Esegesi
Sindone e sudario al loro posto
di Gianni Valente
«La tomba non era completamente vuota. C’erano i testimoni, i
soli testimoni della risurrezione di Gesù. C’erano i panni.
Pur essendo muti, potevano ben comunicare qualche cosa, visto che, dopo
averli visti, Giovanni ha creduto». Inizia così lo studio di
Charles de Cidrac, professore emerito all’Institut Catholique di
Parigi. Nove paginette battute al computer, con correzioni a mano, non
pubblicate da nessuna rivista “scientifica”. Eppure contengono
spunti interessanti, gli stessi ripresi da padre Galot nel suo intervento
su La Civiltà Cattolica. Secondo de Cidrac circolano, riguardo alla scena del sepolcro
vuoto, molte traduzioni maldestre, che generano malintesi ed errori
«contrari ai costumi giudei e anche al buon senso». Per
chiarire quanto veramente intendeva descrivere l’autore, il
professore francese sottopone il testo a una serrata analisi grammaticale,
tenendo conto anche degli usi funerari vigenti in ambiente ebraico a quei
tempi.
La prima confusione, in molte traduzioni, riguarda i termini con cui si indicano i panni adoperati per l’inumazione. L’originale greco parla di otónia e di soudárion: termini tradotti spesso in maniera generica e confondendoli tra loro (bende, fasce, panni, ecc.). In realtà, con la parola otónia si indicavano tutti i teli impregnati di mirra e di aloe usati nella sepoltura: sia esindon (il lenzuolo più ampio, lungo 4 metri e largo 90 centimetri, che veniva disteso sotto e sopra il corpo del defunto per tutta la sua lunghezza, riaccostando i due lembi estremi sotto i piedi), sia le bende con cui si legavano le mani e si cingeva il lenzuolo, per tenerlo aderente. C’era poi il sudario, tò soudárion, un ampio fazzoletto quadrato piegato sulla sua linea diagonale, a farne un triangolo, e poi arrotolato su sé stesso. Formava così una fascia con un certo spessore, che veniva fatta passare sotto il mento del defunto e annodata sulla testa, in modo che la bocca non si aprisse per il rilassamento dei nervi.
Le altre imprecisioni di tipo grammaticale generano, a detta di de Cidrac, malintesi sulla posizione in cui i due apostoli rinvennero tutti questi panni. In particolare: nell’originale greco è scritto che Pietro, entrando nel sepolcro, vide tà otónia keímena, che molte versioni traducono come “i teli posti a terra”. Ora, il participio keímena indica in realtà la posizione distesa, orizzontale dei teli, senza significare che essi fossero gettati a terra, sul pavimento del sepolcro. Il verbo difettivo keymai vuol dire essere giacente, essere in orizzontale. L’espressione significa che i teli funerari erano giacenti al loro posto, afflosciati su sé stessi, dopo che non fasciavano più il corpo di Gesù. Probabilmente erano rimasti giacenti nella nicchia scavata nella parete, propria dell’architettura funeraria ebraica di tipo signorile, in cui era stato deposto il corpo di Gesù; le ultime espressioni del brano in questione girano intorno alla posizione del sudario. L’originale dice che il sudario era ou metà ton otoníon keímenon, espressione che viene di solito tradotta (ad esempio, dal Nuovo Testamento pubblicato dalla Conferenza episcopale italiana): “non là con i teli”. Si introduce così l’idea che il sudario abbia cambiato posizione rispetto al punto in cui si trovava quando il corpo di Gesù era stato sepolto. Anche le espressioni seguenti (allà corìs entetuligménon eis ena tópon) vengono interpretate in modo da confermare la diversa dislocazione del sudario rispetto agli altri panni. Sempre la versione Cei traduce queste espressioni annotando che il sudario non era con gli altri teli «ma in disparte, ripiegato in un luogo». De Cidrac contesta diversi punti di questa traduzione corrente. Secondo lui la negazione ou va riferita non all’espressione locale metà ton otoníon (tra i teli) ma al participio keímenon (disteso, giacente), anche esso dal verbo keîmai. Si vuole così indicare che il sudario non era disteso, non era giacente come il resto dei teli. Metà ton otoníon, non più connesso alla negazione o+, va tradotto “in mezzo ai teli”, e indica la dislocazione del sudario, che era proprio rimasto sotto la sindone, distintamente arrotolato (così de Cidrac traduce l’avverbio corìs e il participio passato passivo entetuligménon, dal verbo entulíssu) nel suo primo posto (eis ena tópon). Tutto questo per dire che il sudario non si era spostato dal suo posto iniziale, e adesso, essendo rimasto arrotolato, se ne distingueva lo spessore in rilievo in mezzo agli altri teli giacenti, sotto la parte superiore della sindone.
A conti fatti, la traduzione del passo che de Cidrac offre come contributo originale alla ricerca esegetica è la seguente: «[Simon Pietro] entrò nel sepolcro e vide i teli giacenti, e il sudario, che era stato legato sulla testa. Questo era posto in mezzo ai teli, senza essere disteso, ma distintamente arrotolato su sé stesso, al suo posto iniziale».
La prima confusione, in molte traduzioni, riguarda i termini con cui si indicano i panni adoperati per l’inumazione. L’originale greco parla di otónia e di soudárion: termini tradotti spesso in maniera generica e confondendoli tra loro (bende, fasce, panni, ecc.). In realtà, con la parola otónia si indicavano tutti i teli impregnati di mirra e di aloe usati nella sepoltura: sia esindon (il lenzuolo più ampio, lungo 4 metri e largo 90 centimetri, che veniva disteso sotto e sopra il corpo del defunto per tutta la sua lunghezza, riaccostando i due lembi estremi sotto i piedi), sia le bende con cui si legavano le mani e si cingeva il lenzuolo, per tenerlo aderente. C’era poi il sudario, tò soudárion, un ampio fazzoletto quadrato piegato sulla sua linea diagonale, a farne un triangolo, e poi arrotolato su sé stesso. Formava così una fascia con un certo spessore, che veniva fatta passare sotto il mento del defunto e annodata sulla testa, in modo che la bocca non si aprisse per il rilassamento dei nervi.
Le altre imprecisioni di tipo grammaticale generano, a detta di de Cidrac, malintesi sulla posizione in cui i due apostoli rinvennero tutti questi panni. In particolare: nell’originale greco è scritto che Pietro, entrando nel sepolcro, vide tà otónia keímena, che molte versioni traducono come “i teli posti a terra”. Ora, il participio keímena indica in realtà la posizione distesa, orizzontale dei teli, senza significare che essi fossero gettati a terra, sul pavimento del sepolcro. Il verbo difettivo keymai vuol dire essere giacente, essere in orizzontale. L’espressione significa che i teli funerari erano giacenti al loro posto, afflosciati su sé stessi, dopo che non fasciavano più il corpo di Gesù. Probabilmente erano rimasti giacenti nella nicchia scavata nella parete, propria dell’architettura funeraria ebraica di tipo signorile, in cui era stato deposto il corpo di Gesù; le ultime espressioni del brano in questione girano intorno alla posizione del sudario. L’originale dice che il sudario era ou metà ton otoníon keímenon, espressione che viene di solito tradotta (ad esempio, dal Nuovo Testamento pubblicato dalla Conferenza episcopale italiana): “non là con i teli”. Si introduce così l’idea che il sudario abbia cambiato posizione rispetto al punto in cui si trovava quando il corpo di Gesù era stato sepolto. Anche le espressioni seguenti (allà corìs entetuligménon eis ena tópon) vengono interpretate in modo da confermare la diversa dislocazione del sudario rispetto agli altri panni. Sempre la versione Cei traduce queste espressioni annotando che il sudario non era con gli altri teli «ma in disparte, ripiegato in un luogo». De Cidrac contesta diversi punti di questa traduzione corrente. Secondo lui la negazione ou va riferita non all’espressione locale metà ton otoníon (tra i teli) ma al participio keímenon (disteso, giacente), anche esso dal verbo keîmai. Si vuole così indicare che il sudario non era disteso, non era giacente come il resto dei teli. Metà ton otoníon, non più connesso alla negazione o+, va tradotto “in mezzo ai teli”, e indica la dislocazione del sudario, che era proprio rimasto sotto la sindone, distintamente arrotolato (così de Cidrac traduce l’avverbio corìs e il participio passato passivo entetuligménon, dal verbo entulíssu) nel suo primo posto (eis ena tópon). Tutto questo per dire che il sudario non si era spostato dal suo posto iniziale, e adesso, essendo rimasto arrotolato, se ne distingueva lo spessore in rilievo in mezzo agli altri teli giacenti, sotto la parte superiore della sindone.
A conti fatti, la traduzione del passo che de Cidrac offre come contributo originale alla ricerca esegetica è la seguente: «[Simon Pietro] entrò nel sepolcro e vide i teli giacenti, e il sudario, che era stato legato sulla testa. Questo era posto in mezzo ai teli, senza essere disteso, ma distintamente arrotolato su sé stesso, al suo posto iniziale».