Con cuore romano
Il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum», presenta il libro sulla vita del cardinale Bernardin Gantin
del cardinale Robert Sarah
G. Cerchietti – G. Grieco – L. Lalloni, Il cardinale Bernardin Gantin. Missionario africano a Roma. Missionario romano in Africa, Lev, Città del Vaticano 2010, 280 pp., euro 13,00
La missione! Il cardinale Gantin l’aveva compresa come il nucleo ermeneutico della sua vita, cioè la chiave di lettura sia della sua esistenza personale sia del suo essere sacerdote. Proprio parlando a Ronco Scrivia, dove era nato uno dei missionari che iniziò l’evangelizzazione nella sua terra del Benin, egli affermava: «Mi sento intimamente commosso nel portare a voi, nella mia umile persona, un segno di quella gratitudine che la Chiesa d’Africa sente per i missionari, i quali, rinunciando a ogni pur legittima soddisfazione umana, hanno messo a disposizione dell’evangelizzazione dell’Africa la salute, le forze fisiche e intellettuali, ogni loro qualità, dote e possibilità, affrontando enormi difficoltà e sacrifici. Non dimentico che la mia stessa appartenenza alla Chiesa cattolica e la scelta della mia vita nella fede cristiana sono certamente legate a quella evangelizzazione nel Dahomey, oggi denominato Benin». Egli spiegava bene, nell’intervista con monsignor Joseph Ballong, responsabile del programma franco-africano della Radio Vaticana, come la sua risposta positiva alla richiesta di Paolo VI di servire i vertici della Curia romana avesse profondamente segnato la sua vita e determinato la sua vocazione missionaria universale. Si trattava di dire un «sì» alla chiamata del Santo Padre nella scia dei missionari che hanno dato la stessa risposta per evangelizzare l’Africa.
Per il cardinale Gantin, essere cristiani significa prima di tutto essere missionari; in altre parole, diventare veri testimoni della Buona Novella della salvezza, rendere presente Gesù in ogni cultura, ogni situazione. In questa prospettiva, che riecheggia nella presentazione odierna del volume, si può leggere il brano del suo commento all’intenzione missionaria del novembre 2004, sul tema della santità, dove affermava: «Senza dubbio l’ambizione principale di un cristiano non è certo quella di essere un giorno beatificato o canonizzato, ma quella di essere un “fedele”, un autentico uomo di fede secondo Cristo, di rendere presente e testimoniare Cristo in tutti gli aspetti e ambienti della sua vita terrena. Questo è un obbligo inevitabile per il cristiano “incaricato della missione”, vale a dire per colui il quale ha espressamente ricevuto il mandato di annunciare il Vangelo» ( Agenzia Fides, 28 ottobre 2004).
Il concetto di missione ritornava sempre nelle parole di questo patriarca della Chiesa africana, delineandosi non soltanto come ricordo dei momenti più salienti o di avvenimenti che non sfuggivano mai alla sua memoria storica, ma anche come evocazione delle figure dei missionari conosciuti e ben amati. Quante volte l’abbiamo sentito ricordare ai suoi ospiti i meriti di questi primi messaggeri di Gesù in terra africana, il loro sacrificio fino al martirio! Quante volte egli spronava la nuova generazione di africani a ricordare questi bellissimi esempi di dedizione alla causa del Vangelo. Essi dovevano servire da modello per i giovani nella consacrazione della loro vita a servizio di Dio e della Chiesa, come dice questo bel proverbio della saggezza popolare africana: “ C’est au bout de la vieille corde qu’on tisse la nouvelle”, “è alla fine della vecchia corda che si intreccia la nuova”. Così la missione era da lui presentata soprattutto come l’espressione di un dovere di memoria verso tutti quelli che hanno portato la luce del Vangelo in terra africana. Si trattava di una riconoscenza sempre viva e ribadita in più occasioni, che doveva tradursi anche nella coscienza di un impegno di continuità per l’instaurazione del regno di Dio. Perciò si è potuto dire e scrivere di questo grande uomo di Dio: «La sua figura e la sua storia si rivelano come una epifania ecclesiale e missionaria».
Benedetto XVI impone la berretta cardinalizia a Robert Sarah nel concistoro del 20 novembre 2010 [© Paolo Galosi]
La pubblicazione di questo volume che viene a pochi giorni dal concistoro, nel quale quattro figli dell’Africa sono stati elevati alla dignità cardinalizia, potrebbe essere ben compresa come un segno della Provvidenza, che ha voluto richiamare a tutti la figura del porporato che fu il primo ecclesiastico africano ad aver ricoperto ruoli di altissima responsabilità nella Curia romana.
I tre autori che ci offrono questa bella opera non sono stati semplici scrittori o curatori di testi altrui. Essi sono stati testimoni vivi accanto al cardinale Gantin durante il suo soggiorno romano, come anche nel suo ritiro a Cotonou, in Benin. Padre Giulio Cerchietti, l’instancabile, discreto ed efficace segretario particolare, divenuto nell’arco degli anni anche suo figlio spirituale; Gianfranco Grieco, ben conosciuto per il suo grande amore al cardinale, che scrisse, nel 2003, un libro dal titolo suggestivo, Benin, la mia Africa, la mia Chiesa. La testimonianza del cardinale Bernardin Gantin, pubblicato dalla casa editrice Piemme; e Luigi Lalloni, il medico personale sempre al fianco del cardinale, che ha raccolto tante delle sue confidenze.
Missionario, il cardinale lo fu con un cuore sempre aperto per tutti, soprattutto per l’Africa, il continente che vibrava nelle fibre delle sue viscere. Egli lo fu con l’amicizia e la generosità che lo caratterizzavano, la delicatezza e l’attenzione, l’umiltà e l’ascolto di tutti, l’abbandono alla volontà di Dio e la sottomissione alla Chiesa. Certamente, il lettore sarà colpito dal coro delle testimonianze raccolte in questo volume. L’unanimità circa le sue qualità umane e doti è evidente. Questi autori provengono da ambienti, culture e continenti diversi. Tutti riconoscono il cuore d’oro di questo africano che, permeato dal Vangelo, «ha tracciato un solco missionario dell’Africa nel cuore della cattolicità» (cardinale Dias, intervento alle celebrazioni giubilari, Agenzia Fides, 14 maggio 2008). Se è vero che lui «non è stato solo un grande simbolo dell’Africa cattolica nella Curia romana, ma anche un segno vivo della ricompensa dell’Africa alla Chiesa universale» (sua eccellenza monsignor Clemens), questo volume ci offre l’occasione per metterci a questa scuola di saggezza, di profondità e di densità spirituale che egli ha incarnato.
Roma, 23 novembre 2010