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DEVOZIONE
tratto dal n. 06/07 - 2010

Storia del Santo Chiodo

La devozione della Chiesa ambrosiana



di Lorenzo Bianchi


Il più antico documento storico che con assoluta certezza si riferisce alla reliquia del Santo Chiodo custodita oggi nel Duomo di Milano risale al 18 gennaio 1389. In quell’anno, il Registro del Tribunale di provisione, il massimo organo amministrativo della città, annotando una richiesta fatta dal luogotenente del vicario di provisione Paolo de Arzonibus a Giangaleazzo Visconti perché promulghi le festività della Madonna della Neve e di san Gallo, stabilisce che in tali feste il Comune provveda a fare generose offerte, destinate soprattutto alla chiesa di Santa Tecla, in quanto Cattedrale metropolitana, e perché vi è riposto ab antiquo uno dei chiodi con cui fu crocifisso il Salvatore.
Da quanto tempo, il Registro non dice. Ma se risaliamo indietro di quasi mille anni, al 25 febbraio del 395, è di nuovo a Milano che incontriamo la prima testimonianza sul ritrovamento dei chiodi della Croce del Signore. È sant’Ambrogio a parlarne a lungo, diffusamente, davanti alla corte e ai soldati riuniti per il funerale dell’imperatore Teodosio in quella Milano che, da una trentina d’anni, era diventata la capitale occidentale dell’Impero.
Secondo il racconto di Ambrogio ( De obitu Theodosii 41-48), Elena, madre di Costantino, negli ultimi anni dell’impero del figlio, tra il 333 e il 337, insieme alla Vera Croce, aveva ritrovato anche i chiodi della crocifissione. Con uno di essi, sempre secondo il racconto di Ambrogio, aveva fatto forgiare il morso del cavallo dell’imperatore, per farne dono al figlio e garantire la sua protezione inter proelia, mentre ne aveva inserito un altro nel diadema imperiale.
A giudizio di Marta Sordi (cfr. M. Sordi, La tradizione dell’inventio Crucis in Ambrogio e in Rufino, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia , 46, 1990, pp. 1-8), l’insistenza di Ambrogio sui chiodi non è casuale, essendo legata a un’occasione ben precisa e al luogo in cui le sue parole venivano pronunciate: «Il suo è un discorso ufficiale», scrive la studiosa, «tenuto davanti alla corte di Milano e ai soldati, ed egli sta parlando di una corona reale, quella che Teodosio aveva portato e di cui può dare una descrizione precisa, un diadema ornato di gemme, con un cerchio di ferro più prezioso di ogni gemma, perché proveniente dalla croce della divina redenzione: una corona-diadema, antenata della famosa corona “ferrea”, che è in realtà una corona d’oro, composta da sei pezzi uniti da cerniere e ornati di gemme, con all’interno un circolo di ferro, ritenuto dalla tradizione uno dei chiodi della croce». Dunque, Ambrogio sta descrivendo degli oggetti reali, che vede e conosce.
È plausibile che la presenza dei chiodi della Croce a Milano sia da far risalire proprio alla seconda metà del IV secolo, e alla volontà di Valentiniano I di “consacrare” come città cristiana la nuova capitale da lui scelta nel 364 per l’Occidente, come già era avvenuto per Costantinopoli. «La tradizione costantinopolitana», scrive ancora la Sordi, «poneva fra i riti di fondazione della città da parte di Costantino l’inserimento di frammenti della croce nella statua posta sulla colonna di porfido nel foro della città, perché ne assicurassero la protezione, come narra lo storico del IV secolo Socrate». Lo stesso può aver fatto Valentiniano, facendo portare a Milano i chiodi della Croce, per ribadire il rinnovato e definitivo carattere cristiano dell’Impero, a maggior ragione dopo la parentesi del breve regno di Giuliano l’Apostata (361-363).
Se l’altro chiodo, usato, secondo il racconto di Ambrogio, per forgiare il morso del cavallo di Costantino, sia da identificarsi con il Santo Chiodo oggi custodito in Milano, non è possibile affermarlo con certezza, proprio perché non ci sono fonti che ne diano attestazione dalla fine del IV secolo a quella del XIV. Ma da allora in poi la venerazione della preziosa reliquia non conobbe interruzione.
Fu nel 1461 che il Santo Chiodo venne solennemente trasferito da Santa Tecla, destinata alla demolizione, nel Duomo, e collocato in alto, a pochi metri dalla sommità dell’abside, conformemente alla tradizione ambrosiana di collocare il crocifisso sul fastigio dell’arco trionfale della chiesa.
Durante la peste del 1576, san Carlo Borromeo portò personalmente in processione il Santo Chiodo dal Duomo a San Celso, lasciandolo esposto sull’altare per la celebrazione delle Quarantore, allo scopo di implorare la fine del flagello che si abbatteva su Milano. San Carlo aveva fatto appositamente costruire una croce di legno per portare il Santo Chiodo in processione, croce che oggi si trova nella chiesa parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio di Trezzo d’Adda.
San Carlo attribuì al Santo Chiodo l’attenuazione dell’epidemia, avvenuta immediatamente dopo la processione. Da allora stabilì che la solenne cerimonia si ripetesse, il 3 maggio d’ogni anno, festa dell’Invenzione della Santa Croce.
Neanche la Rivoluzione francese fece interrompere la pratica, che prevede ancora oggi la suggestiva salita della macchina detta Nivola, che, tirata con corde, permette di raggiungere il Santo Chiodo a quaranta metri di altezza. Il rito del prelevamento e dell’esposizione del Santo Chiodo venne sospeso solo tra il 1969 e il 1982, in seguito al manifestarsi dell’instabilità della situazione statica dei piloni del tiburio e ai conseguenti interventi di restauro.
Dopo aver provveduto, nel 1982, al recupero del Santo Chiodo con mezzi di fortuna, se ne ricominciò l’anno successivo l’ostensione in Duomo per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce che si celebra il 14 settembre (essendo stata nel frattempo abolita la festa del 3 maggio). Il cardinal Martini, con l’occasione dell’Anno Santo della Redenzione, volle che fossero di nuovo riuniti il Santo Chiodo e la croce a suo tempo fatta costruire da san Carlo per portarlo in processione. Processione che lo stesso cardinale guidò per le vie di Milano il Venerdì Santo del 1984, reggendo personalmente la croce con il Santo Chiodo. Dal 1986, terminati i lavori di restauro, il Santo Chiodo è nuovamente collocato nella sua posizione originaria.


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