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LIBRI
tratto dal n. 08/09 - 2010

Papa Giovanni, o della semplicità


La Marcianum Press di Venezia ha dato alle stampe una raccolta di testimonianze significative su Giovanni XXIII rilasciate nel 2008, per i cinquant’anni della sua elezione a papa. Recensione


di Tommaso Ricci


<I>Di chi è questa carezza? Giovanni XXIII,1958-2008</I>, Marcianum Press, Venezia 2010, 192 pp.,  euro 29,00

Di chi è questa carezza? Giovanni XXIII,1958-2008, Marcianum Press, Venezia 2010, 192 pp., euro 29,00

La storia non tollera più di tanto d’esser raccontata secondo schemi prestabiliti. Tanto meno lo tollera la storia dei cristiani che è sempre innanzitutto storia di persone. Esiste infatti una soglia narrativa superata la quale la persona scompare dall’orizzonte storico, cancellata dalle idee, peraltro spesso non sue bensì dello storico che ne scrive.
È quel che è accaduto per lungo tempo alla grande figura di Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, il Papa “buono”, quello della carezza ai bambini. Conservatore o progressista? E anche: innovatore ingenuo o consapevole cattocomunista? Pontificato di rottura il suo o piuttosto continuista? Dilemmi di politica ecclesiastica dietro i quali la fisionomia del cristiano e sacerdote Roncalli è andata via via annebbiandosi. Vien quasi da gridare evviva l’aneddotica, la memorialistica, la collazione di testimonianze e financo l’agiografia (se praticata con amore e rigore)! Evviva la persona in carne e ossa!
Sarà che dietro questo volume (Di chi è questa carezza?, Marcianum Press, 192 pp.) ci sono i suoi conterranei bergamaschi di Sotto il Monte – che nel cinquantesimo anniversario della elezione di Roncalli a pontefice romano (1958) hanno commemorato con molte iniziative qui documentate il loro illustre compaesano –; sarà grazie al corredo fotografico, sarà per la qualità delle testimonianze, ma in queste pagine papa Giovanni c’è! Nell’atmosfera del luogo natio che lui chiamava «il mio nido» la statura spirituale di Angelo Giuseppe Roncalli ritrova la sua autentica vivezza e semplicità. D’altronde lo stesso Roncalli, in quel capolavoro della diaristica contemporanea che è il suo Giornale dell’anima («la mia anima è in questi fogli più che in qualsiasi altro mio scritto») aveva più volte ribadito il tenero e tenace legame con la sua terra, la sua famiglia, le sue origini. «La grazia del Signore mi aiuta a non dimenticarmi mai del mio villaggio, e dei campi dove i miei lavorano con semplicità e fiducia, guardando al sole che è splendore di Dio», scrisse, da arcivescovo nunzio a Parigi, al vescovo della sua Bergamo. Il costante, grato, devoto riferimento roncalliano al tempo e al luogo della sua puerizia non è elemento di colore perché per lui l’incontro col cristianesimo coincise (oggi capita sempre più raramente) con la fede trasmessagli dai genitori e dall’ambiente circostante di Sotto il Monte, e dunque è lì che affondano i connotati del suo esser cristiano. E non sono tanto i suoi atti da pontefice (il Concilio ecumenico, la Pacem in terris, ecc.) quanto la sua vita di fede ad avergli guadagnato il titolo di beato. Che poi è ciò che resta d’esempio a noi e a tutti quei posteri che non diverranno mai papi.
«Amore grande, ardentissimo, verso Gesù Cristo e la sua Chiesa; serenità di spirito inalterabile, dolcezza ineffabile col prossimo, ecco tutto», annota Roncalli a 22 anni; «O Gesù, eccomi innanzi a voi, languente e morente per me, vecchio come ormai io sono, avviato alla fine del mio servizio, della mia vita. Tenetemi ben stretto e vicino al vostro cuore, in un solo palpito col mio», scrive in quelle stesse pagine, a ottant’anni, sul limitare della sua esistenza terrena. E non è forse la custodia di questo ininterrotto, candido, fanciullesco rapporto con Gesù il tesoro più inestimabile per la vita di ciascun cristiano? Non vale questo molto più di una positiva “ performance” da pontefice? Naturalmente le due cose sono intimamente connesse, il rapporto col Signore nutre gli atti del ministero («dabit virtutem qui contulit dignitatem», diceva già san Leone Magno, papa), epperò anche il singolo fedele, il laico poco avvezzo alle cose ecclesiastiche, può attingere a piene mani a Giovanni XXIII (anzi, secondo lo storico Alberto Melloni, la dimensione della santità personale risulta, in papa Roncalli, quasi superiore all’autorità suprema di vescovo della Chiesa di Roma). Chiunque ha frequentato i negozi di barbiere prima della morte di Giovanni Paolo II (la cui popolarità ha forse spinto in secondo piano quella dei predecessori) ricorderà su pareti o specchi del negozio un’effigie del Papa buono, piccolo segno della percezione immediata del popolo di Dio di questo pastore ricco di bonomia e spontaneità. Iniziò a muoversi fuori dal Vaticano, tanto che i romani lo chiamavano “Giovanni fuori le mura” e gli americani “Johnny Walker”, Giovanni il camminatore. Tutto della sua persona inclinava al buonumore. Il suo ottimismo – che taluno gli rimproverava scambiandolo per visione idilliaca delle cose del mondo – era vino buono. Agli inizi del pontificato, una notte non riusciva a prendere sonno, angustiato dai problemi che aveva di fronte. Come risolse l’attacco di insonnia? Con questo pensiero: «Dopo tutto, io non sono che il Papa, è prima di tutto affare dello Spirito Santo dirigere la sua Chiesa». E subito si addormentò. La sua operosa simplicitas lo portò a dire queste parole: «C’è chi dice che va tutto male. Niente affatto. Guardate tutta la brava gente, i papà e le mamme che si prodigano per le loro famiglie, i bambini gioiosi e sani, i giovani che entrano con coraggio nella vita. Invece di dire male dei cattivi, aiutiamo i buoni a diventare migliori e i cattivi a convertirsi». Riflessioni che fanno scrollare le spalle ai sapienti, ma nella Chiesa sono i semplici che misurano gli intellettuali, a differenza del mondo dove sono gli intellettuali a misurare i semplici. «Io lascio a tutti la sovrabbondanza della furberia e della cosiddetta destrezza diplomatica, e continuo ad accontentarmi della mia bonomia e semplicità di sentimento, di parola, di tratto», scrive nel 1947, da nunzio a Parigi. L’intera esistenza di Angelo Giuseppe Roncalli – leggendo gli interventi contenuti in questo bel volume – è sorretta più che costellata dal senso sincero e spontaneo della povertà di sé, che non viene censurato, bensì esaltato dall’assunzione del compito di successore di Pietro: «M’è sembrato di udire la voce di Gesù», dice poco dopo l’elezione a papa: «Angelo, ti sei fatto chiamare Giovanni, hai cambiato nome e vestito. Ricordati, se non rimani mite e umile di cuore come me non vedrai nulla degli eventi della Chiesa e dell’umanità. Non ti preoccupare dei primi passi da compiere. Recita vespero, compieta e il rosario, come gli altri giorni; poi, solo dopo, darai inizio al nuovo e ultimo versante della tua vita. Ricordati chi sei e donde vieni. Tutto hai ricevuto, tutto devi dare. Scrivilo!».Ora che il beato Giovanni XXIII può essere invocato con il beneplacito della Chiesa – che lui voleva «libera, casta e cattolica» –, ora che questo nuovo canale di comunicazione con il Cielo è stato aperto, conviene a tutti chiedere per sé quella sua santa cordialità, aperta a ogni circostanza della vita e mai dimentica della grazia ricevuta in dote. Perciò «grazie» a chi ha pubblicato questo libro! «Mi son fatto chiamare Ioannes. Il mondo intero oggi non scrive e non parla che di me, nome e persona. O miei cari genitori, o mamma, o padre mio, o nonno Angelo, o zio Zaverio dove siete? Chi vi trasse a tanto onore? Continuate a pregare per me». E tu, Beato, prega per noi.


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