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SUSSIDIARIETÀ
tratto dal n. 03 - 2001

Una questione di realismo


Intervista con Lorenzo Ornaghi, prorettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul concetto di sussidiarietà: «È già tutto nell’indicazione evangelica di “dare a Cesare quello che è di Cesare”»


di Stefano Maria Paci


La sussidiarietà? È un principio fondamentale per il pensiero cattolico, ma come un torrente carsico affiora e scompare lungo la storia. È un concetto che aveva ben capito san Tommaso, ma che oggi molti snaturano. Ha a che fare con il realismo cristiano e con la convinzione che non si possa comprendere fino in fondo il funzionamento della politica e della società se non tenendo conto, come faceva sant’Agostino, che la politica è una forma di rimedio al peccato originale. A sostenere tutto questo è Lorenzo Ornaghi, uno dei principali studiosi italiani di scienze politiche, prorettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Lo incontriamo al termine dell’assemblea nazionale della Compagnia delle Opere, che si è svolta a Roma nell’Auditorium della tecnica il 14 marzo scorso, e in cui termini come sussidiarietà, non profit, welfare society si sono rincorsi spesso.

Professor Ornaghi, il tema del convegno della Compagnia delle Opere è “Libera società in libero Stato”. Iniziamo dal secondo termine: libero Stato. Cosa vuol dire?
LORENZO ORNAGHI: Indica uno Stato che combina l’autorevolezza dei propri poteri con la libertà.
Libertà da cosa?
ORNAGHI: Dai rischi di una frammentazione sociale sempre più spinta. Lo Stato deve essere libero dalle pressioni dei vari gruppi che si contrappongono nella società e che, muovendo in direzioni opposte, tentano di prevalere. Uno Stato libero persegue, grWzie all’autonomia che è tipica della politica, il bene comune, l’interesse generale.
E uno Stato così, in cosa si differenzia da quello attuale?
ORNAGHI: Si differenzia nella “protezione della società”. Un termine che deve essere inteso bene. Non parlo di una protezione di tipo clientelare, ma del fatto che questo nuovo Stato riesca ad assolvere le funzioni che da sola la società non riesce ad assolvere. Sarà uno Stato più essenziale: ha bisogno di un ammodernamento delle sue istituzioni, che lo appesantiscono perché pensate per una società tardo-ottocentesca, e che dovranno diventare più flessibili in vista del processo di costruzione europea.
Sostanzialmente uno Stato libero è uno Stato che recupera e pratica l’autonomia della politica. Non deve più correre dietro agli interessi dei vari gruppi che compongono la società, ma proporre alla società diversi progetti, tra i quali la società sceglierà.
E una libera società, in questo libero Stato, che ruolo ha?
ORNAGHI: Una libera società è quella che non si affida più interamente alla politica, e non pretende che questa soddisfi tutti i bisogni. La politica non ha una funzione salvifica. La società individua da sola i propri bisogni, e i modi per risolverli, e non si sente in stato di minorità.
Sbaglio, o sta parlando del concetto di sussidiarietà?
ORNAGHI: Non sbaglia. Questo concetto è così tipico della tradizione del pensiero cattolico che ci riporta addirittura alle sue origini. Un concetto che non va confuso con le definizioni, ridotte, che spesso circolano.
Quali?
ORNAGHI: Innanzitutto, la sussidiarietà non viene imposta dall’alto. Inoltre, sussidiarietà non vuol dire, soltanto e riduttivamente, che ciò che non possono fare gli enti inferiori viene fatto dall’ente superiore. La sussidiarietà deve mettere le componenti della società nelle condizioni di funzionare da sé. È questo il passaggio fondamentale. Questo è il senso della libera società. Gli enti o i corpi della società devono essere messi nelle condizioni di svolgere tutte le funzioni, e solo se non riescono a svolgerle, allora interviene il subsidium, l’aiuto.
Questa concezione della sussidiarietà non va declinata soltanto in chiave politico-istituzionale di rapporti fra gli organi dello Stato – come si è cercato di fare in modo molto insoddisfacente nella riforma federalista dell’ultima fase della legislatura – ma è in primo luogo sociale ed economica.
Facciamo degli esempi. Cosa vuol dire far intervenire questa sussidiarietà in campi specifici come l’insegnamento, la sanità eccetera?
ORNAGHI: Implica che le finalità specifiche nel campo dell’istruzione o nel campo della sanità o nel campo economico vengono individuate e poi perseguite da questi enti stessi. In tal senso un libero Stato non è uno Stato che impone le proprie esigenze, ma uno Stato che compone le differenti esigenze della società.
Sta dicendo che non ci dovrà più essere una scuola statale o una sanità statale, e che le varie componenti possono crearsi le proprie scuole e i propri ospedali?
ORNAGHI: La tendenza della società italiana, così come di tutti i sistemi democratici attuali, è verso forme miste, cioè una forma che non solo pone in equilibrio le funzioni della società e quelle dello Stato, ma crea anche competizione fra le une e le altre. Perché la competizione dello Stato fa bene anche alla società. Questo provocherà un salto di qualità culturale molto più importante di tante false rivoluzioni politico-istituzionali.
Prima diceva che questa rivoluzione, la rivoluzione della sussidiarietà, nasce dalla concezione basilare del cristianesimo.
ORNAGHI: Non vi è dubbio. Nei testi fondamentali del Vangelo che parlano di politica e potere c’è già il concetto di sussidiarietà. Basta pensare all’indicazione di “dare a Cesare quello che è di Cesare”. Al potere e alla politica non viene mai data una funzione onnicomprensiva e totalizzante.
Se il concetto è già presente nel Vangelo, quando viene sviluppato a livello teorico?
ORNAGHI: Soprattutto nel passaggio dal Medioevo all’età moderna. Il principio viene già delineato con chiarezza da san Tommaso. È un principio, certo, ma poiché tutta la concezione cristiana della politica è fortemente segnata dal realismo, questo principio non resta astratto bensì viene poi tradotto concretamente dentro la società. Nella concezione cattolica non c’è mai una immagine unitaria, e quindi alla fine astratta, né di Stato né di società. Sono entrambe immagini artificiose. Il principio di sussidiarietà è il Grande Principio che costituisce da un lato lo scudo della società rispetto alle possibili invadenze dello Stato, dall’altro è il principio di funzionamento che tiene assieme le varie parti della società. È uno dei principi più importanti del pensiero cattolico, sia quando viene delineata la funzione della politica sia quando, dopo la Rivoluzione francese, si iniziano a fare i conti con l’organizzazione concreta del potere statale.
Quindi secondo lei la sussidiarietà è strettamente legata al realismo cristiano...
ORNAGHI: Sì. Io ne sono convinto. Realismo vuol dire guardare l’uomo così come è, non come si vorrebbe che fosse. Non si capiscono l’uomo né le strutture che l’uomo costruisce, se non anche alla luce del peccato originale. Quello cristiano è un uomo che ha bisogno degli altri. Svolge alcune attività fin quando riesce a farle da solo o nel gruppo al quale appartiene; nel momento in cui ha bisogno degli altri, interviene il principio di sussidiarietà. Questo pensiero è coerente con la concezione cristiana dell’uomo e della sua libertà. La sussidiarietà significa che qualcun altro interviene al mio posto solo se io lo voglio. E solo quando mi accorgo che da solo non sono capace di “fare”, pur avendo tutte le condizioni per riuscirci. Sì, ne sono convinto: la sussidiarietà obbedisce a una concezione dell’uomo tipica del cristianesimo e del realismo cristiano.
Perché il concetto di sussidiarietà è entrato solo recentemente nel dibattito politico se, come lei dice, è una concezione così antica e così originaria del cristianesimo?
ORNAGHI: Lei ha ragione: in Italia il principio della sussidiarietà è stato spesso evocato ma mai davvero inserito come elemento di riarticolazione del potere politico e dei vari poteri economico-sociali. Credo che il cattolicesimo italiano abbia faticato a far valere alcuni aspetti che in realtà appartenevano al proprio patrimonio tradizionale e alla propria cultura politica. Dall’altra parte c’è stata l’irruzione quasi improvvisa del principio di sussidiarietà a partire dai primi tentativi di costituzionalizzazione del processo di integrazione europea.
Quindi è solo apparente la novità di questo termine nel dibattito politico.
ORNAGHI: C’è stata un’irruzione rapida e poi una propagazione altrettanto celere e diffusa del termine sussidiarietà, che però in qualche punto ne ha snaturato gli aspetti. Per esempio, da un lato si tende a ridurla ad un affare interno agli organi dello Stato, dall’altro la si proclama senza farne un principio concreto di costruzione della società. Noi siamo in una fase in cui lo Stato, non più impostato sulla propria autoconservazione, deve necessariamente trasformarsi, diventando “essenziale” e gestire solo alcune, ristrette funzioni. Ma nello stesso tempo c’è un’altrettanto forte necessità di una trasformazione della società.
±lcune dichiarazioni della Comunità europea, a proposito dei rapporti tra poteri dell’Unione e poteri dello Stato, parlano di sussidiarietà. Lo fanno in un modo che la convince?
ORNAGHI: Assolutamente no. In quei documenti la sussidiarietà è intesa nel senso che l’Unione europea compie quello che gli Stati non riescono a fare. È una visione riduttiva. La sussidiarietà parte dal basso, ed è innanzitutto una diversa concezione del potere. L’Unione europea resta invece ancora all’interno della vecchia logica di organizzare il funzionamento degli Stati. Non si accorge che quello a cui si trova di fronte è un diverso ruolo delle società. È urgente, per dare un senso autentico alla costruzione europea, utilizzare il corretto concetto di sussidiarietà.


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