Berlinguer visto da vicino
Le note riservate di Tonino Tatò consentono di ricostruire lo sviluppo interno del Pci, promosso dalla segreteria Berlinguer, attraverso un progressivo avvicinamento all’Occidente, alla socialdemocrazia, all’europeismo
di Fabio Silvestri
Caro Berlinguer. Note e appunti riservati di Antonio Tatò a Enrico Berlinguer, 1969-1984, Einaudi, Torino 2003, 336 pp., euro 14,50.
In questo senso, il saggio in questione può ricoprire un ruolo non secondario nel riproporre all’attenzione di un’opinione pubblica che appare sempre più lontana da essa, il fatto che la politica non deve essere considerata come mero strumento di potere, ma come l’ineludibile e inevitabile momento di mediazione e di composizione, sia pure dialettica, di interessi tra loro divergenti e, spesso, contrastanti. Sempre sul medesimo piano, questo lavoro può offrire un contributo di rilievo nel cercare di definire e di determinare, proprio partendo da un’analisi della sua dinamica quotidiana, quale sia la sostanza, ed in qualche modo la “natura ultima”, della politica stessa. La quale, come emerge chiaramente anche dai documenti pubblicati, vive necessariamente di passioni, di impegno anche emotivo, di continui tentativi di dialogo, di incessanti ricerche di risposte, di progetti realizzati e di progetti falliti, nonché della subordinazione, talvolta necessaria, degli interessi particolari a quelli più generali, e di quelli nazionali a quelli sovranazionali.
Antonio Tatò con Enrico Berlinguer in una foto dei primi anni Settanta
Difatti Tatò partecipò attivamente all’esperienza della Sinistra cristiana, la quale si distinse, dal 1937 al 1945, non solo sul piano politico, ma anche su quello dell’impegno teorico e delle battaglie per la laicità della politica, per la sua separazione dalla religione, e per una concezione aconfessionale del partito. Fu proprio nel corso di questa esperienza che, specialmente a partire dal 1941, Tatò si legò in un’amicizia sempre più stretta con Rodano, tanto da condividerne e seguirne fedelmente il progetto politico nonché l’elaborazione teorica. Difatti, dopo lo scioglimento della Sinistra cristiana (per il quale egli si batté convintamente, insieme a Rodano e alla maggior parte dei dirigenti del partito stesso, in contrapposizione ad Adriano Ossicini e al gruppo di derivazione “popolare”), Tatò entrò nel Pci, all’interno del quale si propose sempre di restare come disciplinato militante, attivo soprattutto in quel campo sindacale e di rapporto “dal basso” con le masse popolari, in cui aveva mostrato di trovarsi a suo agio sin dai tempi della Sinistra cristiana. Difatti, a partire sostanzialmente dal 1949, e per i venti anni successivi, Tatò lavorò principalmente nella Cgil, all’interno della quale svolse diverse attività, dall’ufficio stampa e propaganda alla direzione di Rassegna Sindacale, divenendo uno dei principali collaboratori (se non il principale) del segretario generale Giuseppe Di Vittorio.
Per tutto questo periodo, Tatò non si distaccò mai del tutto da Rodano, il quale era invece impegnato in un’attività soprattutto teorica (si pensi, tra l’altro, alla “Scuola italiana di scienze politiche ed economiche”, diretta insieme a Claudio Napoleoni). Al contrario, i loro percorsi tornarono ad avvicinarsi quando, nel luglio del 1969, venne chiamato dall’allora vicesegretario del Pci, Enrico Berlinguer (al fianco del quale resterà fedelmente fino al giorno della morte dello stesso), a guidarne la segreteria personale. Un ruolo che Tatò seppe ricoprire con profitto, soprattutto sul piano della carica umana e di una non comune capacità di organizzazione e di mediazione, e che gli consentì di seguire da un osservatorio privilegiato un periodo di 15 anni, dal 1969 al 1984, che si dimostrò particolarmente drammatico non solo per quanto riguarda la vita politica nazionale, ma anche in rapporto alla vicenda storica di quello che è stato, nonostante i suoi limiti, il più serio ed organizzato partito comunista occidentale.
Berlinguer conversa con alcuni operai al lavoro in piazza Augusto Imperatore a Roma nel 1983
Le note riservate di Tatò, inoltre, consentono di ricostruire il problematico sviluppo interno del Pci, promosso dalla segreteria Berlinguer attraverso un progressivo avvicinamento all’Occidente, alla socialdemocrazia, all’europeismo, e attraverso un’azione che si rivelò personale, originale, e in sostanza molto avanzata rispetto al gruppo dirigente del partito. In particolare, dagli appunti di Tatò emerge il disegno berlingueriano (tratteggiato nel corso del XIV congresso del Pci, tenutosi nel marzo del 1975) teso a introdurre nella società italiana, così come in tutto il mondo capitalistico, degli elementi di socialismo i quali, coniugandosi alla democrazia, avrebbero dato vita a una peculiare forma di “terza via”. Questa avrebbe dovuto avere delle ripercussioni di portata mondiale, anche nel senso di favorire la spinta verso lo sviluppo delle libertà nei sistemi socialisti dell’Europa orientale. Una linea che Berlinguer avrebbe ripreso, a distanza di quattro anni, nel XV congresso, con la proposta dell’eurocomunismo e il riconoscimento dei limiti storici della rivoluzione socialista, e che lo avrebbe portato, dopo l’invasione dell’Afghanistan e la dichiarazione dello stato d’assedio in Polonia, a un definitivo allontanamento dall’Unione Sovietica e a un netto rifiuto delle sue scelte di politica internazionale.
Da sinistra, Aldo Tortorella, Massimo D’Alema e Antonio Tatò durante una commemorazione in occasione del quinto anniversario della morte di Berlinguer
Dal carteggio sembra emergere, inoltre, che nella fase della solidarietà nazionale e del suo governo, Andreotti abbia dimostrato, di fatto, una posizione più aperta al dialogo con il Pci rispetto a quella assunta dallo stesso Aldo Moro.
Un ultimo motivo di riflessione derivato dalla lettura di questo volume consiste nella possibilità di conoscere alcuni dei maggiori protagonisti della vita politica nazionale del tempo, osservandoli “da vicino”, nelle loro caratteristiche psicologiche, nelle loro idiosincrasie, nelle loro strategie e nei risvolti più privati della loro attività pubblica. Dalle relazioni di Tatò, pertanto, emerge un quadro assai ampio e articolato della vicenda politica italiana, ricostruito anche attraverso i punti di vista di statisti e di uomini politici, còlti, come si evidenzia nell’introduzione, «mentre si vanno definendo circostanze e formando situazioni che, solo dopo percorsi accidentati e incerti fino all’ultimo, prenderanno l’aspetto definitivo di fatti storici, con il loro specifico rilievo».