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SCUOLA
tratto dal n. 02 - 2002

La nuova legge sullo stato giuridico degli insegnanti di religione

Tra preside e vescovo


È ai blocchi di partenza il nuovo disegno di legge che tenterà di risolvere la posizione di “precario permanente” degli insegnanti di religione: assunti dallo Stato ma con la licenza del vescovo locale. E le anomalie legislative che si erano presentate in passato? Ecco come saranno superate


di Giovanni Ricciardi


Un corso di aggiornamento per gli insegnanti di religione

Un corso di aggiornamento per gli insegnanti di religione

Gli insegnanti di religione nella scuola italiana sono a tutt’oggi dei “precari permanenti”. Il loro incarico si rinnova anno dopo anno e non possono aspirare a un contratto a tempo indeterminato come gli altri docenti. Il motivo di quest’anomalia sta nel fatto che lo Stato li può nominare solo su indicazione del vescovo locale. Secondo il Concordato del 1984, è infatti il vescovo a conferire l’idoneità all’insegnamento della religione cattolica. Quest’idoneità ha carattere permanente, ma può essere revocata per grave ed accertata carenza dei requisiti (retta dottrina, testimonianza di vita cristiana, abilità pedagogica).
Da tempo, anche su richiesta delle associazioni di categoria e della Cei, il Parlamento cerca di porre rimedio a quest’anomalia legislativa. Nella passata legislatura, era stato approvato dal Senato un disegno di legge che istituiva finalmente il “ruolo” anche per gli insegnanti di religione, ma il progetto aveva scontentato un po’ tutti: la Cei, le associazioni di categoria, i sindacati confederali. La vecchia legge, che non ha mai completato l’iter parlamentare, prevedeva che gli aspiranti al ruolo fossero in possesso, oltre al titolo di studio rilasciato dall’autorità ecclesiastica, anche di una laurea civile valida per insegnare altre materie. Così, in caso di revoca dell’idoneità da parte del vescovo, sarebbero transitati su un altro insegnamento, senza perdere il posto di lavoro. Ma solo il 20 per cento degli attuali insegnanti possiede anche una laurea civile. Una percentuale largamente al di sotto del 60 per cento dei posti messi allora a disposizione, sul totale delle cattedre, per l’immissione in ruolo. Inoltre, si configurava un’anomalia ancora più discriminante: la religione cattolica diventava l’unica materia in Europa per insegnare la quale sarebbero occorse due lauree.
Il 14 febbraio scorso il nuovo governo ha varato un disegno di legge che sostituisce il precedente. Stavolta il nodo dell’eventuale revoca dell’idoneità è risolto a posteriori. Non è più richiesta una laurea civile per accedere al concorso. È sufficiente il titolo di studio rilasciato dall’autorità ecclesiastica, che, per la scuola primaria, è il diploma in Scienze religiose (triennale), per quella secondaria il magistero in Scienze religiose (quadriennale) o i titoli rilasciati dalle facoltà teologiche (baccellierato e licenza). Se al docente immesso in ruolo fosse poi revocata l’idoneità, solo allora coloro che sono in possesso di una laurea civile e della relativa abilitazione potranno farle valere per insegnare una materia diversa dalla religione. Gli altri potranno usufruire della “mobilità collettiva”: cioè un altro posto di lavoro, non più nei quadri dell’insegnamento. Il primo concorso potrà così “sanare” la situazione di precariato di circa 20mila docenti.
Per Enrico Panini, segretario nazionale della Cgil scuola, si tratta di «una scelta molto grave; con questo disegno di legge si stravolgono tutte le regole che disciplinano il mercato del lavoro nella scuola statale». Si creerebbe cioè un “canale parallelo” di reclutamento. Una volta entrati, si sostiene, potrebbe risultare facile per loro passare su altre cattedre. In realtà, la mobilità professionale per gli insegnanti di religione sarà estremamente limitata rispetto a quella degli altri colleghi. Una volta immessi in ruolo, potranno trasferirsi su altre cattedre – sempre che ne abbiano titolo – soltanto in caso di revoca dell’idoneità o di contrazione dei posti disponibili.
«Il punto è invece un altro» osserva Michele Manzo, dirigente Cisl e consulente della Cei sulla materia: «Se la legge istituisce il ruolo per i docenti di religione, li equipara di fatto agli altri, con eguali diritti. Non si vede allora per quale motivo un insegnante di religione, che abbia i titoli per transitare su altri insegnamenti, non possa farlo liberamente come tutti gli altri. Per questo, a mio giudizio, questa limitazione è incostituzionale».
«L’immissione in ruolo mediante concorso serve a tutelare una categoria di lavoratori oggettivamente discriminata. Ed è importante proprio per incentivare coloro che vogliono insegnare stabilmente e seriamente la religione nella scuola. Tende infine ad abbassare i margini di discrezionalità dei vescovi locali» spiega monsignor Manlio Asta, direttore dell’Ufficio della pastorale scolastica del vicariato di Roma. Con l’immissione in ruolo l’autorità ecclesiastica si “limiterà” al compito che le è proprio: a curare, cioè, la formazione dei docenti e a conferire loro, di conseguenza, l’idoneità. Non più ad assegnare, per esempio, il numero delle ore di insegnamento, come avviene ora. All’autorità ecclesiastica resterà, d’intesa con i dirigenti regionali dell’Istruzione, la possibilità di indicare la sede di servizio per i neoimmessi in ruolo, almeno per la sede di prima assegnazione. Quanto alla possibilità di revocare l’idoneità, i casi concreti sono pochissimi. Nella diocesi di Roma, che nomina un migliaio di insegnanti all’anno, nell’ultimo decennio sono stati quattro in tutto.
La nuova legge prevede due ruoli distinti: il primo permetterà di insegnare religione nella scuola primaria (materne ed elementari), il secondo nelle scuola secondaria (medie e superiori). Al concorso potranno accedere coloro che insegnano da almeno quattro anni senza soluzione di continuità. Il concorso porterà i vincitori a coprire il 70 per cento del totale dei posti disponibili (un 10 per cento in più rispetto al precedente disegno di legge). Una percentuale alta, che tuttavia non permetterà a tutti di ottenere da subito il ruolo. «A Roma, nella scuola media» spiega monsignor Asta «vantano più di quattro anni di insegnamento 400 docenti su un totale di 450, cioè il novanta per cento. Nella scuola elementare le percentuali sono più basse».
Il concorso non verterà sui contenuti specifici della dottrina cattolica, ma «sarà volto unicamente» dice la legge «all’accertamento della conoscenza dell’ordinamento scolastico, degli orientamenti didattici e pedagogici relativi ai gradi di scuola ai quali si riferisce il concorso e degli elementi essenziali della legislazione scolastica». Il concorso tuttavia non produrrà – così almeno sembra a una prima lettura del testo approvato dal governo – una graduatoria di merito, ma semplicemente un elenco di idonei, al quale il dirigente regionale attingerà, d’intesa con il vescovo locale, per nominare i neoimmessi in ruolo. Se il numero degli idonei fosse superiore al numero dei posti disponibili, non appare chiaro con quali criteri saranno disposte le nomine.
«Anche questo è un punto da rivedere» osserva ancora Michele Manzo: «Un elenco potrebbe essere inteso come un mero elenco alfabetico. E questo è inconcepibile. Un concorso, se tale dev’essere, comporta l’istituzione di una graduatoria. Inoltre, almeno nel primo concorso, che serve a sanare situazioni pregresse, occorre dare garanzie a chi insegna da molti anni nella scuola. Forse non tutti sanno che già dall’anno scorso la provincia di Trento ha istituito il ruolo per i docenti di religione. In quella legge provinciale, che potrebbe essere presa a modello, e che è stata riproposta in Parlamento su scala nazionale, nell’attuale legislatura, dal senatore Brignone (già relatore del precedente testo approvato in Senato), si istituisce un concorso per soli titoli, per coloro che hanno almeno otto anni di insegnamento alle spalle. Gli altri, da quattro a sette, affrontano un diverso concorso, per titoli ed esami».
Dopo il primo concorso, ne saranno indetti altri con cadenza triennale e su base regionale.
«Resta da sciogliere un ultimo nodo» osserva infine Michele Manzo: «L’abrogazione della legge 824 del 1930, che era una legge applicativa del Concordato del 1929, ormai decaduto, ma è tuttora in vigore. E che sottrae agli insegnanti di religione la possibilità di esprimere la valutazione mediante un voto e di partecipare alle commissioni d’esame».


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