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SALESIANI
tratto dal n. 10 - 2002

Salesiani: incontro con il nuovo rettor maggiore

Guardando all'America Latina


Intervista con Pascual Chávez Villanueva, messicano, successore di don Bosco: «La mia elezione riflette la situazione della realtà multinazionale e multiculturale dei Salesiani». La situazione della Congregazione nei Paesi musulmani e le sue nuove frontiere, dall’Africa all’Est asiatico


di Gianni Cardinale e Giovanni Assogna


Dal 3 aprile i Salesiani hanno un nuovo rettor maggiore, il messicano don Pascual Chávez Villanueva. Lo hanno eletto al primo scrutinio i delegati riuniti a Roma per il XXV capitolo generale. Don Pascual ha preso il posto di Juan Edmundo Vecchi, prematuramente scomparso, e guiderà la Congregazione per il sessennio 2002-2008. Il nono successore di don Bosco compirà 55 anni a dicembre, ha una formazione da biblista, ed è sacerdote dal ’73.
Don Pascual ha accettato volentieri di rilasciare un’intervista a 30Giorni. Nel colloquio ha parlato di sé, della situazione della Congregazione, del dialogo col mondo islamico e della situazione in America Latina.

Don Pascual Chávez Villanueva pochi istanti dopo la sua elezione a rettor maggiore

Don Pascual Chávez Villanueva pochi istanti dopo la sua elezione a rettor maggiore

Don Pascual, come è diventato salesiano?
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA: Ero allievo in una scuola salesiana, ma la mia vocazione è stata fortuita. Mia madre si ammalò gravemente, un giorno andai a trovarla e lei mi disse: «Ho pregato tanto il buon Dio di avere un figlio sacerdote, ma nessuno dei tuoi fratelli lo è diventato...». «Allora lo farò io», risposi. Tre giorni dopo mia madre morì. E così entrai nel noviziato salesiano. Di questo colloquio con mia madre, i miei parenti non seppero nulla fino al giorno della mia ordinazione sacerdotale, quando spiegai loro quale fu l’origine della mia vocazione.
Quale è stata la sua formazione?
CHÁVEZ VILLANUEVA: Sono un avido lettore e ricordo che in seminario ottenni un permesso speciale per poter restare in biblioteca fino a mezzanotte. Ero affascinato dai grandi classici latini e spagnoli che hanno indagato sul senso della storia e sul mistero dell’uomo. Successivamente i miei superiori mi indirizzarono verso gli studi teologici e allora mi sono appassionato alla Sacra Scrittura. Dopo l’ordinazione venni inviato infatti a studiare all’Istituto Biblico a Roma.
Chi erano i suoi professori?
CHÁVEZ VILLANUEVA: Rettore era l’allora padre Carlo Maria Martini. In cattedra sedevano personalità del calibro dei padri Alonso Schökel, Albert Vanhoye, Ignace de la Potterie e Stanislao Lyonnet, il grande esegeta di san Paolo e soprattutto dei capitoli 7 e 8 della Lettera ai Romani, i brani del peccato originale e della grazia. Aspetti oggi forse un po’ dimenticati...
Dopo gli studi a Roma tornò nel suo Messico...
CHÁVEZ VILLANUEVA: Sì, per insegnare, e dopo tre anni sono stato mandato a conseguire il dottorato in teologia biblica in Spagna, ma in quel momento non ho potuto terminare il corso perché sono stato nominato direttore dello Studentato teologico di Guadalajara e poi ispettore della provincia salesiana del nord del Messico. In questo periodo mi sono prodigato affinché la presenza salesiana si diversificasse, per poter raggiungere tutte quelle realtà giovanili particolarmente bisognose. Così sono state attivate numerose opere ai confini con gli Stati Uniti. Sono sorti gli oratori a Tijuana, Ciudad Juárez, Piedras Negras, Mochis. Siamo andati in queste realtà di frontiera, geografica e spirituale, per recuperare l’intuizione originaria di don Bosco, quella cioè di occuparsi dei giovani più bisognosi e di intervenire nei luoghi più caldi anche dal punto di vista sociale. Penso sia stata una iniziativa felice: oggi i nostri oratori sono un seme di speranza per molti ragazzi messicani.
Una lezione di Corano nella scuola salesiana di Alessandria d’Egitto

Una lezione di Corano nella scuola salesiana di Alessandria d’Egitto

Lei è il primo rettor maggiore dei Salesiani pienamente latinoamericano. Cosa significa per lei e per la Congregazione?
CHÁVEZ VILLANUEVA: La mia elezione riflette la situazione della realtà multinazionale e multiculturale della Congregazione e questo è anche frutto della lungimiranza di don Bosco, che già nel 1875 inviò la prima spedizione missionaria in Argentina, in Patagonia. Non è un caso quindi che il penultimo rettor maggiore, don Egidio Viganò, pur essendo italiano di nascita, della Valtellina, era latinoamericano di adozione, essendo stato per lunghi anni missionario in Cile. Don Vecchi poi, il suo successore, era nato in Argentina da genitori italiani. Si potrebbe dire che con don Viganò, con don Vecchi e con me c’è stata una transizione morbida dall’Italia all’America Latina... Ma questo è tutto merito dei missionari italiani che hanno saputo trasmettere, trapiantare fedelmente in America Latina il carisma che a loro volta avevano ricevuto direttamente da don Bosco o da coloro che lo avevano conosciuto.
Qual è lo stato di salute della Congregazione?
CHÁVEZ VILLANUEVA: Il numero dei confratelli è in declino in Europa anche per motivi demografici, stabile in America Latina – dove ci sono sempre numerose vocazioni, anche se a volte sono meno stabili rispetto a quelle del vecchio continente –, in forte aumento in Asia. Su 500 novizi che abbiamo ogni anno, almeno 125 vengono dall’India, ma ci sono molte vocazioni anche in Vietnam. E in prospettiva c’è l’Africa, dove siamo presenti già in 40 Paesi.
Quali sono le nuove frontiere della Congregazione?
CHÁVEZ VILLANUEVA: Sono molte. La Mongolia, dove siamo arrivati quest’anno. Poi il Kuwait, dove una nostra comunità indiana gestisce una scuola professionale molto frequentata dai figli degli immigrati che lavorano nei campi petroliferi. L’Iraq, dove sono presenti i nostri confratelli del Medio Oriente. L’Isola Mauritius e poi l’Azerbaigian. Questo dal punto di vista geografico. Per quanto riguarda invece la significatività della nostra opera, vorrei riferirmi soprattutto alla nostra presenza in Pakistan, a Quetta, ai confini dell’Afghanistan, dove abbiamo dovuto accogliere moltissimi profughi della guerra. I nostri salesiani lavorano in una zona quasi totalmente musulmana e in un quartiere piuttosto fondamentalista, ed è una grande testimonianza per tutta la Congregazione.
I Paesi da lei citati sono quasi tutti a maggioranza islamica…
CHÁVEZ VILLANUEVA: Noi andiamo dove è richiesta la nostra presenza, anche in quei luoghi dove la Chiesa non viene accolta proprio a braccia aperte. Il nostro ruolo in quei Paesi è quello, seguendo il carisma di don Bosco, di educare i giovani per dare loro una formazione umana e professionale che li aiuti ad affrontare la vita.
Come procede in questi luoghi di frontiera il dialogo con l’islam?
CHÁVEZ VILLANUEVA: Il nostro dicastero per le missioni ha avviato da anni questo dialogo, e di fatto in alcune nostre scuole ci sono luoghi di preghiera appositi per i ragazzi di fede musulmana che a volte sono la maggioranza degli studenti. Certo, da parte nostra noi professiamo chiaramente la nostra fede cristiana, come ci ha insegnato don Bosco, ma ci guardiamo bene dall’imporla. Poi il Signore può fare il resto... Noi cerchiamo di formare dei cittadini che, pur di religioni diverse, possono convivere in una società e farla evolvere. Il problema è che la religione spesso è strumentalizzata da ideologie e gruppi per scopi di potere...
Queste vostre realtà hanno avuto problemi o si sono inserite tranquillamente nel contesto islamico in cui si trovano ad operare?
CHÁVEZ VILLANUEVA: In genere non ci sono problemi; e solitamente non ci sono problemi in altri contesti non cristiani, come succede per le nostre opere in Africa e Asia. Certo, a volte ci sono dei gruppi fondamentalisti che creano difficoltà. Ma noi cerchiamo di seguire fedelmente le indicazioni di don Bosco che raccomandava di non politicizzare i ragazzi, di non mandarli alla guerra. Per questo la pace è un elemento indispensabile per poter avviare alla vita i ragazzi.
A proposito di pace. Sono sempre minacciosi i venti di guerra contro l’Iraq…
CHÁVEZ VILLANUEVA: In un’epoca come la nostra i conflitti dovrebbero essere gestiti dagli organismi internazionali come l’Onu. A volte succede che qualcuno dapprima indebolisce queste istituzioni per poi accusarle di essere incapaci di risolvere le crisi. Se ci fosse una reale volontà di rafforzare tali organismi rappresentativi, allora essi potrebbero risolvere positivamente queste situazioni.
Quali sono i sentimenti dei vostri confratelli che operano a Baghdad?
CHÁVEZ VILLANUEVA: Chi vive nel mondo arabo tende naturalmente a fare propri i sentimenti di quelle popolazioni. E i Salesiani non fanno eccezione. Condividono le aspirazioni di quei popoli, comprendono le loro sofferenze e soffrono le ingiustizie che patiscono.
Forse anche per questa attitudine, i Salesiani riuscirono a mantenere la loro scuola di Alessandria d’Egitto quando Nasser nazionalizzò tutte le scuole del Paese…
CHÁVEZ VILLANUEVA: È così. Ma lo stesso è accaduto anche a Cuba dove il regime appena giunse al potere confiscò tutte le scuole cattoliche instaurando il monopolio statale dell’educazione. Monopolio che permane ancora oggi. Tuttavia in questo contesto difficile i Salesiani sono rimasti. E tuttora siamo presenti con piccoli centri giovanili e con qualche piccolo centro di scuola informatica, che è molto frequentato... Questo è molto importante perché significa che è possibile portare avanti la presenza salesiana sia in contesti di benessere e consolidata democrazia, come in Occidente, sia in realtà in via di sviluppo e segnate da regimi dittatoriali e/o caratterizzati da atteggiamenti persecutori nei confronti dei cristiani.
Don Pascual, lei è messicano come lo è il preposito generale dei Carmelitani scalzi, il nuovo generale dei Domenicani poi è argentino…
CHÁVEZ VILLANUEVA: L’America Latina costituisce oggi la realtà numericamente più significativa del mondo cattolico. Ma non mancano degli squilibri, come quello tra la crescita della popolazione e il numero dei sacerdoti. Senza contare poi che si fa sempre più invadente l’influsso di modelli meno ispirati ai valori evangelici. Modelli che stanno creando un tipo nuovo di umanità e società anche in America Latina.
Una partita di pallone tra i ragazzi  dell’Istituto Don Bosco di Goma, in Congo

Una partita di pallone tra i ragazzi dell’Istituto Don Bosco di Goma, in Congo

Come valuta la situazione socio-economica del subcontinente?
CHÁVEZ VILLANUEVA: La situazione economica mondiale è critica, quella dell’America Latina è molto grave. Il crollo finanziario dell’Argentina ha trascinato con sé Uruguay e Paraguay, realtà meno conosciute ma non meno preoccupanti. Il Brasile è minacciato. Venezuela e Colombia sono in perenne crisi. Forse solo il Messico mostra di avere un’economia solida, anche se con stridenti squilibri al suo interno. In questo contesto si situa il dibattito sull’Alca, il mercato comune americano fortemente voluto dagli Stati Uniti. A riguardo ci sono valutazioni diverse: c’è chi lo vede come uno strumento architettato dagli Usa per sottomettere il resto del continente e c’è invece chi lo considera una valida opportunità di sviluppo per i Paesi latinoamericani.
Lei si sente più vicino alla prima o alla seconda valutazione?
CHÁVEZ VILLANUEVA: A mio parere è necessario elevare il potere economico finanziario dei Paesi latinoamericani prima della creazione di una associazione come l’Alca. Altrimenti è vero che si tratterebbe di una semplice annessione. Bisognerebbe guardare con attenzione quello che si è fatto in Europa, dove i Paesi ricchi si sono fatti veramente carico di quelli più poveri aiutandoli a progredire, e senza egemonismi. Da noi sembra dominare una logica diversa: sembra che gli Stati Uniti abbiano come principale preoccupazione quella di rimanere i number one e di creare una grande area di libero scambio in cui possano vendere i loro prodotti senza la paura della concorrenza europea.
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I Salesiani in cifre

Secondo i dati forniti durante la XXV Congregazione generale celebrata in primavera, i salesiani sono circa 16.900, concentrati soprattutto in Europa (circa ottomila), in Asia (circa tremila) e in America Latina (circa duemila). Provengono dalla Congregazione fondata da don Bosco 108 vescovi. Nel Collegio cardinalizio siedono sei porporati, di cui tre con meno di ottanta anni.


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