Omaggio a De Gasperi
Il prefetto della Congregazione dei vescovi ripropone in questo intervento alcuni brani dalle lettere dello statista
del cardinale Giovanni Battista Re

Alcide De Gasperi
Egli fu una guida politica illuminata e uno statista eminente, che con mano ferma condusse l’Italia sulla via della libertà, della ricostruzione e della rinascita, in un momento difficile e drammatico della sua storia, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. De Gasperi ebbe anche una passione viva per l’ideale della unificazione europea a fianco di Robert Schuman e Konrad Adenauer, unificazione intesa come riconciliazione di popoli che si erano combattuti e collaborazione leale e concorde, salvaguardando identità e cultura dei singoli Paesi.
Non è mia intenzione parlare dello statista né del servizio che, nella sua azione ispirata dall’ideale sociale cristiano, egli rese.
Vorrei invece rendere omaggio alla statura spirituale dell’uomo e in particolare alla sua grande fede.
Vorrei farlo facendo parlare lui, riportando un paio di brani dei suoi scritti, dai quali appare quanto solida fosse la fede trasmessagli dalla famiglia e poi maturata in un ambiente di intenso cristianesimo e di cultura.
Il brano che segue si riferisce al maggio 1927, quando De Gasperi stava soffrendo la persecuzione per ragioni politiche e il carcere.
De Gasperi, con le mani incatenate, era stato portato dalla prigione al tribunale, ma le catene ai polsi non lo avevano addolorato quel mattino, perché aveva in cuore la speranza, anzi la sicurezza, di essere assolto, non avendo nulla nel suo operato di cui rimproverarsi. Invece fu condannato a quattro anni di carcere (poi, successivamente, ridotti). Per lui fu un colpo forte, un dolore grande. Scrivendo alla sua sposa parla di quanto ha provato la sera di quel giorno:
«Verso le sei di sera arrivai nella mia cella che – oh illusione atroce – credevo di non più rivedere. Quando si richiuse su di me il silenzio tombale non piansi, perché ero impietrito, mangiai un boccone e per fortuna suonò presto la campana che ordina il riposo. Mi buttai sul letto, presi in mano il tuo rosario che s’era spezzato come la mia speranza, ma non potei pregare. Mormoravo solo il nome di Dio; oh! ma non mormorai contro di Lui! Quella notte: ho visto il babbo, al quale non sarebbe possibile celare l’accaduto, l’ho visto cadere tramortito, ho visto te ammalata e tutti i miei in schianto e desolazione: le mie bambine povere un giorno e te, quasi vedova, in veste dimessa. Quando il Signore volle, si levò l’alba. Allora solo levando gli occhi verso il lembo azzurro che è la mia vista, i miei occhi incominciarono a stillare lacrime: “Ad Deum stillat oculus meus”, come dice Giobbe. E dopo il pianto incominciai a ragionare. Perché il Signore mi ha lasciato colpire così? Se la cosa fosse solo tra me e la Sua giustizia, lo so, che sarebbero in causa i miei peccati; ma tu, mia santa ed eroica creatura, e le mie figliole innocenti e tutti i miei e i tuoi e gli amici buoni e giusti che hanno pregato? Dio mio, com’è difficile trovare le ragioni ontologiche del dolore! Ma poi questo è fatto pubblico: io sono un granello rimesso dalla Sua mano potente nel vortice del mondo, un sassolino con cui impasta il Suo edificio: qual vortice, quale edificio? Non lo so, ma Dio ha un disegno imperscrutabile, innanzi al quale m’inchino adorando, Francesca, e parlando scrivo a te e a tutti che mi amano. Iddio non può essere né ingiusto, né crudele. Egli ci ama e fa di noi qualcosa che oggi non comprendiamo. Così ragionando mi sono alquanto consolato» (lettera del 31 maggio 1927).
Mi limito ad una sola parola di commento.
De Gasperi, politico umiliato e condannato alla prigione, padre di famiglia privato dei suoi diritti e dei suoi affetti, dopo avere pianto, nelle sue riflessioni si eleva a Dio che guida la grande Storia del mondo e la piccola storia della vita di ciascuno. In questa visione, De Gasperi si rimette alla volontà di Dio e si inchina adorando il disegno di Dio, anche se non lo capisce, ma sa per fede che è un disegno ispirato dall’amore. Per scrivere questo, in quella situazione, ci voleva una fede davvero solida.
La fede fu l’ossatura della sua vita, quando giovanissimo era direttore del giornale Il nuovo Trentino, quando fu al fianco di don Sturzo e gli succedette nell’incarico di segretario del Partito popolare, quando dovette soffrire amaramente e quando fu presidente del Consiglio dei ministri per quasi otto anni.

Il cardinale Giovanni Battista Re
E papa Giovanni XXIII aveva affermato che De Gasperi era ispirato da una «visione biblica della vita». La fede fu la sorgente della forza morale di De Gasperi.
Riporto un brano del suo testamento, redatto nel 1935, quando lavorava alla Biblioteca Apostolica Vaticana, prima di subire un’operazione di ernia. Anch’esso offre uno spaccato edificante della fede adamantina di Alcide De Gasperi. Dinanzi alla morte, ineludibile enigma per ogni essere umano, egli rivela la sua elevata statura di uomo e di credente. È possibile scorgervi, in modo sobrio, ma incisivo, il suo profilo interiore: una fede profonda, alti ideali di vita, intensi sentimenti.
Pensando all’educazione delle figlie, De Gasperi scriveva: «Apprendano da te [si riferisce alla moglie] per quale ideale di umana bontà e di cristiana democrazia il loro padre combatté e sofferse. Leggendo le mie lettere di un tempo e qualche appunto per le mie memorie, impareranno ad apprezzare la giustizia, la fratellanza cristiana e la libertà».
Nella sua vita, De Gasperi ha offerto una testimonianza coerente con questi valori. In lui il senso della giustizia fu così evidente da fargli dire che “le ingiustizie preferiva subirle, ma non farle”. A proposito della fratellanza cristiana non va dimenticata la sua preoccupazione di considerare gli altri come fratelli, perché figli dello stesso Padre. La libertà fu da lui ritenuta un valore grande per la cui difesa non ricusò di affrontare dure prove e lo stesso carcere.
Vi è poi una frase diretta a sua moglie, che esprime la profondità della sua religiosità: «Gesù, mia suprema ed ultima speranza, sarà anche il tuo confortatore quotidiano».
È ancora alla sua sposa che indirizza le ultime parole: «Io ti stringo per sempre nell’indissolubile abbraccio delle nostre speranze immortali». Aggiunge un «nota bene»: «Annunzierai la mia morte a mons. Tisserant [che era il suo superiore nel lavoro alla Biblioteca Vaticana] e lo pregherai di trasmettere a Sua Santità i miei ringraziamenti per quanto ha potuto fare per me».
Chiede di far sapere al Papa che egli muore con immutati sensi di attaccamento alla Santa Sede e nella convinzione di essersi battuto e di avere lavorato per la difesa degli essenziali principi del cristianesimo e per la libertà della Chiesa.
Un mese dopo, quando ormai l’operazione di ernia era felicemente superata, gli sembra pretenzioso il riferimento al Papa. La sua umiltà lo inclina a domandarsi se era opportuno far sapere questo al Papa, se non era osare troppo da parte sua e concludeva riconoscendo che quelli erano i suoi veri sentimenti, ma «vedano i superstiti se sia opportuno comunicarli».

Alcide De Gasperi con la moglie e le figlie in piazza San Pietro al termine della messa domenicale
De Gasperi sapeva di avere i giorni contati e prima di morire volle pubblicamente perdonare a chi pubblicamente lo aveva calunniato.
Nel ricordare Alcide De Gasperi, a 120 anni dalla nascita, l’auspicio è che la sua fede, la sua fedeltà alla coscienza, l’onestà cristallina, lo spirito di servizio che gli fu caratteristico, la testimonianza dell’intera sua vita continuino ad illuminareRil cammino dell’Italia e dell’Europa.