L’essenziale è la preghiera
«Se la missione della Chiesa non ha radici nella preghiera, e da questa non è alimentata, non darà mai frutti, e, come un albero cui manca l’acqua, dissecca». Parla Ramzi Garmou, arcivescovo di Teheran dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale dell’Iran
di Ramzi Garmou, arcivescovo di Teheran dei Caldei
Monsignor Ramzi Garmou nella Cattedrale di San Giuseppe a Teheran [© Getty Images]
Avevo dapprima richiamato l’attenzione sul rischio per le nostre Chiese di essere etniche e nazionaliste, di ripiegarsi su sé stesse per conservare cultura, lingua e costumi propri e di perdere altresì il senso missionario.
Il secondo punto riguardava la vita contemplativa e monastica. È noto che tale forma di vita cristiana è nata in Oriente, in Egitto, in Mesopotamia, in Persia, e che è passata in Occidente successivamente. In Iran abbiamo avuto periodi in cui i monasteri erano centinaia e centinaia. E se tra il IV e il XIII secolo la Chiesa d’Oriente, che oggi chiamiamo Assiro-Caldea, ha potuto annunciare il Vangelo fino in Cina, in Mongolia, in India e in altri Paesi, è stato grazie alla presenza di monasteri dove la vita di preghiera era tanto fervente e profonda. Se la missione della Chiesa non ha radici nella preghiera, e da questa non è alimentata, non darà mai frutti, e, come un albero cui manca l’acqua, dissecca. Oggi nei nostri Paesi in Oriente purtroppo assistiamo alla sparizione di questa forma di preghiera e di vita cristiana.
Secondo me, la ragione principale di tale dolorosa condizione è l’affievolimento della nostra fede e la preferenza data alle varie attività, a scapito della preghiera. Il pericolo dell’attivismo minaccia coloro che svolgono il lavoro pastorale e fa sì che dimentichiamo l’essenziale della nostra missione e consacriamo molto tempo a quanto è secondario. Ricordiamoci l’episodio evangelico di Marta e Maria. È Gesù stesso a dire che Maria, assisa ai suoi piedi mentre ascolta le sue parole, ha scelto la parte migliore, ha scelto l’essenziale.
Il Vangelo evidenzia con forza il tempo che Gesù riserva alla preghiera. Egli congedava le folle che venivano a trovarlo per andare a pregare in solitudine, trascorreva le notti in preghiera… Gesù non ci chiede di fare tante cose, ma di fare l’essenziale. Il lavoro pastorale e la preghiera sono tra loro complementari. Sono entrambi necessari perché la missione dia i suoi frutti, frutti che rimangano. Spero che con l’aiuto dello Spirito Santo, potremo ristabilire questa forma di vita cristiana ed ecclesiale nelle nostre Chiese e rispondere a questo bisogno così concreto e urgente.
I quattro vescovi che formano la Conferenza episcopale dell’Iran hanno partecipato al Sinodo. Nella nostra prossima riunione dovremo tentare di mettere in pratica le decisioni e gli orientamenti sinodali, così che il grano seminato in Vaticano possa crescere e dare frutto per la Chiesa di Cristo in Iran.
La Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran riconosce ufficialmente tre minoranze religiose: cristiani, zoroastriani ed ebrei. Noi abbiamo la libertà di tenere attività religiose all’interno dei nostri luoghi di culto senza poter testimoniare la nostra fede cristiana pubblicamente. Dato che godiamo di una libertà limitata, occorre far di tutto perché tale libertà serva ad animare e approfondire la fede dei fedeli e renderli consapevoli della missione che essi hanno nel Paese.
L’emigrazione dei cristiani non è cominciata oggi, non è cominciata con l’avvento del regime islamico, ha un secolo di storia ed è aumentata d’intensità negli ultimi anni. A mio parere le ragioni sono numerose. Ce n’è una d’ordine economico, come del resto in molti Paesi: il tasso di disoccupazione è in Iran molto elevato, molti sono senza lavoro, senza salario e senza capacità di far fronte alle spese quotidiane. La seconda è d’ordine politico, legata alla condizione di conflitto e insicurezza che regna nei Paesi di questa regione, e che si è aggravata dopo l’ingiusta occupazione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e le minacce di questi ultimi contro l’Iran. La terza riguarda un’agenzia ebraica di stanza negli Stati Uniti, di nome Hias, che da una decina d’anni si è incaricata di facilitare le partenze dei cristiani iraniani per condurli negli Stati Uniti, passando per l’Austria. Per questa via un gran numero di fedeli ha già abbandonato l’Iran e altri sono in procinto di farlo. Non so perché quest’agenzia operi così, so che è una delle cause dell’accelerazione dell’emigrazione.
Circa il dialogo interreligioso, c’è quello ufficiale tra la Santa Sede e l’Iran. E più volte ho avuto occasione, sia a Teheran che in Vaticano, di partecipare agli incontri del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. L’importanza di tale confronto è stata messa in evidenza dalle proposizioni del Sinodo. Mi pare che mantenere questo dialogo sia un gesto di saggezza, perché consente una migliore conoscenza reciproca e il consolidamento di amicizie fondate su uno spirito di confidenza. Come cristiani, crediamo all’azione dello Spirito Santo, che agisce nel cuore di ciascun uomo e lo conduce alla verità rivelata in Gesù Cristo. Un dialogo vissuto nella fede e nella sincerità può accendere la luce della fede nei cuori di coloro che vi partecipano. Però, vorrei piuttosto insistere sulla necessità e l’efficacia del dialogo nella vita quotidiana. In un Paese come l’Iran – dove siamo un piccolo gregge cristiano affiancato da una maggioranza assoluta islamica – è attraverso degli scambi così semplici e naturali che possiamo testimoniare la nostra fede in Gesù Cristo. Ogni giorno, nel posto di lavoro, a scuola, in autobus o nel vicinato, siamo a fianco dei nostri fratelli musulmani, e sta a noi rendere tali occasioni gratuite dei momenti in cui annunciare il Vangelo, e ciò è possibile quando la nostra vita è ogni giorno animata dall’amore per il nostro prossimo.
Il Sinodo, purtroppo, in due settimane di lavori, non ha attribuito sufficiente rilevanza alla difficile, critica condizione dei catecumeni e dei neofiti in Medio Oriente. Spesso sono allontanati dalle proprie famiglie, perseguitati dai regimi e, ciò che è peggio, si sentono esclusi dalla Chiesa, che non vuole assumere alcun rischio. Il Vangelo ci ricorda che la persecuzione e il martirio fanno parte della vita cristiana e della missione della Chiesa. Preghiamo lo Spirito Santo, Spirito di coraggio e di forza, di renderci capaci di accogliere i nostri fratelli e le nostre sorelle, che grazie alla loro testimonianza di vita consolidano la Chiesa, corpo mistico di Cristo.