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LIBIA
tratto dal n. 02 - 2004

LIBIA. Intervista con il vicario apostolico di Tripoli

Realismo mediterraneo


Chiuso il caso Lockerbie e finito l’embargo si è aperta una nuova stagione di dialogo. «Gheddafi s’è accorto che il fanatismo religioso ci sta portando al disastro ed è diventato ancora una volta realista». Parla Giovanni Innocenzo Martinelli


di Giovanni Cubeddu


CHIESA IN LIBIA. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli

CHIESA IN LIBIA. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli

«I risarcimenti accordati per gli attentati terroristici di Lockerbie, del volo Uta, per quelli compiuti in Germania – e sembrerebbe che si stia discutendo anche di rifondere gli ebrei cacciati all’inizio della rivoluzione – dimostrano che in Libia la volontà di dialogo è sempre più forte. La fine dell’embargo contro il Paese ha influito positivamente, poi si è avviato il dialogo sulle armi di distruzione di massa, e il regime ha detto di sì alle ispezioni internazionali. Infine, di recente anche il presidente Bush ha riconosciuto i meriti del comportamento di Gheddafi».
Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, è nato sessant’anni fa da genitori italiani, e non ha mai mancato di dimostrare il suo affetto per la Libia. Il religioso francescano è alla guida del vicariato dal 3 maggio del 1985, e ha vissuto tutte le alterne fasi dell’atteggiamento del regime nei confronti della Chiesa cattolica (è anche finito in carcere nel 1986, all’indomani del bombardamento americano su Tripoli e dei missili libici su Lampedusa). Oggi la Chiesa in Libia spera, assieme a tutti i cittadini, nella completa riabilitazione internazionale verso cui il Paese pare decisamente avviato. Papa Wojtyla si è sempre pronunciato contro l’embargo e, già nel 1997, l’accordo per le piene relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Libia segnava un punto a favore anche del dialogo con l’Occidente. L’islam sunnita di Gheddafi non ha nulla a che vedere con i fondamentalismi religiosi. Da qui iniziamo il colloquio con il vescovo di Tripoli.

RIABILITATO. Il leader libico Gheddafi ad una riunione  dell’Unione africana

RIABILITATO. Il leader libico Gheddafi ad una riunione dell’Unione africana

Giovanni Innocenzo Martinelli: Gheddafi ha avuto sempre una volontà di dialogo con le religioni, lo ha dimostrato già con il grande congresso interreligioso ospitato a Tripoli nel ’76, col quale ha inteso mutare l’impressione che il suo regime fosse contrario alle fedi (anche se, in passato, gli edifici di culto cristiani erano stati chiusi perché considerati conniventi col fascismo colonialista...). Come vescovo cattolico di Tripoli, ed essendo nato in Libia, non ho mai visto il regime “schierarsi” contro le religioni, ma sempre proporre un confronto. Inoltre, in questi ultimi tempi, Gheddafi ha fatto un passo in più, proprio per promuovere la visione positiva dell’islam che vive in Libia, a differenza e “contro” l’islam cosiddetto terrorista e fondamentalista. La Dawa al-Islamiya, che è l’istituzione ufficiale libica del dialogo interreligioso, ha organizzato e preso parte a diversi importanti incontri che hanno attirato sulla Libia l’attenzione internazionale. E credo che valga la pena segnalare questo incrocio virtuoso che sta avvenendo in terra libica tra l’ecumenismo cristiano e il dialogo interreligioso.
A che cosa si riferisce?
Martinelli: Innanzitutto alla visita di sua santità Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli. La sua venuta in qualche modo ci ha sorpresi, e ha dato al dialogo nel mondo cristiano in Libia un volto più completo e vero. In Libia oltre alla Chiesa cattolica, ci sono la Chiesa ortodossa, la Chiesa copta, la comunità anglicana e l’Union Church. La presenza efficace e feconda di Bartolomeo I ci ha aiutato nel lavoro ecumenico. Non solo. Il patriarca ha pure svolto una conferenza alla Facoltà islamica di Tripoli davanti a oltre quattrocento invitati ed è stato poi ricevuto dall’ambasciatore della Turchia. Il discorso dell’ambasciatore ha un po’ sintetizzato il nostro sentimento di quei giorni. Egli ha infatti sottolineato l’importanza di Bartolomeo I nel dialogo tra l’islam e l’ortodossia. Il patriarca ortodosso provenie infatti da un Paese musulmano ma non teocratico, e ora è giunto in Libia per stabilire un ponte anche con il cristianesimo ortodosso di queste regioni del Mediterraneo arabo. Ecco, questa visita di Bartolomeo I mi è sembrata un’invenzione molto bella dello Spirito, che ci aiuta e ci guida verso l’universalità del messaggio cristiano.
DIALOGO POLITICO E RELIGIOSO. Sopra, il leader libico Gheddafi con la delegazione bipartisan del Congresso statunitense a Tripoli il 26 gennaio 2004; sotto,  il patriarca copto di Alessandria,  Amba Shenouda III, ritira a Tripoli il Gaddafi Prize

DIALOGO POLITICO E RELIGIOSO. Sopra, il leader libico Gheddafi con la delegazione bipartisan del Congresso statunitense a Tripoli il 26 gennaio 2004; sotto, il patriarca copto di Alessandria, Amba Shenouda III, ritira a Tripoli il Gaddafi Prize

In Libia è giunto anche il patriarca copto Shenouda…
Martinelli: …al quale è stato consegnato un premio per i diritti umani, il Gaddafi Prize, per essere stato la voce cristiana che, all’interno di un mondo di cultura islamica, ha saputo portare avanti un messaggio di pace nell’area mediorientale. In Libia viene regolarmente il vescovo copto della pentapoli Mar Pakomios. Shenouda III invece era venuto la prima volta a Tripoli solo all’inizio della rivoluzione, ed è tornato ora per ricevere il premio, quasi a coronamento di questo dialogo continuo con la comunità copta libica. Che è una comunità privilegiata, perché è legata direttamente all’evangelista Marco. L’ebreo Marco era di una zona di Cirene che anche i beduini libici chiamano Wadi Marcos, e per la tradizione copta Marco sarebbe partito dalla Libia per andare a evangelizzare l’Egitto.
Per chiudere sul capitolo ecumenismo, ricordo che, oltre ai patriarchi, anche autorità anglicane sono venute di recente in Libia.
E la Dawa al-Islamiya?
Martinelli: È stata ove possibile sempre presente a questi nostri incontri ecumenici, cogliendone il valore e rendendoci omaggio. Ma dal 18 al 22 settembre ha pure ospitato un incontro internazionale islamo-cristiano sul tema della conoscenza reciproca tra le fedi, aperto alla partecipazione delle diverse confessioni cristiane. Per quattro giorni a Tripoli c’è stata tra esponenti cristiani e musulmani una positiva convivialità. In quel contesto mi ha colpito un’affermazione del muftì di Mosca: «Dobbiamo abituarci a conoscere i cristiani non per quello che dice il Corano ma per quello che i cristiani dicono di se stessi, attraverso il loro Vangelo». È appunto la richiesta di liberarci dagli schemi fissi di cui facciamo uso per “riconoscerci” l’un l’altro. E ancora, il Pontificio Consiglio del dialogo inter-religioso terrà a marzo assieme alla Dawa al-Islamiya un incontro a Roma sulla figura degli imam e dei sacerdoti, per ribadire l’importanza che questi siano uomini aperti al dialogo.
Crede che la politica estera di Tripoli stia mutando profondamente?
Martinelli: Se non si risolve il grave conflitto tra Israele e i palestinesi, ci sarà sempre una ferita aperta. Quello mediorientale è un mondo che ha subito e subisce ancora tante distruzioni e tante violazioni dei diritti dell’uomo. Però credo che se si vuole veramente trovare una forma di riconciliazione nel mondo arabo, occorra analizzare di nuovo i presupposti della politica della Libia “contro” Israele e “contro” l’America.
DAWA AL-ISLAMIYA. A destra nella foto, il segretario generale della Dawa al-Islamiya Muhammad A. Sherif

DAWA AL-ISLAMIYA. A destra nella foto, il segretario generale della Dawa al-Islamiya Muhammad A. Sherif

Intanto Gheddafi guarda già da tempo all’Africa.
Martinelli: La Libia sta facendo di tutto perché i diritti degli africani siano presi in considerazione. Intanto in Libia ci sono tanti immigrati dall’area subsahariana, e questo è un fatto che preoccupa sia il regime sia l’Occidente, perché le coste libiche sono il ponte verso l’Europa, e al traffico illegale di persone umane può talvolta mescolarsi il terrorismo... Ma sotto altri aspetti l’ospitalità libica dà a questa povera gente la possibilità di trovare un lavoro, fuggire da qualche guerra locale e dalla miseria. È noto che Gheddafi aspira a diventare uno dei leader di riferimento dell’Unione africana e vuole aiutare il processo di sviluppo politico del continente, dato che la Libia è presente da tempo come “influenza” in vari Stati subsahariani… Comunque, se per l’Unione africana ci vorrà tempo, Gheddafi intende darglielo.
Secondo lei la nuova politica del regime otterrà veramente i frutti che attende?
MARTINELLI: Guardi, sono stato sempre positivo nel giudicare la Libia e nei momenti di difficoltà ho sempre cercato di guardare al lato buono, perché mi sembrava che tutte le reazioni negative dei governanti di Tripoli nascessero anche dall’incomprensione, dal ritenersi vittime di un pregiudizio ideologico nei loro confronti. In effetti molti personaggi europei e americani hanno perso più di un’occasione per capire le ragioni profonde del regime e la positività di alcune prese di posizione di Gheddafi. Usando la sua libertà di giudizio, il vicario apostolico di Tripoli non ha mai subito una strumentalizzazione e ha sperimentato il desiderio di giustizia che animava anche le prese di posizione più rumorose del leader. Sì, qualche volta c’è stata demagogia, ma non è mancata a Gheddafi la volontà di parlare apertamente. Adesso che il leader s’è accorto che il fanatismo religioso ci sta portando al disastro, è diventato ancora una volta realista. Ha cominciato a non accettare più queste forme di estremismo e di terrorismo, dichiarandosi invece pronto a cercare una via d’uscita il più possibile incruenta per eliminare queste forze, non schierandosi dalla loro parte. Questa decisione mi sembra molto valida.
IL SANTO E IL SULTANO. L’incontro di san Francesco con il sultano d’Egitto, affresco di  Achille Fumi, chiesa di San Francesco, Tripoli

IL SANTO E IL SULTANO. L’incontro di san Francesco con il sultano d’Egitto, affresco di Achille Fumi, chiesa di San Francesco, Tripoli

Qual è il suo giudizio su come la Chiesa in Libia ha vissuto sin dall’inizio il suo rapporto col regime?
MARTINELLI: La Chiesa cattolica in Libia agisce seguendo l’ispirazione della Chiesa universale. Il Santo Padre ci è stato veramente di grande esempio sia per quanto riguarda il dialogo con l’islam sia per le prese di posizione nette contro la violenza e contro la guerra. Nella comunità internazionale la forza del dialogo sta nel dare importanza anche alle piccole nazioni, che talvolta hanno una voce sincera. Per noi, Chiesa di Libia, ascoltare la voce del governo di Tripoli poteva essere un’occasione per capire tutto il resto, cioè la sensibilità del mondo arabo musulmano prima, e dell’Africa subsahariana poi. La Chiesa di Libia, accettando sempre il dialogo con il regime, ha cercato di vivere questa comunione profonda con la Chiesa universale.

Sin qui l’intervista. E c’è un aneddoto da non dimenticare. A Tripoli la messa cattolica si celebra nella piccola chiesa bianca intitolata al Santo d’Assisi, e il vescovo, dicono, porta sempre i suoi amici ad ammirarne un dipinto: san Francesco che oltrepassa le schiere dei crociati per annunziare la pace al sultano d’Egitto.


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