Gli appuntamenti di Parigi
Giulio Andreotti
Ho richiamato altre volte l’attenzione dei nostri lettori sull’importanza della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Tra le varie costruzioni continentali è quella di cui si parla meno, nonostante la straordinaria ampiezza del suo ambito, che comprende cinquantacinque Paesi, molti europei e, fra gli altri, gli Stati Uniti d’America e il Canada. Fu agli inizi (Atto di Helsinki del 1975) una affermazione comune di prospettive che per il momento – guerra fredda e muro di Berlino – erano solo auspici a futura memoria. Ma nel 1990 la conferenza di Parigi ne rinnovò solennemente il significato e gli impegni. Nella recentissima riunione parlamentare dell’Organizzazione, tenutasi per turno presso l’Assemblea nazionale di Parigi, si è da parecchi oratori sottolineato il deficit democratico della struttura. Ed in effetti, pur essendo tutti i convenuti espressione delle rappresentanze elettive dei rispettivi Stati, salvo una informazione quasi sempre a delibere avvenute fornita dal governo che ha la presidenza di turno, non vi è un rapporto diretto o un potere di determinare indirizzi. In realtà il problema è più ampio. E dovrebbe affrontarsi fissando una triangolazione effettiva tra queste assemblee, i Parlamenti nazionali e i governi. Oggi vi è un multiparallelismo e le parallele, nonostante la ardita teoria di Aldo Moro, non si incontrano.
Ci si chiede allora quale valore pratico abbiano le deliberazioni votate a Parigi il 10 luglio. Dobbiamo annotare anche che su uno dei documenti – quello riguardante la pena di morte – il consenso non è stato davvero unanime. Anzi!
L’importanza intrinseca di questi testi tuttavia è notevole.
Vediamo alcuni passi di due documenti. «L’Assemblea: a) suggerisce che l’Unione europea esamini e chiarifichi il modo con cui potranno essere unite e utilizzate le risorse militari e in particolare le capacità comuni; b) si felicita che l’Unione stessa sia decisa nel proseguire le sue collaborazioni con la Nato e con l’Osce; c) propone di studiare la possibilità che una capacità militare associata dell’Unione europea sia messa a disposizione dell’Osce e dell’Onu come strumento di ricambio per le attività di gestione delle crisi, del ristabilimento e conservazione della pace; d) ai fini della difesa ma in un’ottica più vasta l’Unione deve tener conto anche del punto di vista dei Paesi esterni; e) i meccanismi per autorizzare una azione militare dell’Unione europea devono essere individuati con precisione e adeguamento alle realtà; f) sottolinea il legame esistente tra gli aspetti economici, umani e politici della sicurezza, postulandosi pertanto un equilibrio tra spese militari e spese sociali; g) si costruisca una interazione tra gli aspetti militari e quelli civili nel mantenimento della pace; h) accentua l’importanza del controllo parlamentare degli aspetti della difesa; i) evidenzia le caratteristiche di apertura e di dialogo connaturali all’Osce; l) impegna gli Stati partecipanti a continuare a rispettare il Trattato sulla limitazione dei sistemi dei missili antimissili balistici, proseguendo il dialogo sulla sua validità nella salvaguardia della pace e della sicurezza internazionali». Quest’ultimo punto assume un rilievo delicatissimo, dato l’esperimento che gli americani hanno realizzato qualche giorno dopo.
Circa la pena di morte il documento finale di Parigi la definisce arbitraria, inumana e degradante, equiparandola alle torture che negli Stati rispettosi dei diritti dell’uomo non dovrebbero esistere. Se ne accentua poi il rischio di punire degli innocenti. Sui 189 Paesi membri dell’Onu solo 108 hanno abolito la pena capitale; ed anche tra i Paesi Osce purtroppo dieci la mantengono nei loro ordinamenti. È stata chiesta comunque in via subordinata e transitoria la sospensione delle esecuzioni e la grazia per i condannati minorenni handicappati. La via in proposito è lunga, ma non si deve abbandonare la coraggiosa trincea. Una certa soddisfazione ha provocato la presa d’atto che il Cile si è aggiunto alla lista degli abolizionisti.
Sullo sfondo del dibattito parigino sono emerse due grandi preoccupazioni: le difficoltà nel configurare modelli efficaci di prevenzione delle crisi; e la tuttora insufficiente tutela di molte minoranze etniche.
Queste riunioni di Parigi non hanno avuto, come sempre, una grande eco esterna. Forse perché tutti gli spazi erano presi dalla questione del G8. Non voglio davvero disconoscere l’importanza dell’appuntamento di Genova, né sentenziare con superficialità su tutti i meccanismi di contestazione. Ad un gruppo di giovani che visitavano il Senato e mi sollecitavano l’impegno per i poveri del mondo ho assicurato tutta la sensibilità al riguardo, invitando però ad avere accanto all’attenzione per gli affamati del Bangladesh analogo impegno per i poveri delle nostre città e nel sostegno delle missioni.
Un momento della conferenza dell’Osce a Parigi
Ci si chiede allora quale valore pratico abbiano le deliberazioni votate a Parigi il 10 luglio. Dobbiamo annotare anche che su uno dei documenti – quello riguardante la pena di morte – il consenso non è stato davvero unanime. Anzi!
L’importanza intrinseca di questi testi tuttavia è notevole.
Vediamo alcuni passi di due documenti. «L’Assemblea: a) suggerisce che l’Unione europea esamini e chiarifichi il modo con cui potranno essere unite e utilizzate le risorse militari e in particolare le capacità comuni; b) si felicita che l’Unione stessa sia decisa nel proseguire le sue collaborazioni con la Nato e con l’Osce; c) propone di studiare la possibilità che una capacità militare associata dell’Unione europea sia messa a disposizione dell’Osce e dell’Onu come strumento di ricambio per le attività di gestione delle crisi, del ristabilimento e conservazione della pace; d) ai fini della difesa ma in un’ottica più vasta l’Unione deve tener conto anche del punto di vista dei Paesi esterni; e) i meccanismi per autorizzare una azione militare dell’Unione europea devono essere individuati con precisione e adeguamento alle realtà; f) sottolinea il legame esistente tra gli aspetti economici, umani e politici della sicurezza, postulandosi pertanto un equilibrio tra spese militari e spese sociali; g) si costruisca una interazione tra gli aspetti militari e quelli civili nel mantenimento della pace; h) accentua l’importanza del controllo parlamentare degli aspetti della difesa; i) evidenzia le caratteristiche di apertura e di dialogo connaturali all’Osce; l) impegna gli Stati partecipanti a continuare a rispettare il Trattato sulla limitazione dei sistemi dei missili antimissili balistici, proseguendo il dialogo sulla sua validità nella salvaguardia della pace e della sicurezza internazionali». Quest’ultimo punto assume un rilievo delicatissimo, dato l’esperimento che gli americani hanno realizzato qualche giorno dopo.
Circa la pena di morte il documento finale di Parigi la definisce arbitraria, inumana e degradante, equiparandola alle torture che negli Stati rispettosi dei diritti dell’uomo non dovrebbero esistere. Se ne accentua poi il rischio di punire degli innocenti. Sui 189 Paesi membri dell’Onu solo 108 hanno abolito la pena capitale; ed anche tra i Paesi Osce purtroppo dieci la mantengono nei loro ordinamenti. È stata chiesta comunque in via subordinata e transitoria la sospensione delle esecuzioni e la grazia per i condannati minorenni handicappati. La via in proposito è lunga, ma non si deve abbandonare la coraggiosa trincea. Una certa soddisfazione ha provocato la presa d’atto che il Cile si è aggiunto alla lista degli abolizionisti.
Sullo sfondo del dibattito parigino sono emerse due grandi preoccupazioni: le difficoltà nel configurare modelli efficaci di prevenzione delle crisi; e la tuttora insufficiente tutela di molte minoranze etniche.
Queste riunioni di Parigi non hanno avuto, come sempre, una grande eco esterna. Forse perché tutti gli spazi erano presi dalla questione del G8. Non voglio davvero disconoscere l’importanza dell’appuntamento di Genova, né sentenziare con superficialità su tutti i meccanismi di contestazione. Ad un gruppo di giovani che visitavano il Senato e mi sollecitavano l’impegno per i poveri del mondo ho assicurato tutta la sensibilità al riguardo, invitando però ad avere accanto all’attenzione per gli affamati del Bangladesh analogo impegno per i poveri delle nostre città e nel sostegno delle missioni.