IL TITULUS CRUCIS. Una recente inchiesta arriva a conclusioni affrettate
Tradizione confermata o danneggiata?
di Lorenzo Bianchi
Tra il 1484 e il 1493 il cardinal Mendoza sottopose la chiesa della Santa Croce al restauro del coro, del soffitto, oggi perduto, e dell’affresco dell’abside. Durante questi lavori, come si legge nel Diario di Stefano Infessura alla data del 10 febbraio 1492, quando gli operai ebbero raggiunto la sommità dell’arco trionfale, dove si trovavano le colonnine, vi rinvennero una nicchia, contenente una scatola di piombo: sopra, in una tabella di terracotta appariva scritto «TITULUS CRUCIS». Nella scatola si trovò una tavoletta «lunga un palmo», corrosa da un lato e con incise e dipinte in rosso alcune lettere rovesciate e da destra a sinistra, in tre righe scritte, dal basso in alto, in latino, greco ed ebraico, che, integrate, si traducono con: «Gesù il Nazareno, re dei Giudei» («I. NAZARINVS RE[X IVDAEORVM]» in latino; «IS NAZARENUS B[ASILEUS TVN IOUDAIVN]» in greco).
La sistemazione di questa reliquia al colmo dell’arco trionfale della basilica si deve molto probabilmente a Lucio II (1144), che fece costruire il transetto, di cui l’arco trionfale fa parte. Sulla scatola furono anche trovati tre suoi bolli in ceralacca, dell’epoca in cui era cardinale titolare della chiesa. Meno probabile è l’ipotesi che egli abbia rinvenuto la reliquia già lì, e l’abbia solamente richiusa dopo averla sigillata. Tutto fa pensare che la reliquia fosse già presente nella chiesa ab antiquo, probabilmente custodita, assieme alle altre reliquie della Croce (in particolare uno dei chiodi della crocifissione, altri frammenti della croce, due spine della corona, parte della croce del buon ladrone), nella cappella di Sant’Elena (l’attuale collocazione delle reliquie è moderna: la cappella che le ospita fu inaugurata nel 1930 e compiuta nel 1952).
Il titulus Crucis è esplicitamente menzionato nei Vangeli, in particolare in quello di Giovanni (Gv 19, 19): «Scripsit autem et titulum Pilatus et posuit super crucem. Erat autem scriptum: “Iesus Nazarenus, Rex Iudaeorum”» («Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce. Vi era scritto “Gesù il Nazareno, re dei Giudei”»). La tradizione antica che, dal V secolo, séguita il De vita Constantini di Eusebio narra del viaggio di sant’Elena in Terra Santa, dove rinvenne la Croce, confusa con quelle dei ladroni, e, accanto, il titulus, staccato, che portò con sé a Roma, per donarlo alla chiesa Hierusalem. La verifica di questa tradizione, e, insieme ad essa, dell’autenticità della reliquia è una questione che ancora non ha avuto, almeno dal punto di vista della ricerca scientifica, risultati definitivi. Anche se, proprio in considerazione della titolatura della chiesa e dei motivi che portarono alla sua fondazione, risulta difficile pensare ad una falsificazione, l’analisi delle fonti, soprattutto quelle documentarie, non permette di arrivare ad una ricostruzione certa delle vicende del titulus, in particolare (ma non solo) per quel che riguarda il periodo altomedioevale. Occorrerebbe dunque una serie di sistematiche indagini scientifiche coordinate, condotte secondo i metodi propri delle varie discipline (dalla filologia alla paleografia, all’analisi dei materiali) che fornissero dati puntuali, certi e tra loro confrontabili, pubblicati scientificamente e dunque verificabili. Diversamente, come accaduto per recenti e anche molto pubblicizzate inchieste (mi riferisco al volume di Michael Hesemann, Titulus Crucis, edito in lingua tedesca da Herder nel 1999 e in lingua italiana dalle Edizioni San Paolo nel 2000), si rischia solo, pur non volendolo, di fare confusione, fors’anche dannosa.
L.B.
IL TITULUS CRUCIS La lastra di terracotta dietro la quale, al culmine dell’arco trionfale della basilica, fu rinvenuta la cassetta contenente il titulus Crucis (nella foto in basso), l’iscrizione che era posta sopra la croce di Gesù Cristo. Se ne conserva solo una parte. La scritta, in ebraico, greco e latino, dice: «Gesù il Nazareno, re dei Giudei»
Il titulus Crucis è esplicitamente menzionato nei Vangeli, in particolare in quello di Giovanni (Gv 19, 19): «Scripsit autem et titulum Pilatus et posuit super crucem. Erat autem scriptum: “Iesus Nazarenus, Rex Iudaeorum”» («Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce. Vi era scritto “Gesù il Nazareno, re dei Giudei”»). La tradizione antica che, dal V secolo, séguita il De vita Constantini di Eusebio narra del viaggio di sant’Elena in Terra Santa, dove rinvenne la Croce, confusa con quelle dei ladroni, e, accanto, il titulus, staccato, che portò con sé a Roma, per donarlo alla chiesa Hierusalem. La verifica di questa tradizione, e, insieme ad essa, dell’autenticità della reliquia è una questione che ancora non ha avuto, almeno dal punto di vista della ricerca scientifica, risultati definitivi. Anche se, proprio in considerazione della titolatura della chiesa e dei motivi che portarono alla sua fondazione, risulta difficile pensare ad una falsificazione, l’analisi delle fonti, soprattutto quelle documentarie, non permette di arrivare ad una ricostruzione certa delle vicende del titulus, in particolare (ma non solo) per quel che riguarda il periodo altomedioevale. Occorrerebbe dunque una serie di sistematiche indagini scientifiche coordinate, condotte secondo i metodi propri delle varie discipline (dalla filologia alla paleografia, all’analisi dei materiali) che fornissero dati puntuali, certi e tra loro confrontabili, pubblicati scientificamente e dunque verificabili. Diversamente, come accaduto per recenti e anche molto pubblicizzate inchieste (mi riferisco al volume di Michael Hesemann, Titulus Crucis, edito in lingua tedesca da Herder nel 1999 e in lingua italiana dalle Edizioni San Paolo nel 2000), si rischia solo, pur non volendolo, di fare confusione, fors’anche dannosa.
L.B.