesa non è come noi la vorremmo, per questo tutti vanno via. Se voi foste come noi tornerebbe tutto a posto. Il movimento “Noi siamo Chiesa” dice esattamente il contrario: c’è la crisi perché non abolite il celibato ecclesiastico, se voi foste più moderni le cose non andrebbero male. Un terzo gruppo dice: basta abolire la tassa sulla Chiesa, così nessuno andrà più via per non pagar pegno. Insomma, non c’è una diagnosi omogenea. Personalmente non ritengo sbagliato il fatto che le persone siano chiamate a decidersi, a dire: «Sì, io faccio parte della Chiesa, e sono disposto a pagare per sostenere le sue opere». Certo, molto è migliorabile, ma io non penso che questo sistema sia superato. E non capisco gli osservatori stranieri che giudicano queste cose senza considerare in quale tradizione e in quale percorso storico si è sviluppato questo modello. Ogni Chiesa ha le sue vicende particolari, la sua storia particolare, e occorre tenerne conto e rispettarla. La Chiesa non è un’idea, è una comunità visibile. E poi la tassa la paga solo chi gode di un reddito da lavoro, ossia un terzo della popolazione, ed è proporzionata al reddito.
Che sviluppi ha avuto a Monaco la vicenda lefebvriana?
MARX: Io sono dell’idea che bisogna essere magnanimi anche nel concedere il rito straordinario. Trovo che quello che ha fatto il Papa è stato molto saggio. Adesso nessuno ha più bisogno di andare dai lefebvriani per prendere parte a messe con il rito antico. Devo dire che nella nostra diocesi i numeri di chi partecipa alle messe col rito antico sono molto ridotti. E comunque io tengo a che le nostre funzioni domenicali siano celebrate in modo liturgicamente corretto. Come ha detto una volta il Papa, sulla liturgia si decide il destino della Chiesa. Se la messa non è celebrata bene, non servono a niente tutti i nostri discorsi, i nostri pronunciamenti, le nostre encicliche.
Reinhard Marx con il vescovo luterano Johannes Friedrich, durante i lavori del Kirchentag ecumenico regionale svoltosi a Germering, in Baviera, il 3 luglio 2009 [© Katharina Ebel/KNA-Bild]
MARX: Tra poche settimane ricordiamo i dieci anni dalla Dichiarazione congiunta sulla giustificazione. E anche nell’ecumenismo bisogna avere pazienza. Se penso a quello che si è raggiunto in Germania negli ultimi cinquanta anni, non si può dire che sia roba da poco. Mi è piaciuta l’immagine usata riguardo all’ecumenismo dal cardinale Lehmann: quando si sale in montagna, l’ultimo tratto prima di arrivare in cima è sempre il più faticoso. Ci vuole pazienza, e a volte bisogna magari passare la notte in montagna.
Teme, come in altre occasioni, polemiche o gesti plateali sul tema dell’intercomunione?
MARX: Sono già d’accordo con il vescovo protestante. Lui riconosce con me che se celebrassimo insieme l’Eucaristia saremmo già in perfetta comunione e non ci sarebbe più bisogno dell’ecumenismo. Fino a quando non saremo veramente uniti, l’intercomunione sarebbe un segno sbagliato, senza fondamento, fatto per le televisioni, inseguendo la logica dell’evento spettacolare. E causerebbe alla fine nuove divisioni e irritazioni tra cattolici, protestanti e ortodossi. Spero invece che il Kirchentag ecumenico sia un segnale per la società che noi cristiani siamo uniti nella fede. Noi confessiamo insieme la fede nel Dio Uno e Trino, nel cui nome riceviamo il battesimo. Non mi sembra una cosa da poco. Davanti al mondo dobbiamo confessare insieme questa fede comune, e non mettere in mostra i nostri litigi.
Lei prima ha parlato dell’integrazione degli immigrati. In Germania la minoranza turca è imponente. Ma la Chiesa non ha alzato barricate contro le moschee.
MARX: La Conferenza episcopale tedesca ha pubblicato un documento sulla costruzione delle moschee che ha suscitato delle critiche. La linea principale è questa: se abbiamo tra noi numerose persone di fede musulmana, queste persone hanno il diritto di vivere la loro religione in modo dignitoso, nel rispetto delle leggi dello Stato. Certo, noi stiamo attenti a far in modo che la moschea non venga costruita accanto alla cattedrale, magari cento metri più alta. Ma a evitare questo ci pensano i responsabili dei beni culturali.
Il suo motto è Ubi Spiritus Domini, ibi libertas. Dov’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà.
MARX: Mi ha sempre fatto arrabbiare il fatto che la libertà venga contrapposta alla predicazione della Chiesa. E che tanti pensano che Chiesa e libertà siano incompatibili. È un’espressione-chiave di san Paolo. La questione su cosa vuol dire libertà sarà cruciale nel tempo che abbiamo davanti.
L’equivalenza contenuta nel suo motto è da tener presente anche per le vicende della Chiesa di oggi?
MARX: Libertà significa scegliere il bene in libertà. E nella Chiesa vale la stessa cosa. La frase più libera che un uomo può pronunciare è «ti amo». E quando la si è pronunciata, in qualche modo si dipende dall’oggetto del proprio amore. Questo vale nel matrimonio, nella vita sacerdotale, vale per ogni battezzato che alla domanda di Gesù: «mi ami tu?», risponde: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene». E anche nella Chiesa, è per quell’amore che si può vivere nella libertà.