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LIBRI
tratto dal n. 02/03 - 2010

La solitudine dei politici primi


Fedeli a Dio e all’uomo, il carteggio tra Alcide De Gasperi e il suo grande amico don Giulio Delugan, copre l’arco degli anni che vanno dal 1928 al 1954. È un dialogo sorprendente di cui colpisce la sincerità, l’umanità e l’umiltà di De Gasperi, il quale partendo da motivi religiosi e personali arriva a investire temi politici di grande interesse


di Adriano Ossicini


Maurizio Gentilini, <I>Fedeli a Dio 
e all’uomo. Il carteggio di Alcide 
De Gasperi con don Giulio Delugan (1928-1954)</I>, Archivio Trentino, 
Trento 2010, 182 pp., euro 14,00

Maurizio Gentilini, Fedeli a Dio e all’uomo. Il carteggio di Alcide De Gasperi con don Giulio Delugan (1928-1954), Archivio Trentino, Trento 2010, 182 pp., euro 14,00

I miei rapporti personali e familiari con Alcide De Gasperi sono stati così profondi che indubbiamente, per quanto concerne i documenti o gli epistolari che riguardano la sua personalità, la mia attenzione è stata sempre vigile. Perciò quando è stato pubblicato il volume Fedeli a Dio e all’uomo, il carteggio di Alcide De Gasperi con don Giulio Delugan che ricopre l’ampio periodo che va dal 1928 al 1954 (data della morte dello statista trentino), edito dall’Archivio Trentino e curato da Maurizio Gentilini, ne ho immediatamente affrontato la lettura, pur pensando che si trattasse di documenti di interesse prevalentemente religioso e di un dialogo su temi di carattere personale.
Certo, è anche così, ma non solo. Mi sono trovato infatti di fronte a un carteggio di straordinario interesse che investe anche un ampio spettro di temi culturali, politici, etici fondamentali sul piano storico.
Come ho detto, il mio rapporto e il mio dialogo con De Gasperi sono stati profondi, ma anche complessi. Sono nati, come è noto, dal fatto che mio padre e De Gasperi furono non solo compagni nella vicenda del Partito popolare, fin dalla fondazione, ma ebbero un ruolo di particolare interesse che andava oltre l’amicizia e che spiega anche certe mie prese di posizione, pur nel profondo rispetto di una personalità di rilievo come quella dello statista trentino. Mio padre fu tra i fondatori del Partito popolare (del quale fu segretario politico, di Roma e del Lazio, dall’inizio allo scioglimento). Fu rigidamente un uomo di partito, profondamente legato a Sturzo, e rappresentò, fin dal principio, quella corrente che non solo, pur dal centro del Partito, reputava fondamentale un dialogo con la sinistra (Ferrari, Donati, ecc.), ma che aveva una assoluta contrarietà alla collaborazione, se pure solo iniziale, con il Partito fascista al governo. De Gasperi invece rappresentava in modo autorevole il gruppo parlamentare inizialmente favorevole alla collaborazione col governo presieduto da Mussolini. Non sto qui a discutere la validità delle problematiche di allora; comunque questo spiega il perché, pur con profondo rispetto della personalità di De Gasperi, io avessi risentito profondamente, fin dalla mia giovinezza, delle posizioni di mio padre. Su tutto questo pesarono poi profondamente, oltre che la precoce morte di mio padre, un rapporto familiare – le mie sorelle erano infatti compagne di scuola delle figlie di De Gasperi dalle Suore di Nevers – e, in particolare, la mia presa di coscienza del coraggioso atteggiamento da lui tenuto contro il fascismo, cosa che lo aveva portato al carcere e all’esilio nella Biblioteca Vaticana. Perciò, quando, nel 1938, iniziarono i miei dialoghi con De Gasperi (è stato molto “scritto” sul mio primo colloquio con lui nel famoso salotto giallo di Spataro), io, in qualche modo, ero già preparato a un incontro che fu fondamentale per il mio futuro, anche se, per le note ragioni, fu per certi aspetti un “incontrarsi e dirsi addio”. Prevalevano nella mia formazione e nel mio impegno in quel momento, da un lato il bisogno di una immediata lotta al fascismo e di un collegamento con le forze che lo combattevano, e dall’altro la perplessità sull’ipotesi degasperiana di un grande partito interclassista che rappresentasse tutti i cattolici. Sono note poi le vicende della Sinistra cristiana, i suoi rapporti con la politica italiana e anche la complessità di due correnti che si incontrarono: quella rappresentata da me e da un gruppo che in parte si rifaceva alla sinistra popolare (gruppo contrario all’unità dei cattolici e favorevole a un’alternativa democratica, in vista della cui realizzazione avrei poi partecipato alla formazione del gruppo della Sinistra indipendente in Senato); e quella che faceva capo a Franco Rodano, orientata all’ipotesi di un inserimento dei cattolici nel Partito comunista in favore di un’alleanza stabile tra Dc, Pci e, in questo senso, meno polemica sul problema dell’unità dei cattolici in un partito.
Don Giulio Delugan, amico di De Gasperi e direttore del settimanale diocesano <I>Vita Trentina</I> [© Fondazione Museo storico del Trentino]

Don Giulio Delugan, amico di De Gasperi e direttore del settimanale diocesano Vita Trentina [© Fondazione Museo storico del Trentino]

Non posso dimenticare, oltretutto, un episodio che caratterizzò a fondo l’orientamento di De Gasperi su una politica fondamentalmente ancorata a insuperabili esigenze morali. Nell’estate del 1954, De Gasperi, prima di recarsi in Valsugana dove, purtroppo, poco dopo si sarebbe spento, incontrò Guido Miglioli, gravemente ammalato e ricoverato nella clinica Capitanio, a Milano. Aderiva a un invito dello stesso Miglioli che io gli avevo fatto trasmettere attraverso Andreotti. A Miglioli che si diceva dispiaciuto per la “perdita” della segreteria del Partito, De Gasperi rispondeva con chiarezza che tutto questo non avrebbe inciso sul ruolo della Dc, che sarebbe rimasta egemone ancora per decenni; era però preoccupato per la tendenza dei partiti a dotarsi di ampie strutture burocratiche: questo avrebbe comportato dei drammatici rischi.
Questo carteggio ha provocato in me un profondo coinvolgimento, ma è stato anche uno stimolo per valutare la straordinaria importanza dell’operato di De Gasperi intorno a un problema di grande rilievo non solo nella vicenda storica da lui rappresentata, ma anche nella troppo spesso confusa e drammatica vicenda politica che stiamo vivendo! C’è qualcosa che anima profondamente questo carteggio e che ha un valore determinante: è la decisiva, insostituibile importanza di una fondazione etica della politica. A questa importanza De Gasperi sacrificò in alcuni casi desideri e bisogni non solo personali, e su questa realtà fondò tutta la propria azione politica. Dico “sacrificò” perché, come giustamente ha scritto la carissima mia amica Maria Romana, sua figlia, in certi momenti De Gasperi, proprio per difendere queste basi morali dell’azione politica, fu sostanzialmente un uomo solo. Allora divengono molto meno rilevanti anche le eventuali perplessità, sul piano religioso, intorno a certi rischi presenti nel progetto degasperiano dell’unità dei cattolici, non solo per la invocata necessità storica di un certo ruolo insostituibile della Dc, ma perché De Gasperi usò il suo progetto politico al di fuori di limiti vincolanti sul piano etico, fino a mettersi in contrasto addirittura con Pio XII.
Ma quello che mi ha più impressionato è la sincerità, l’umanità, la singolare disponibilità e una sostanziale umiltà in un dialogo che, partendo da motivi religiosi e personali, finiva per investire nel suo complesso una dinamica umana e relazionale di grande impegno.
Capisco che in un momento come questo non sarà facile, temo, ottenere un’ampia diffusione di lettura di un “discorso” così, solo apparentemente, personale. Ma lo spero vivamente, perché queste lettere, questo dialogo, questa storia relazionale hanno un valore che trascende le persone e che investe alla radice problemi fondamentali della nostra condizione umana.


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