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CINEMA
tratto dal n. 03 - 2002

Storia di potere e “minzogna saracina”


Intervista con Emidio Greco, regista de Il consiglio d’Egitto, tratto da un romanzo di Sciascia. Il film rappresenterà l’Italia a Cannes


di Antonio Termenini


Una scena del film

Una scena del film

Sarà anche un cinico e spregiudicato impostore il frate Vella. Ma come non provare un po’ di simpatia per questo povero cappellano maltese, protagonista de Il consiglio d’Egitto, che, per fare un po’ di vita agiata, tiene in scacco per tredici lunghi anni la nobiltà siciliana della Palermo del 1782? Vella costruisce il suo potere su una bugia. Su una piccola bugia: dice di conoscere perfettamente l’arabo. Una bugia che diventa tanto più “pesante” quanto più penetra nella “grande impostura”, quella del potere reale. I nobili, infatti, lo temono, perché Vella afferma (mentendo), di avere tradotto un codice risalente all’epoca della dominazione araba in grado di mettere in discussione o di cancellare titoli nobiliari, proprietà e privilegi. La sua fama arriva fino a Roma, al Papa. Alla fine la “minzogna saracina” sarà svelata, chiudendo questa che è una delle più belle metafore sulla consistenza del potere mondano (reale quanto menzognero) che Leonardo Sciascia ci ha lasciato. Non è la prima volta che Emidio Greco adatta per il grande schermo un romanzo di Sciascia: nel 1991 traspose per il cinema Una storia semplice, che fu premiato al Festival di Venezia. Invece Il consiglio d’Egitto concorrerà in un altro Festival, quello di Cannes, nel quale rappresenterà l’Italia. L’incontro con il regista Emidio Greco è stato l’occasione per approfondire le tematiche del film in cui, lo ricordiamo, non esce sconfitta solo l’impostura del frate Vella, ma anche la grande illusione (o menzogna) di chi pensa di riformare le istituzioni politiche del Regno in un sol colpo. Illusione incarnata nel personaggio dell’avvocato Blasi che si muove in una corte, quella di fine Settecento, che respira le nuove idee illuministe, grazie, soprattutto, all’azione politica del viceré Caracciolo.

Una delle lezioni che emerge da Il consiglio d’Egitto è che non esiste una storia oggettiva, ma che la storia è quella scritta dai vincitori...
EMIDIO GRECO: Direi che in tutti i miei film ho cercato di sottolineare questa idea: la storia è piena di mistificazioni, di “imposture”, di riletture funzionali a un interesse o a un gruppo precostituito. Ma ne Il consiglio d’Egitto questo risulta ancora più evidente. Nel Regno di Sicilia di fine Settecento si succedono viceré e potenti con indirizzi politici molto differenti. Prima i cosiddetti liberali-riformisti, poi i reazionari. Ognuno con l’esigenza di riscrivere la storia per autolegittimarsi.
Quale idea del Settecento come periodo storico, filosofico e culturale, ritroviamo ne Il consiglio d’Egitto?
GRECO: L’idea che ci è stata tramandata del Settecento, fin dai primi studi giovanili, mi è parsa sempre stereotipata rispetto ad altri secoli. Lo conosciamo come il periodo dell’Illuminismo, della razionalità, della fiducia nell’uomo e nella scienza. Anche da un punto di vista iconologico le immagini del Settecento sono sempre le stesse: i salotti aristocratici, i palazzi. Ho cercato invece di restituire nel mio film un’immagine inedita del Settecento. Innanzitutto da un punto di vista linguistico, con i dialoghi che non cercano di simulare la lingua di quel periodo, ma neppure essere una fedele trascrizione del linguaggio contemporaneo; poi, costruendo una storia esemplare sul potere, collocata in quel periodo, ma universalmente valida.
Il consiglio d’Egitto presenta, infatti, due temi di fondo strettamente intrecciati: da una parte l’idea che a fondamento della legittimità del potere ci sia una storia costruita su una concatenazione di falsità; dall’altra la sconfitta inevitabile di chi si oppone alle storture della Storia e all’arbitrio del potere coltivando l’illusione che se ne possano estirpare alla radice e in un sol colpo le ragioni costitutive.
È la seconda volta che adatta per il cinema un romanzo di Sciascia. Quali sono gli aspetti più interessanti dello scrittore siciliano?
GRECO: I due temi che dicevo e che ho ritrovato anche ne Il consiglio d’Egitto: la menzogna vissuta come verità e l’utopia di raddrizzare il corso della storia improvvisamente. Vella e l’avvocato Di Blasi, fautore di riforme liberali all’interno del Regno di Napoli, sono personaggi condannati a perdere, ma sono gli unici personaggi reali, consistenti. Sia nel mio film che nel romanzo di Sciascia, gli aristocratici fluttuano come fantasmi alla ricerca di un assetto istituzionale che perpetui i loro privilegi. Un altro tema che ho preso da Sciascia è l’ambiguità come condizione dell’esistenza. Ogni personaggio ne Il consiglio d’Egitto ha diverse sfumature psicologiche e caratteriali.
Siamo al “gattopardesco” «Bisogna che tutto cambi perché non cambi nulla»?
GRECO: Sicuramente. La Sicilia è una grande metafora del potere che è sempre uguale a se stesso, di cambiamenti solo apparenti. Gli aristocratici de Il consiglio d’Egitto cambiano il loro comportamento a seconda di chi comanda il Regno. Osteggiano Caracciolo e l’avvocato Di Blasi, ma sono attenti a non compromettersi ai loro occhi, mentre sono tra i primi fiancheggiatori del nuovo corso antifrancese.
Come descriverebbe le personalità dell’abate Vella e di monsignor Airoldi che aveva incaricato Vella di tradurre un manoscritto arabo sulla vita di Maometto?
GRECO: All’inizio Vella vive in uno stato di indigenza, costretto ad arrangiarsi per poter sopravvivere. Poi, si improvvisa riscrittore della Storia, solo per migliorare la propria condizione e far soffrire chi prima lo umiliava. In questa fase diventa arrogante. Alla fine, coltiva il desiderio di essere riconosciuto come scrittore, ma anche questo sogno svanisce con il ritorno degli spagnoli. La figura di monsignor Airoldi, molto influente a corte, ci è stata tramandata oralmente come quella di un uomo rozzo, assetato di potere. Nel romanzo di Sciascia, grazie ad altri approfondimenti storici, viene invece presentato come uno storico, irreprensibile da un punto di vista morale.


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