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CRISTIANESIMO
tratto dal n. 09 - 2001

Le parole dello stupore


Il Vangelo di Marco sembrerebbe non avere una cristologia «robusta e ben definita». Monsignor Settimio Cipriani mostra invece che essa è espressa attraverso gli interrogativi e i termini che dicono stupore, qui più numerosi che in tutti gli altri Sinottici


di Lorenzo Cappelletti


Da vecchi non ci si aspetta di stupirsi. Tanto più inusuale dunque che, arrivato a concludere la sua attività di insegnamento, un sacerdote, per di più esegeta, abituato “professionalmente” a trattare la Scrittura, abbia pensato di dedicare la sua lectio magistralis conclusiva a “La cristologia dello ‘stupore’ nel Vangelo di Marco”. È quanto ha fatto monsignor Settimio Cipriani della Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli. (Anche al Nord un altro vecchio esegeta, il cardinal Martini, commentando un altro evangelista, Luca, ha voluto partire dal medesimo termine, nella lettera pastorale 2001-2002 alla sua diocesi “Sulla tua parola (Lc 5,5)”: «Siamo certi che il Signore saprà ancora stupirci con la sua fedeltà e le sue sorprese». Sia detto fra parentesi).
La guarigione del cieco nato, Duccio di Buoninsegna, National Gallery, Londra.

La guarigione del cieco nato, Duccio di Buoninsegna, National Gallery, Londra.

Il tema di una lezione magisteriale di commiato, non essendo minimamente vincolato, oltre a raccogliere la sintesi maturata in un’intera vita di ricerche, esprime liberamente la sensibilità attuale di uno studioso. Quando si tratta di uno studioso autoreýole come monsignor Cipriani conviene prestare attenzione: «È dallo stupore che nasce o può nascere la fede; e la fede a sua volta genera uno stupore sempre più grande, perché ci immette nel mistero sconfinato dell’amore di Dio verso di noi, disvelatoci in Cristo, nostro Signore» (p. 26). Parole conclusive (sintesi della sintesi, potremmo dire) della sua lezione, che è stata pubblicata recentemente nel volume unico dell’anno 2000 (le riviste – a 30Giorni lo sappiamo bene – non escono sempre quando si vorrebbe) di Asprenas, la rivista da lui stesso diretta, secondo l’ordine datole dall’autore. Le citazioni si riferiranno tutte a tale volume.

L’essenza
della cristologia di Marco

Monsignor Cipriani esordisce col rendere ragione del titolo scelto, perché sa che potrebbe risultare eccentrico dal punto di vista cristologico. Non pochi studiosi, infatti, ritengono «che Marco non abbia una cristologia robusta, ben definita [...] essendo stato lui il primo a raccogliere le tradizioni svariate e non sempre coerenti riguardanti Gesù» (p. 5). Cipriani non nega questo carattere del Vangelo di Marco, ma ritiene anche – e gli studi più recenti stanno lì a dimostrarlo – che Marco, «abilissimo narratore» (p. 6), non abbia «assemblato in maniera disorganica il materiale che si trovava fra mano» (p. 7) e che dunque la sua cristologia vada cercata nelle risorse linguistiche e nella stessa struttura narrativa del suo Vangelo. In realtà «tutto il Vangelo di Marco è teso alla scoperta di “chi” sia veramente Gesù» (ibidem). Cipriani mette in luce la forza di questa debole cristologia dello stupore: «È un modo anche questo di fare “cristologia” caratteristico ed esclusivo di Marco. Qualcuno potrebbe anche definirla cristologia “bassa”; noi preferiamo chiamarla cristologia semplicemente, perché di fatto ci avvia in qualche maniera al riconoscimento, o almeno al sospetto, che in Gesù Dio sia veramente presente e operante» (ibidem).
In effetti, fin dall’inizio, l’imposizione, da parte di Gesù, del segreto sulla sua messianicità ai demoni, ai miracolati e perfino agli apostoli ripropone di continuo la domanda su chi egli sia. È «come l’essenza della sua cristologia, fatta di sorpresa, di meraviglia, di sbigottimento» (p. 16), dice Cipriani. La stessa confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), che segna lo spartiacque del «Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio» (Mc 1,1), non esaurisce il suo mistero. Ché anzi è rilanciato dall’annunzio della passione e dal rimprovero che segue al ragionare di Pietro «non secondo Dio ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Finanche lo sbigottimento delle donne è posto a chiusura (quella originaria secondo Cipriani) del Vangelo di Marco (Mc 16,8) per ribadire quello stupore, fatto in ugual misura di gioia e di timore, di fronte a Gesù Cristo.
«Tutto questo crea un clima di attesa, di interrogazione continua nei riguardi di Gesù, che si esprime soprattutto negli atteggiamenti di sorpresa, di stupore sempre rinnovato della gente, ivi inclusi i suoi discepoli [anche quelli che verranno in seguito: «Tutto questo Marco lo fa non per narrare una storia del passato» (p. 20), ripete Cipriani], di fronte a quello che egli fa o dice» (p. 7), o a volte anche alla semplice sua presenza (cfr. pp. 11-12).

Le parole
dell’accadere dello stupore

La lezione magisteriale va così a indagare, a livello esegetico, quali parole e quali strutture narrative esprimano quella sorpresa, di fronte a Gesù Cristo, che «ci avvia in qualche maniera al riconoscimento, o almeno al sospetto, che in Gesù Dio sia veramente presente e operante» (p. 7).
La prima valutazione è statistica: il Vangelo più antico e più corto è quello che più a lungo si sofferma sullo stupore: «Nel Vangelo di Marco ci sono ben 34 occorrenze di verbi, sostantivi, o aggettivi, più che in qualsiasi altro evangelista, che esprimono meraviglia, stupore o anche [...] timore, paura nei riguardi di Gesù» (p. 8).
«Lo stupore irrompe subito all’inizio del Vangelo» (p. 9), quando Gesù entrato di sabato nella sinagoga di Cafarnao, insegna con autorità e guarisce un indemoniato, comandando allo spirito immondo, che lo aveva riconosciuto come “il santo di Dio”, di tacere (Mc 1,21-28). «Tutti furono stupiti (•yambÄyhsan)» (Mc 1,27). Aoristo passivo debole di uno dei «due verbi che più esplicitamente esprimono stupore, soprattutto sacro, fino a creare senso di smarrimento o timore, [e che] sono “esclusivi” di Marco: yambeîsyai (3 volte) e •kyambeîsyai (4 volte)» (p. 8). Nel secondo, l’aggiunta della preposizione •k determina un’intensificazione del significato espresso dal verbo semplice.
Questi verbi esclusivi di Marco (yambeîsyai e •kyambeîsyai) possono esprimere sia gioiosa meraviglia sia timore, sia l’uno e l’altro insieme. Altrettanto fanno altri verbi e sostantivi, fra i quali Cipriani analizza quelli che sono usati da Marco con frequenza maggiore rispetto agli altri Sinottici. Ma Cipriani fa subito notare che i sostantivi sono «meno usitati» (p. 8) dei verbi (yámbow, ad esempio, che si trova più volte in Luca, non si trova in Marco), a suggerire che lo stupore nel Vangelo di Marco non è anzitutto uno stato, che la moderna psichiatria potrebbe sospettare di catatonia, ma un accadere. Tanto è vero che «presupposto di questa sensazione è l’impressione di qualcosa che di colpo accada davanti ai miei occhi» (p. 9). Se la parola stupore viene tanto in uggia ad alcuni, se altri sono tanto sospettosi di fronte ad essa è perché la ripetizione letterale della parola grazia in costoro è inversamente proporzionale alla sottolineatura del suo accadere, dell’«operare della grazia», per dirla con Péguy.
Un altro verbo caratteristico in questo senso è •kplÄssomai. «Pur non essendogli esclusivo, Marco lo adopera per ben 5 volte, contro le 4 di Matteo e le 3 di Luca. Adoperato esclusivamente al passivo, anch’esso intensificato dalla preposizione •k, sta a significare qualcosa come “essere sopraffatti, essere fuori di sé, essere sbigottiti” da qualcosa che si vede o che si sente» (p. 16). È il verbo che torna, in particolare, di fronte all’insegnamento di Gesù nella sinagoga di Cafarnao e di Nazareth (cfr. Mc 1,22 e 6,2); dopo la guarigione del sordomuto (Mc 7, 37); dopo le parole di Gesù al giovane ricco (Mc 10,26) e nel momento della cacciata dei venditori dal tempio di Gerusalemme (Mc 11,18).
«C’è un altro verbo, con relativo sostantivo, che è caratteristico di Marco, ed esprime anch’esso per lo più stupore, sorpresa, meraviglia; qualche volta senso di disagio e forse anche di preoccupazione e di paura. Si tratta del verbo •jísthmi, ricorrente in Marco 4 volte, in Luca appena 2, in Matteo 1 volta sola; e del sostantivo ¥kstasiw, ricorrente 2 volte in Marco, 1 volta sola in Luca. Il verbo •jísthmi nel Nuovo Testamento significa “essere o rimanere attonito, quasi fuori di sé per lo stupore”» (pp.17-18). È il verbo che ricorre di fronte alla guarigione del paralitico a cui Gesù rimette i peccati (Mc 2,12) e, rafforzato dal sostantivo corrispondente, di fronte alla resurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,42); ancora, quando Gesù appare di notte sulle acque del lago (Mc 6,51); e, in senso negativo, quando proprio quelli di casa sua si domandano se Gesù non sia fuori di sé (Mc 3,21); infine, col sostantivo ¥kstasiw, Marco descrive il sentimento delle donne di fronte al sepolcro vuoto e alle parole dell’angelo (Mc 16,8): «È chiaro che qui ¥kstasiw, come risulta da tutto il contesto, [...] esprime senso di timore, di spavento, ma anche di sorpresa: sorpresa che ti arrovella la testa, perché è qualcosa di nuovo, di inatteso, di insperato che ti si presenta davanti. Un turbamento momentaneo, che può esplodere anche in una gioia immensa» (p. 19).

Domande su Gesù
e domande di Gesù

Lo stupore d’altra parte non è segnalato soltanto dall’uso di questi vocaboli ma, come dicevamo, da tutta la struttura narrativa del Vangelo di Marco fatta di continue domande, fino a quella suprema del sommo sacerdote: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?» (Mc 14,61). Non sono però solo le domande su Gesù a esprimere e suscitare sorpresa di fronte a lui, un posto notevole in questo senso nel Vangelo di Marco spetta alle domande di Gesù. Le domande di Gesù infatti ripropongono l’interrogativo su di lui: «Esse sono strumenti e modalità efficaci per aprire spiragli e lasciare intuire qualcosa di più profondo circa l’identità di Gesù. Sono in grado per loro natura di porre dubbi, di suscitare altre domande, di mettere in questione il già acquisito o di suscitare curiosità intorno alla sua persona» (p. 25).
«Facendo un quadro sinottico del domandare di Gesù risulta che in Marco, il più breve dei Vangeli sinottici, ci sono ben 61 domande di Gesù, rivolte o ai discepoli, o agli avversari, o ad altre persone, contro un totale di 40 domande in Matteo e di 25 in Luca» (p. 24).
Ci chiediamo se un’indagine (dello stesso tipo di quella sulle domande di Gesù, che ha costituito l’oggetto proprio di studi recentissimi ripresi da Cipriani nella sua lezione) fatta a proposito dello stupore umanissimo di Gesù di fronte alla fede di alcuni, all’incredulità di altri, o semplicemente riguardo ai poveri e ai bambini non darebbe risultati altrettanto interessanti nel confronto fra il Vangelo di Marco e gli altri Sinottici. Magari è già stata fatta e potrebbe essere segnalata ai profani! Con questa domanda salutiamo e ringraziamo monsignor Cipriani.


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