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RECENSIONI
tratto dal n. 04 - 2004

Berlinguer visto da vicino


Le note riservate di Tonino Tatò consentono di ricostruire lo sviluppo interno del Pci, promosso dalla segreteria Berlinguer, attraverso un progressivo avvicinamento all’Occidente, alla socialdemocrazia, all’europeismo


di Fabio Silvestri


<i>Caro Berlinguer. Note e appunti riservati di Antonio Tatò a Enrico Berlinguer, 1969-1984,</i> Einaudi, Torino 2003, 336 pp., euro 14,50.

Caro Berlinguer. Note e appunti riservati di Antonio Tatò a Enrico Berlinguer, 1969-1984, Einaudi, Torino 2003, 336 pp., euro 14,50.

Caro Berlinguer, raccolta di lettere, note ed appunti riservati, che sintetizza il fedele lavoro svolto da Tonino Tatò al fianco di Enrico Berlinguer (nei quindici anni in cui ha ricoperto l’incarico di portavoce, capo ufficio stampa e ascoltato consigliere del leader comunista) è un’opera che non può non stimolare la riflessione. Innanzitutto, la decisione della casa editrice Einaudi di pubblicare, per la collana “Gli Struzzi”, questa ricca messe di documenti provenienti dalla Fondazione Istituto Gramsci, cui è affidata la custodia dell’archivio storico del Partito comunista italiano consente di interrogarsi su che cosa sia la “politica” e su quali siano gli elementi qualificanti che la costituiscono. Si tratta di un tema di prepotente attualità in una contingenza storica nella quale l’operare politico, l’agire nella società e per la società, appare drammaticamente ridursi a pragmatico rapporto di forza, a semplicistica contesa elettorale tra due schieramenti in continua, quando non violenta, polemica tra loro, e, nel migliore dei casi, a conquista del consenso attraverso modalità e strategie mutuate da sistemi “altri” dalla politica (ad esempio il sistema dello spettacolo oppure quello della competizione sportiva).
In questo senso, il saggio in questione può ricoprire un ruolo non secondario nel riproporre all’attenzione di un’opinione pubblica che appare sempre più lontana da essa, il fatto che la politica non deve essere considerata come mero strumento di potere, ma come l’ineludibile e inevitabile momento di mediazione e di composizione, sia pure dialettica, di interessi tra loro divergenti e, spesso, contrastanti. Sempre sul medesimo piano, questo lavoro può offrire un contributo di rilievo nel cercare di definire e di determinare, proprio partendo da un’analisi della sua dinamica quotidiana, quale sia la sostanza, ed in qualche modo la “natura ultima”, della politica stessa. La quale, come emerge chiaramente anche dai documenti pubblicati, vive necessariamente di passioni, di impegno anche emotivo, di continui tentativi di dialogo, di incessanti ricerche di risposte, di progetti realizzati e di progetti falliti, nonché della subordinazione, talvolta necessaria, degli interessi particolari a quelli più generali, e di quelli nazionali a quelli sovranazionali.
Antonio Tatò con Enrico Berlinguer in una foto dei primi anni Settanta

Antonio Tatò con Enrico Berlinguer in una foto dei primi anni Settanta

Questi elementi, rivelati con chiarezza da un’analisi non meramente contenutistica degli appunti e delle relazioni raccolte da Tatò al termine di numerosi incontri e colloqui riservati, consentono (al di là del fatto se sia giusto o meno pubblicare cose riservate) di passare, in qualche modo, dal piano della cultura politica a quello del discorso personale, in quanto hanno costantemente accompagnato la vicenda individuale dello stesso Tatò. Il ripercorrere la quale, sia pure sinteticamente, costituisce un secondo spunto di riflessione suscitato dall’analisi del presente saggio. A questo proposito occorre ricordare, sulla scorta di quanto affermato da Vittorio Tranquilli (che di Tonino Tatò fu antico compagno di lotta e di militanza politica), che Giulio Andreotti ha riconosciuto a Tatò un ruolo chiave nella vicenda politica nazionale, esercitato anche attraverso gli incontri politici di altissimo livello ospitati nella sua abitazione, e che il cardinale Achille Silvestrini ne ha messo in evidenza la grande fede che accompagnava la sua attività politica. In questo senso, il percorso di Tatò, dalla partecipazione alla lotta antifascista e alla Resistenza fino al ruolo, di importanza non secondaria, assolto prima nella Cgil e poi nel Pci, può essere emblematico del cammino politico compiuto da coloro, fra i cattolici antifascisti, i quali, nel secondo dopoguerra e sotto l’influenza culturale anche di Franco Rodano, scelsero la strada della militanza comunista al fine di favorire un processo di deideologizzazione e di promuovere una stabile alleanza con la Democrazia cristiana (la quale, politicamente, si presentava come il partito di tutti i cattolici).
Difatti Tatò partecipò attivamente all’esperienza della Sinistra cristiana, la quale si distinse, dal 1937 al 1945, non solo sul piano politico, ma anche su quello dell’impegno teorico e delle battaglie per la laicità della politica, per la sua separazione dalla religione, e per una concezione aconfessionale del partito. Fu proprio nel corso di questa esperienza che, specialmente a partire dal 1941, Tatò si legò in un’amicizia sempre più stretta con Rodano, tanto da condividerne e seguirne fedelmente il progetto politico nonché l’elaborazione teorica. Difatti, dopo lo scioglimento della Sinistra cristiana (per il quale egli si batté convintamente, insieme a Rodano e alla maggior parte dei dirigenti del partito stesso, in contrapposizione ad Adriano Ossicini e al gruppo di derivazione “popolare”), Tatò entrò nel Pci, all’interno del quale si propose sempre di restare come disciplinato militante, attivo soprattutto in quel campo sindacale e di rapporto “dal basso” con le masse popolari, in cui aveva mostrato di trovarsi a suo agio sin dai tempi della Sinistra cristiana. Difatti, a partire sostanzialmente dal 1949, e per i venti anni successivi, Tatò lavorò principalmente nella Cgil, all’interno della quale svolse diverse attività, dall’ufficio stampa e propaganda alla direzione di Rassegna Sindacale, divenendo uno dei principali collaboratori (se non il principale) del segretario generale Giuseppe Di Vittorio.
Per tutto questo periodo, Tatò non si distaccò mai del tutto da Rodano, il quale era invece impegnato in un’attività soprattutto teorica (si pensi, tra l’altro, alla “Scuola italiana di scienze politiche ed economiche”, diretta insieme a Claudio Napoleoni). Al contrario, i loro percorsi tornarono ad avvicinarsi quando, nel luglio del 1969, venne chiamato dall’allora vicesegretario del Pci, Enrico Berlinguer (al fianco del quale resterà fedelmente fino al giorno della morte dello stesso), a guidarne la segreteria personale. Un ruolo che Tatò seppe ricoprire con profitto, soprattutto sul piano della carica umana e di una non comune capacità di organizzazione e di mediazione, e che gli consentì di seguire da un osservatorio privilegiato un periodo di 15 anni, dal 1969 al 1984, che si dimostrò particolarmente drammatico non solo per quanto riguarda la vita politica nazionale, ma anche in rapporto alla vicenda storica di quello che è stato, nonostante i suoi limiti, il più serio ed organizzato partito comunista occidentale.
Berlinguer conversa con alcuni operai al lavoro in piazza Augusto Imperatore a Roma nel 1983

Berlinguer conversa con alcuni operai al lavoro in piazza Augusto Imperatore a Roma nel 1983

La parte più cospicua delle annotazioni preparate da Tatò per Berlinguer investe quell’arco della storia repubblicana che va dal sequestro di Aldo Moro alla morte del segretario comunista, illuminando dall’interno, fra l’altro, la difficile ma continua ricerca (una volta esauritasi la fase della “solidarietà nazionale”, che aveva caratterizzato la vita politica dal 1976 al 1978) di un dialogo tra opposizione di sinistra e forze di governo, e alcuni passaggi determinanti del cammino attraverso il quale il comunismo italiano si è progressivamente allontanato dall’influenza sovietica. In un promemoria redatto tra il 2 e il 3 aprile del 1978, durante i tragici giorni del sequestro di Moro, Tatò conduceva una lunga analisi politica, nella cui articolazione si avvertono non pochi echi del pensiero di Rodano. Al suo interno, si metteva in evidenza come l’obiettivo ultimo del disegno eversivo, culminato nel sequestro dello statista democristiano, fosse non solo quello di colpire la Dc e il suo leader, ma soprattutto quello di provocare il fallimento della collaborazione del Pci con le forze di governo e il crollo delle stesse istituzioni dello Stato democratico. Di conseguenza, Tatò suggeriva al Pci l’adozione di una linea politica intransigente verso il terrorismo e contraria a qualsiasi processo sommario nei confronti della Dc, che doveva invece essere stimolata a un percorso di rinnovamento.
Le note riservate di Tatò, inoltre, consentono di ricostruire il problematico sviluppo interno del Pci, promosso dalla segreteria Berlinguer attraverso un progressivo avvicinamento all’Occidente, alla socialdemocrazia, all’europeismo, e attraverso un’azione che si rivelò personale, originale, e in sostanza molto avanzata rispetto al gruppo dirigente del partito. In particolare, dagli appunti di Tatò emerge il disegno berlingueriano (tratteggiato nel corso del XIV congresso del Pci, tenutosi nel marzo del 1975) teso a introdurre nella società italiana, così come in tutto il mondo capitalistico, degli elementi di socialismo i quali, coniugandosi alla democrazia, avrebbero dato vita a una peculiare forma di “terza via”. Questa avrebbe dovuto avere delle ripercussioni di portata mondiale, anche nel senso di favorire la spinta verso lo sviluppo delle libertà nei sistemi socialisti dell’Europa orientale. Una linea che Berlinguer avrebbe ripreso, a distanza di quattro anni, nel XV congresso, con la proposta dell’eurocomunismo e il riconoscimento dei limiti storici della rivoluzione socialista, e che lo avrebbe portato, dopo l’invasione dell’Afghanistan e la dichiarazione dello stato d’assedio in Polonia, a un definitivo allontanamento dall’Unione Sovietica e a un netto rifiuto delle sue scelte di politica internazionale.
Da sinistra, Aldo Tortorella, Massimo D’Alema e Antonio Tatò durante una commemorazione in occasione del quinto anniversario della morte di Berlinguer

Da sinistra, Aldo Tortorella, Massimo D’Alema e Antonio Tatò durante una commemorazione in occasione del quinto anniversario della morte di Berlinguer

Le note di Tatò, pertanto, consentono di comprendere come il progetto berlingueriano mirasse, fra l’altro, a cercare di salvare la tradizione e la politica del Pci dal crollo del comunismo internazionale, prospettando anche alcuni sviluppi futuri, specialmente per la capacità del leader comunista di interpretare, al di fuori degli schemi ideologici ormai scricchiolanti, il ruolo dei cattolici. In questo senso non si può non rilevare l’importanza del dialogo con Andreotti, al cui ruolo peculiare tanto Tatò quanto Berlinguer attribuivano una notevole rilevanza, anche per l’antica amicizia che legava Andreotti stesso, oltre che allo stesso Tatò, a Franco Rodano. Soprattutto da quando, nel lontano 1943, Rodano consegnò nelle mani di Andreotti un suo famoso scritto sulla proprietà che, unitamente al Manifesto del Partito cooperativista sinarchico, ebbe un ruolo non secondario nell’elaborazione del Codice di Camaldoli.
Dal carteggio sembra emergere, inoltre, che nella fase della solidarietà nazionale e del suo governo, Andreotti abbia dimostrato, di fatto, una posizione più aperta al dialogo con il Pci rispetto a quella assunta dallo stesso Aldo Moro.
Un ultimo motivo di riflessione derivato dalla lettura di questo volume consiste nella possibilità di conoscere alcuni dei maggiori protagonisti della vita politica nazionale del tempo, osservandoli “da vicino”, nelle loro caratteristiche psicologiche, nelle loro idiosincrasie, nelle loro strategie e nei risvolti più privati della loro attività pubblica. Dalle relazioni di Tatò, pertanto, emerge un quadro assai ampio e articolato della vicenda politica italiana, ricostruito anche attraverso i punti di vista di statisti e di uomini politici, còlti, come si evidenzia nell’introduzione, «mentre si vanno definendo circostanze e formando situazioni che, solo dopo percorsi accidentati e incerti fino all’ultimo, prenderanno l’aspetto definitivo di fatti storici, con il loro specifico rilievo».


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