La Chiesa fra diplomazia e vita quotidiana
Un pastore per i fedeli che provengono dall’ambiente ebraico
C’è una significativa presenza di cattolici nella società ebraica. Ma non c’è un vescovo tra loro, così come invece c’è per la comunità cattolica di parte palestinese. Le conseguenze nei rapporti tra Chiesa e Stato ebraico
di David M. Jaeger ofm

Gerusalemme vecchia
Il processo di pace segue le nuove linee del piano Mitchell, vi è stata una missione del segretario di Stato americano Colin Powell, del capo della Cia George Tenet con incontri dei responsabili della sicurezza delle due parti; si susseguono i viaggi di Xavier Solana e dellambasciatore Miguel Angel Moratinos per lUnione europea, persino il segretario generale dellOnu Kofi Annan ha visitato il Medio Oriente. Sharon ha incontrato Bush e altri leader europei, e di nuovo Peres ha visto Arafat. Mentre i bagliori di una guerra si fanno più vicini, tutta questa attività porterà a un sostanziale recupero della pace? Tutti lo speriamo. Però si rischia di perdere di vista lessenziale. Lobiettivo non può e non deve essere un cessate il fuoco in un senso ristretto, puramente tecnico. Lunico vero cessate il fuoco è la pace. Altrimenti ci si perderà nelle miriadi di dettagli che potrebbero diventare assurdamente complessi necessari ad organizzare tecnicamente una mera tregua.
Il trattato di pace è lunico vero modo di fermare definitivamente la violenza, e, aggiungo, non è difficile da raggiungere. Anzi. Perché più o meno esiste già. Basta domandarlo allex viceministro degli Esteri ed ex ministro della Giustizia in diversi governi israeliani Yossi Beilin, uno dei massimi esponenti del Partito laburista israeliano, che anche oggi continua i suoi incontri con i leader dellAutorità palestinese per perfezionare un trattato di pace, di cui lui e il vice di Arafat, Abu Mazen, stesero la prima bozza già nel 1995. Il testo fu completato pochi giorni prima dellattentato al primo ministro Yithzak Rabin. E stavano per portarglielo proprio quando fu assassinato.
Da allora ci sono stati naturalmente ulteriori sviluppi e Beilin ha dovuto aggiornare il testo con la controparte palestinese: ha raccolto leredità del vertice di Camp David del 2000 e dei negoziati di Taba del gennaio 2001 (che sono anche basati effettivamente sulle idee Beilin-Abu Mazen). Su queste basi il trattato di pace in realtà cè, e non solo in grandi linee, ma anche in dettaglio. Non è che bisogna inventarsi qualcosa che non esiste, quel che ci vuole è semplicemente il coraggio di apporre la firma. Ogni pensiero ad una soluzione diversa sarebbe unillusione pericolosa: cè chi crede che si possa ottenere un cessate il fuoco che semplicemente duri nel tempo perpetuando lo status quo` cè anche chi ancora oggi crede come già dallindomani della guerra del 67 di continuare in perpetuum un regime di occupazione militare di unintera nazione vicina.

Yossi Beilin
Da osservatore posso dire che certamente cè un elemento di interesse e di preoccupazione. In tutte le bozze e i progetti, soprattutto da parte israeliana, si tende ad ignorare completamente la dimensione internazionale di Gerusalemme. Una vecchia idea di alcuni in Israele si potrebbe esattamente formulare così: "La cosa che meno ci dispiacerebbe lasciare nelle mani dei palestinesi sono i Luoghi Santi cristiani di Gerusalemme", con annessi il quartiere cristiano e gli altri santuari Diventerebbero così una moneta di scambio nel tentativo di risolvere il conflitto nazionale. Questa dolorosa linea di pensiero si ritrova peraltro in una lettera che lallora e attuale ministro degli Esteri israeliano Peres inviò al collega norvegese Holst nel lontano 1993, e che serviva più o meno come complemento dei cosiddetti Accordi di Oslo. Nella lettera, Peres si riferiva effettivamente alle istituzioni cristiane di Gerusalemme come a delle "istituzioni palestinesi", sic et simpliciter.
È unopinione, in quanto tale legittima. Ma quando nelle conversazioni con gli israeliani i rappresentanti della Chiesa cattolica ribattono che la cosa non è leale né giusta, ed essi replicano "quindi voi preferite rimanere sotto il nostro dominio ditelo apertamente!", allora si deve spiegare loro quello che già da tanti anni avrebbero dovuto sapere perfettamente. Che non si tratta di scegliere tra un dominio esclusivo e un altro, ma semplicemente si tratta di far capire che il patrimonio di fede, culturale, architettonico, istituzionale e comunitario che è maturato attorno ai Luoghi Santi interessa gran parte dellumanità, sì da non poter essere regolato con pretese di esclusività da un solo Stato o anche da due Stati. Ma richiede riconoscimento e salvaguardia a livello del diritto internazionale, da unapposita istanza internazionale. È questa la nota posizione della Santa Sede. La Palestina vi ha aderito formalmente e solennemente nel preambolo dellAccordo di base firmato con la Santa Sede il 15 febbraio del 2000. Anche se non sarebbe male ricordarglielo ogni tanto, perché non lho visto tenuto presente granché dai diversi portavoce palestinesi, ad esempio in occasione di Camp David nel luglio 2000. Però limpegno cè, limpegno è prezioso. E la speranza è che Israele possa seguire questo esempio.

Abu Mazen
Cè naturalmente la comunità cattolica di parte palestinese, molto più radicata e strutturata, come è noto. Questa presenza duplice della Chiesa da una parte e dallaltra rende ancora più drammatica per la Chiesa stessa lesperienza del conflitto.
Alcuni domandano: da quando vi è la nuova intifada la Santa Sede pare molto più prudente nel manifestare il suo interesse allinternazionalizzazione dei Luoghi Santi. Al contrario di quando, precedentemente, è parsa invece eccedere. E ricordano la visita a Gerusalemme nel 98 di sua eccellenza Jean-Louis Tauran, "ministro degli Esteri" vaticano, quando, a fianco del patriarca Sabbah, riprese dal salmo ebraico "mi si attacchi la lingua se non ti ricordo, Gerusalemme". Ad alcuni parve uninvasione di campo cattolica nel legame ebraico alla Città Santa. La verità è che nessuno vuol far dimenticare Gerusalemme agli ebrei, anzi. Noi affermiamo il legame degli ebrei a Gerusalemme, e affermiamo nello stesso tempo anche il nostro. Una bellissima espressione a livello biblico, teologico e storico la possiamo ritrovare anche nel più autorevole documento pontificio a riguardo, la lettera apostolica Redemptoris anno dellaprile 1984, in cui il Papa descrive in maniera commovente lattaccamento ebraico a Gerusalemme, come anche descrive quello cristiano e musulmano.

Una Via Crucis per le strade di Gerusalemme
Rispondiamo ora ad un interrogativo comune: che cosa può davvero fare la Chiesa nel processo di pace? Occorre essere sinceri: non bisogna farci illusioni sul peso della Chiesa in Medio Oriente. In questo conflitto, a parte la posizione unica del vicario di Cristo, allinterno delle nazioni coinvolte la Chiesa conta ben poco. Allinterno della nazione palestinese, tutti i cristiani messi assieme sono unesigua minoranza, che oltretutto si è sempre astenuta dal pronunciarsi in proprio sulle questioni interne della nazione, ed è stata un po assente nelle discussioni sulla Costituzione, e sulle leggi che pure tangevano la vita della Chiesa. Comprensibilmente, perché si tratta di una minoranza troppo piccola.
Allinterno di Israele, la Chiesa si è mantenuta pressoché invisibile. Ed è doloroso constatarlo. Durante questultima fase del conflitto, spesso ho pensato che avrebbe senso se un vescovo della Chiesa cattolica in Israele testimoniasse pubblicamente il punto di vista cristiano, non solo trasmettendo le lettere diplomatiche del Papa al capo di Stato, ma come farebbe un buon pastore della Chiesa locale al suo popolo. Questo sì che non sarebbe passato inosservato, avrebbe potuto avere un impatto positivo in molti cuori. Non in tutti, ma in molti sì. E nessuno lha fatto, dentro Israele, nella lingua di Israele. Qui lassenza della Chiesa non è obbligata.

Scontri tra palestinesi ed esercito israeliano a Ramallah
E comunque, il pastore cattolico che parlasse in ebraico al popolo israeliano di certo non disquisirebbe anzitutto sull"esatta qualifica giuridica del futuro assetto del patrimonio universale in Gerusalemme" che spetta ad altri ma continuerebbe la testimonianza del Papa.
Non dimentichiamo il grandissimo impatto della visita del Papa sugli israeliani. A noi certe cose sembrano dei cliché, ma per gli israeliani è stata una novità assoluta vedere un leader religioso, un maestro di religione che non fomenta lodio ma la carità, che promuove non la guerra santa ma la pace santa. Basterebbe che il pastore cattolico continuasse a testimoniare Gesù di Nazareth. E lo facesse con la stessa bontà, con la stessa dolcezza nei modi, con la stessa comprensione.
Mai la lontananza della Chiesa dal popolo in Israele si è rivelata così dolorosa, come in questi ultimi mesi. E certamente, se infine mi si domanda in assoluto senza escludere altre questioni, anche perché nessuno ci obbliga quale sia in Terra Santa il problema più urgente, direi anzitutto la salvezza delle anime, Salus animarum suprema lex, è la legge suprema! Ed anche ciò che la Chiesa deve fare per esistere nella regione.
Lassenza di un pastore visibile ed udibile in Israele è anche causa delle distorsioni nella percezione israeliana di ciò che è la Chiesa, perché si basano su quanto vedono fare dal clero palestinese che, giustamente, vive in prima persona il dramma della sua gente e lo esprime chiaramente, con coraggio.
Tra i palestinesi la Chiesa in Palestina cè, per stare col suo popolo. Tra gli israeliani, no.