CASI. A dicembre è stato assassinato padre José María Ruiz Furlán
In memoria di padre Chemita
La gente lo amava per la sua opera in favore dei poveri, le sue denunce pubbliche contro le impunità e contro i soprusi verso i deboli. Nel 2002 aveva partecipato alla Commissione che aveva il compito di organizzare il viaggio del Papa nel Paese
di Davide Malacaria
Migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di José María Ruiz Furlán, il parroco del quartiere Cinque a Città del Guatemala
La violenza in Guatemala è una merce a buon mercato. Il piccolo Paese del Centro America ne ha vista tanta in passato, quando un sanguinario regime militare incrudeliva sulla popolazione civile, torturando, uccidendo e terrorizzando. Una violenza che alla fine degli anni Settanta arriva al parossismo e che si chiude, ufficialmente, nel 1996, a seguito di un accordo di pace tra il governo e le varie formazioni guerrigliere. Ma i fantasmi del passato di tanto in tanto tornano a tormentare il piccolo Paese, dove ancora vige l’impunità assoluta per chi ha compiuto quei crimini, e i carnefici di allora vivono accanto alle loro vittime. Nel 1998 veniva ucciso, massacrato di botte nella sua abitazione, monsignor Juan José Gerardi Conedera, il vescovo che aveva coordinato il progetto “Remhi” (Recuperación de la memoria histórica), una monumentale ricerca per la ricostruzione di quanto accaduto sotto la dittatura militare. Un delitto avvenuto a soli due giorni dalla pubblicazione del documento Nunca mas, in cui venivano dettagliati gli orrori che avevano terrorizzato il Paese: di fatto un atto di accusa contro chi aveva pianificato e diretto la repressione militare. Un delitto odioso quello di monsignor Gerardi. Un martirio, per il popolo guatemalteco; un crimine di cui ancora la giustizia civile non è venuta a capo. Anche per questo l’uccisione di padre Chemita ha suscitato una grande eco nel Paese. Sergio Morales, che dirige la Procuradoria per i diritti umani, una organizzazione non governativa molto autorevole in Guatemala, ritiene che anche l’uccisione di padre Chemita possa avere un movente politico. Lo ha detto subito dopo il delitto. Lo ripete ora: «Nel nostro Paese si susseguono ondate di terrorismo che hanno di mira categorie ben precise, allo scopo di intimidire chi vuole che si affermi nel Paese una piena legalità»; afferma: «All’inizio dello scorso anno, ad esempio, sono stati presi di mira esponenti della magistratura. Dopo di questa, ad entrare nel mirino sono state le persone legate a organismi operanti nel campo dei diritti umani, anche qui con minacce e assassinii. L’uccisione del padre Chemita potrebbe rappresentare un segnale verso la Chiesa, che per tradizione, nel nostro Paese, è sempre stata con i poveri, denunciando e combattendo le violazioni dei diritti umani. Certo, occorre aspettare l’esito delle indagini, ma l’ipotesi più probabile resta quella di un omicidio a sfondo politico, che potrebbe aprire una nuova fase di intimidazione nei confronti della Chiesa».
Le autorità ecclesiastiche sono più caute. Presso l’arcivescovado opera l’Ufficio per i diritti umani, nato per impulso dello stesso monsignor Gerardi. Nery Rodenas, il responsabile, spiega che la pista dell’omicidio politico è, per il momento, solo una delle tante ipotesi. Il problema è che padre Chemita era un uomo poliedrico e molto estroverso. Nella sua vita aveva fatto un po’ di tutto per aiutare i bisognosi. Tra l’altro aveva anche tentato più volte l’impegno diretto in politica candidandosi, nel 1974, nel 1978 e nel 1982, a sindaco di Città del Guatemala. Un’attività che gli aveva cucito addosso quel curioso soprannome quando, nel 1974, si era candidato per conto del Comité de habitantes electores del municipio integrato trabajo y acción, le cui iniziali, appunto, formano la sigla “Chemita”. Una scelta che, insieme alla decisione di fondare alcune attività turistiche (alcuni hotel a Città del Guatemala e sulla costa, oltre a un’agenzia di viaggi attiva soprattutto nel turismo religioso verso Roma e la Terra Santa), aveva suscitato verso di lui la diffidenza della gerarchia ecclesiastica. Nel 1991 fu sospeso a divinis. Ma questo è il passato, perché nel 1999 il decreto di sospensione viene ritirato. Uno dei suoi viceparroci, padre Basilio Vasquez, ricorda come padre Chemita, dopo la riconciliazione con la Chiesa, avesse abbandonato ogni impegno diretto in politica per sottomettersi con mansuetudine all’autorità ecclesiastica, tanto da essere scelto, nel 2002, a coordinare la commissione che doveva preparare la visita del Papa in Guatemala. Comunque, nonostante le cautele, Rodenas dice che l’arcivescovo di Città del Guatemala, il cardinale Rodolfo Quezada Toruño, ha autorizzato l’Ufficio per i diritti umani dell’arcivescovado «ad assistere legalmente i familiari di padre Chemita, che si sono costituiti parte civile nelle indagini». Anche il cardinale, che subito si è recato sul luogo dell’omicidio, ha voluto far sentire la sua voce, dichiarando: «Lamentiamo e condanniamo l’assassinio, perché è un crimine assurdo, e ci dimostra gli alti livelli di violenza che vive il Guatemala. Auspico che questo crimine non resti impunito come molti altri». Insomma, la Chiesa chiede e cerca giustizia. Come anche la gente che affollava la parrocchia che, subito dopo l’attentato a padre Chemita, ha dato vita ad una manifestazione spontanea. «Era una persona molto amata», prosegue Rodenas: «Erano in tanti a cercarlo, a chiedergli aiuto. Appena la gente ha saputo della sua morte in tanti si sono riversati nelle strade a chiedere giustizia. Aspettiamo lo sviluppo delle indagini e speriamo che sia fatta presto chiarezza. Una cosa è sicura, l’omicidio di padre Chemita è stato un crimine premeditato».
Fedeli indiani maya assistono alla santa messa al termine del Congresso missionario americano in Guatemala il 30 novembre 2003
Chi non ha dubbi sulla matrice politica dell’assassinio di padre Chemita è padre Basilio: «Hanno ucciso un profeta, un sacerdote che prestava la sua voce a quelli che non ne hanno, che nessuno ascolta», urla nel suo cellulare all’altro capo del mondo: «La sua opera in favore dei poveri e le sue denunce pubbliche contro le impunità, la corruzione, contro gli operatori di soprusi e di violenze davano fastidio. Lo hanno ucciso solo per questo». Sui giornali guatemaltechi intanto sono apparse diverse inchieste: si fruga nella vita del sacerdote ucciso, cercando nelle pieghe della sua vita altri eventuali moventi all’omicidio, come ad esempio certi contrasti nati nell’ambito di qualche affare immobiliare. «Credo che sia parte di una strategia quella di gettare discredito sulle vittime di certi delitti», afferma Sergio Morales: «Anche questo è un metodo per garantire l’impunità a chi ha eseguito e ordinato il delitto». Chi lo ha conosciuto bene, come padre Basilio, dice che quelle insinuazioni sono senza fondamento, e spiega: «Padre Chemita era un uomo integro. Le attività economiche che aveva creato servivano per pagare l’acquisto dei terreni e per la costruzione delle case nel quartiere Cinque. Non era certo un impresario, ma un uomo di Dio: tutto quello che guadagnava lo metteva al servizio del popolo di Dio. Per fare certe opere di carità o si ricorre agli aiuti internazionali, o si cerca di trovare il denaro attraverso le attività produttive. Lui aveva scelto questo secondo modo. La gente che lo conosceva lo sa bene e lo amava. Anche perché aveva un modo tutto suo di aiutarli. Il padre voleva che chi riceveva una casa pagasse una piccola quota, simbolica: era un modo per far sì che la gente sentisse di aver collaborato a quella acquisizione».
Padre José María Ruiz Furlán sarà pur stato una figura controversa, ma per tanti diseredati di questo piccolo, tormentato Paese è stato, e resterà, un buon pastore. Riposa in pace, padre Chemita.
(Ha collaborato Tiziana Nardini)