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STORIA DELLA CHIESA
tratto dal n. 02 - 2002

«Ambrogio fedele alla tradizione politica di Roma»


Così Marta Sordi, prendendo in esame nel suo ultimo libro il rapporto tra la Chiesa e il potere civile nel IV secolo, parla del vescovo di Milano. «Anche nei confronti degli eretici non vuole che lo Stato intervenga come braccio secolare contro di essi»


di Giovanni Ricciardi


sant’Ambrogio, particolare dei mosaici della cappelladi San Vittore, basilica di Sant’Ambrogio, Milano

sant’Ambrogio, particolare dei mosaici della cappelladi San Vittore, basilica di Sant’Ambrogio, Milano

Nel suo ultimo libro, L’Impero romano-cristiano al tempo di Ambrogio, edito da Medusa, Marta Sordi offre un quadro del complesso periodo storico, la seconda metà del IV secolo, in cui Ambrogio fu vescovo a Milano, città allora scelta dall’imperatore Valentiniano I come capitale dell’Impero. Dopo la breve parentesi di Giuliano l’Apostata (361-363), che aveva tentato senza successo di far rivivere gli antichi fasti di un paganesimo sempre più in crisi, Roma vide succedersi sul trono imperiale una serie di principi cristiani. Ciò, tuttavia, non rese sempre facile il rapporto tra Chiesa e Impero. Le tensioni che il vescovo Ambrogio si trova a gestire non sono più quelle dei secoli delle persecuzioni, ma quelle dovute alle reciproche ingerenze tra la sfera civile e quella ecclesiastica. La stessa elezione di Ambrogio all’episcopato, sostiene la professoressa Sordi nel suo libro, ne costituisce un esempio. A lei abbiamo rivolto alcune domande.
Ambrogio giunge all’episcopato dopo aver ricoperto importanti ruoli di funzionario civile dell’Impero. Questa formazione “laica” influisce sul suo atteggiamento di fronte al potere?
MARTA SORDI: Ambrogio era membro di una famiglia senatoria che già nel III secolo aveva dato all’Impero prefetti e consoli. Egli giunse all’episcopato per acclamazione del popolo, ma forse anche per una manovra politica del prefetto del pretorio Probo. Costui approfittò dei tumulti seguiti alla morte del vescovo filoariano di Milano per mettere al suo posto un cattolico, anche se ancora catecumeno, che proveniva dalla carriera politica (era consularis di Aemilia e Liguria con sede a Milano). La forza con cui Ambrogio, divenuto vescovo, rivendica l’indipendenza della Chiesa dal potere temporale e resiste alle interferenze della politica in nome della libertas dicendi, gli deriva senz’altro in parte dalla sua formazione laica, ma forse anche dalla consapevolezza delle interferenze che si erano verificate in occasione della sua elezione.
Qual è invece l’atteggiamento degli imperatori cristiani in materia religiosa?
SORDI: I problemi religiosi che l’imperatore cristiano si trova ad affrontare – e che Ambrogio tratta nelle sue opere – sono complessi. Da una parte c’è la religione ufficiale, il paganesimo tradizionale, che resta ancora in qualche modo la religio publica populi Romani. Sia Costantino che i suoi successori, fino a Graziano, avevano infatti mantenuto il Pontificato massimo, la più alta carica religiosa dello Stato pagano. Dall’altra parte c’è il cristianesimo, che è la religione personale dell’imperatore; la Chiesa, a cui l’imperatore stesso appartiene; e gli eretici, che la Chiesa condanna. Per quel che riguarda il paganesimo ufficiale, già Costantino aveva cominciato a condannarne certi aspetti (specialmente le pratiche divinatorie degli aruspici) e Costanzo aveva imposto molti divieti sui sacrifici. Dopo la parentesi giulianea, Valentiniano I (Gioviano aveva governato troppo poco per manifestare le sue intenzioni) era stato tollerante, mentre Teodosio, nella parte orientale dell’Impero, aveva ripreso e inasprito i divieti di Costanzo sui sacrifici e sulle pratiche pagane.
Ambrogio ebbe influenza sulle limitazioni delle pratiche pagane volute dagli imperatori?
SORDI: Io ritengo che Ambrogio non abbia influito su questi divieti: credo invece che abbia avuto una parte determinante sia nella decisione di Graziano, figlio di Valentiniano I, di rinunciare al Pontificato massimo, sia nella battaglia contro la pretesa dei pagani di rappresentare ancora la religio publica del popolo romano. Lo scontro per l’altare della Vittoria è su questa linea. In questo senso, Ambrogio fu nemico irriducibile del paganesimo e soprattutto, lo ripeto, della sua pretesa di rappresentare la religio publica dell’Impero. Non a caso, il vescovo di Milano valorizza la grande tradizione civile di Roma, tenendola però ben distinta da quella religiosa. Egli esalta le disciplinae con cui Roma è divenuta grande, le virtù di Camillo, di Regolo, di Scipione; avverte con preoccupazione i problemi della difesa militare dell’Impero; ha orrore dei barbari che ne minacciano i confini e ne devastano le terre. Ma è proprio la fedeltà senza sottintesi alla tradizione politica di Roma che induce Ambrogio ad un rifiuto intransigente d’ogni traccia di paganesimo che minaccia l’unità dell’Impero romano-cristiano.
E per quel che riguarda gli eretici?
SORDI: Anche per quel che riguarda gli eretici, Ambrogio, che è durissimo nei confronti degli ariani, non vuole che lo Stato intervenga come braccio secolare contro di essi. La polemica con i vescovi della Gallia che, contro i priscillianisti, avevano fatto ricorso a Magno Massimo, è estremamente significativa. In questo senso egli loda l’atteggiamento di Valentiniano I, che rinuncia a qualsiasi interferenza negli affari interni della Chiesa e nelle questioni religiose in generale.
Infatti, mentre Costantino e Costanzo avevano manifestato la tendenza a interferire, Valentiniano I aveva al contrario sancito, come ricorda con soddisfazione Ambrogio in una sua lettera, che in causa fidei e nelle cose che riguardano la Chiesa, doveva essere la Chiesa stessa a giudicare. A questi principi Ambrogio si appella quando, per influenza della madre Giustina, filoariana, Valentiniano II tentò di confiscare, per darle agli ariani, alcune basiliche cattoliche di Milano.
Quest’atteggiamento d’imparzialità di Valentiniano I era apprezzato anche da parte pagana?
SORDI: Lo storico pagano Ammiano Marcellino loda Valentiniano per essersi dimostrato tollerante. E lo definisce inter religionum diversitates medius, cioè “imparziale” in materia religiosa. La lode di Ammiano Marcellino sulla tolleranza di Valentiniano I trova eco nella lettera di Ambrogio a Valentiniano II che ho citato, e viene confermata da una costituzione dello stesso Valentiniano I, presente nel Codice Teodosiano, che attribuiva a ciascuno la “libera facoltà” di venerare la divinità a cui nel suo animo aveva aderito. È una ripresa del cosiddetto Editto di Milano di Costantino, e Valentiniano viene lodato da Ammiano per non avere imposto ai suoi sudditi di adorare la divinità che egli stesso adorava. La figura di Valentiniano I è molto interessante ed è stata oggetto recentemente di una bella monografia di Milena Raimondi (Valentiniano e la scelta dell’Occidente, Ed. dell’Orso, Alessandria 2001).
Sant’Ambrogio celebra la messa in suffragio di san Martino, particolare del mosaico absidale della basilica di Sant’Ambrogio a Milano

Sant’Ambrogio celebra la messa in suffragio di san Martino, particolare del mosaico absidale della basilica di Sant’Ambrogio a Milano

In che senso si può parlare allora di Impero “romano-cristiano” al tempo di Ambrogio?
SORDI: Innanzitutto perché gli imperatori aderiscono alla fede cristiana. Sotto quest’aspetto, il Romanum imperium che, col favore di Dio, è cristiano (Romanum imperium quod, Deo propitio, christianum est, Agostino De gratia Christi II, 17-18) è quello che comincia con Costantino. Ambrogio, nel De obitu Theodosii, dice che Costantino fu il primo imperatore a credere e che lasciò ai suoi successori dopo di sé l’eredità della fede (primus imperatorum credidit et post se hereditatem fidei principibus dereliquit). Da lui, dice ancora Ambrogio, vengono gli altri principes christiani, fatta eccezione per il solo Giuliano. Di quest’Impero romano-cristiano che, dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, continua con Bisanzio, io ho trattato solo il periodo coperto dall’episcopato di Ambrogio, che va dal regno di Valentiniano I alla morte di Teodosio nel 395. È il periodo in cui, per l’ultima volta dopo la fondazione di Costantinopoli e la campagna persiana di Giuliano, che avevano sbilanciato verso Oriente l’equilibrio dell’Impero, l’Occidente viene scelto dall’Augusto più importante, Valentiniano, che fissa a Milano la sua capitale effettiva e ne conferma l’investitura con i nuovi simboli del potere. Ed è forse proprio in questa fase, a mio avviso, che Valentiniano opera una chiara scelta per una simbologia del potere spiccatamente cristiana: i chiodi della croce ritrovata, utilizzati per la corona (“antenata” della famosa corona ferrea) e per il morso del cavallo imperiale.
Come si spiega la scelta di Valentiniano?
SORDI: Corona e morso erano stati già nell’antica Grecia simboli del potere. E il motivo del potere “incoronato” e “frenato” sta alla base di tutto il racconto ambrosiano dell’inventio crucis, del ritrovamento cioè della croce da parte di Elena. Esso fonda per Ambrogio la nuova “teologia” del potere: «In vertice corona, in manibus habena. Corona de cruce ut fides luceat, habena quae de cruce ut potestas regat» (la corona sul capo, la briglia nelle mani. La corona dalla croce affinché la fede rifulga, la briglia anche dalla croce affinché il potere governi, De obitu, 48). Comunque, per Ambrogio il nuovo rapporto con Dio, che questi simboli trasfigurati rappresentano, fonda anche un nuovo rapporto fra l’imperatore e i sudditi e deve salvare gli imperatori cristiani dalla tentazione tirannica che aveva travolto molti dei loro predecessori pagani.


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