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CARAVAGGIO
tratto dal n. 02/03 - 2010

Anniversari

Una mostra semplice e facile


Esposte a Roma, fino al 13 giugno, ventiquattro opere autografe dell’artista lombardo. Al riparo dalle attribuzioni discutibili degli ultimi anni e dalle capziosità degli specialisti


di Pina Baglioni


<I>Incoronazione di spine</I>,
1602-1604 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Incoronazione di spine, 1602-1604 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna

«Ho immaginato di conversare con Caravaggio. E di chiedergli: “Maestro, come la devo fare questa mostra? Vorrei tanto che il curatore fossi tu”. Lui m’ha risposto che gli sarebbe piaciuto, almeno per una volta, vedere esposte le opere che aveva dipinto lui. Quelle certe, indiscusse, inattaccabili. Quelle, insomma, che non gli avrebbero rovinato un’onorata carriera».
Claudio Strinati, soprintendente emerito per il Polo museale romano e ideatore dell’avvenimento artistico dell’anno, grazie a un artificio di carattere scientifico-fantasioso, ha così colto l’occasione di lanciare una sorta di extra omnes, neanche tanto dissimulato: un invito a farsi da parte a tutti coloro che negli ultimi anni «hanno oscurato il genio di Michelangelo Merisi da Caravaggio con una serie di discutibili attribuzioni che non hanno fatto altro che confondere la testa della gente».
Insomma, non è una mostra per specialisti, quella che sta affollando le Scuderie del Quirinale di Roma e che celebra i quattrocento anni della morte dell’artista. Da notare il titolo: “Caravaggio”. Punto e basta. Senza sottotitoli.
Aperta ai visitatori fino al 13 giugno, raccoglie ventiquattro capolavori assoluti scelti fra i soli storicamente accreditati come autografi del Gran Lombardo, provenienti da tredici musei italiani, dalla collezione privata della famiglia Odescalchi per quanto riguarda il prestito della Conversione di Saulo e da dieci musei stranieri. «Abbiamo pensato soprattutto a quelli che hanno studiato il Caravaggio sul manuale di storia dell’arte del liceo e che da quel momento lo hanno amato come nessun altro», ha ribadito, con una voce rotta dall’emozione, Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, ex soprintendente speciale per il Polo museale di Firenze e coideatore della mostra. Rivelando che «molti caravaggisti insigni ci avevano consigliato una mostra che facesse il punto sulla tecnica pittorica del Caravaggio. Io e Claudio Strinati, questa opzione, l’abbiamo messa da parte».
Paolucci ha molta parte in causa in questa mostra. Grazie a lui, i visitatori possono ammirare la Deposizione dei Musei Vaticani, le opere arrivate da Firenze come il Bacco e il Sacrificio di Isacco degli Uffizi e l’Amore dormiente della Galleria Palatina.
«Ci siamo stancati delle mostre capziose. Noi volevamo fare la cosa più semplice e facile del mondo», ha aggiunto il direttore dei Musei Vaticani. «Consapevoli che la cosa, forse, sarebbe dispiaciuta a qualcuno. Ma cosa c’è di più bello, davanti alla sublime Adorazione dei Pastori di Messina, che “sentire” quasi l’odore della stalla, osservare, commossi, il paziente somaro, che scalda Gesù Bambino? Delle tecniche caravaggesche se ne possono occupare benissimo le riviste specializzate».
E a qualcuno, la cosa è dispiaciuta, come del resto sempre capita quando c’è di mezzo Caravaggio, artista attorno al quale si scatenano le dispute più accese. Come succedeva quando era in vita. È dispiaciuto, per esempio, che nell’introduzione al catalogo della mostra, redatta da Claudio Strinati, non venga mai citato Roberto Longhi, il critico che, per primo, intuì l’arte sublime dell’artista. O l’aver disposto le opere non tenendo conto della cronologia, ma secondo il confronto tra soggetti: il Ragazzo con canestra di frutta della Galleria Borghese, per esempio, è stato collocato accanto al Bacco degli Uffizi e alla Canestra di frutta della Pinacoteca Ambrosiana di Milano. O il fatto che l’illuminazione, in qualche caso, lascia un po’ a desiderare.
Ma tutti quelli che amano Michelangelo Merisi da Caravaggio più di un parente prossimo, si sono messi in marcia, anche questa volta. Nonostante le dispute degli esperti. Come mai s’era visto prima a Roma. Nei primi dieci giorni della mostra, iniziata il 20 febbraio scorso, sono stati staccati cinquemila biglietti al giorno. Non solo. Prima ancora dell’inaugurazione, s’erano già accumulate 50mila prenotazioni da ogni parte del mondo, tanto che gli organizzatori sono stati costretti ad anticipare di un’ora l’orario d’apertura per soddisfare tutta quella gente in fila che, soprattutto nei fine settimana, dal Colle del Quirinale finisce per lambire via Nazionale.
Delle ventiquattro opere in mostra, qualcuna, purtroppo, ha già lasciato le Scuderie: il Riposo durante la fuga in Egitto della Galleria Doria Pamphilj di Roma è già volato via il 22 marzo scorso per la mostra “Caravaggio e l’arte della fuga” allestita a Villa del Principe Doria di Genova. Entro il 15 maggio il Suonatore di liuto e la Conversione di Saulo torneranno rispettivamente nelle loro case: l’Hermitage di San Pietroburgo e Palazzo Odescalchi a Roma. Sette giorni dopo, a salutare le Scuderie del Quirinale saranno il Bacco, il Sacrificio di Isacco e l’Amore dormiente con destinazione Firenze.
Ma per tante che se ne vanno, una, straordinaria, arriverà il 15 aprile: si tratta della Flagellazione di Cristo del Museo Capodimonte di Napoli.
Per chi non dovesse fare in tempo a vedere tutte le opere esposte nelle Scuderie, rimangono, comunque, i capolavori caravaggeschi delle tre chiese di Roma: per espressa volontà dei curatori della mostra, nulla è stato mosso da San Luigi dei Francesi, da Sant’Agostino e da Santa Maria del Popolo: «Per rispetto alla città che, poco più che ragazzo, l’ha visto arrivare povero e solo e che poi ha riconosciuto la sua grandezza: a Roma, la patria naturale dove sarebbe voluto tornare, se solo ce l’avesse fatta».


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