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OPUS DEI
tratto dal n. 10 - 2002

Dopo la canonizzazione di Escrivá parlano aderenti e simpatizzanti famosi

Un santo che sa stare al mondo


La santificazione del proprio lavoro e la misericordia per il peccatore. Ecco i due aspetti dell’insegnamento di Escrivá che hanno attirato artisti, politici e manager


a cura di Valentina Di Virgilio


Cultura, informazione, moda, economia, arte, cinema, politica.
Il messaggio di Escrivá de Balaguer sulla “santificazione del lavoro” ha raggiunto il cuore di tanti professionisti, lontani tra loro per ideologia, mestiere, scelte di vita. Ma tutti uniti dall’idea del fondatore dell’Opus Dei che c’è un filo che lega il far bene il proprio mestiere, per quanto mondano, con la salvezza cristiana. Dopo la canonizzazione di Escrivá abbiamo rivolto alcune domande a due aderenti eccellenti dell’Opus Dei, ad alcuni simpatizzanti, e a due osservatori neutrali, che il giorno della canonizzazione erano presenti in piazza San Pietro.


ADERENTI

Ettore Bernabei
presidente Lux Vide

Lei ha vissuto, in veste di comunicatore, gli anni del Concilio Vaticano II. In che misura sant’Escrivá ne era stato anticipatore?
ETTORE BERNABEI: La cosa sostanzialmente importante che il Concilio ha recepito dalle intuizioni di Josemaría Escrivá è la concezione del lavoro dell’uomo. Fino al XIX secolo il lavoro era ritenuto quasi una maledizione per gli uomini. Escrivá, invece, già negli anni Venti, predicava un’idea rivoluzionaria: il lavoro quotidiano, anche quello svolto dai più umili, può essere un mezzo di santificazione personale e della società. Non c’è bisogno di ritirarsi dal mondo per trovare la via del paradiso.
Io non ho conosciuto personalmente san Josemaría, e molte cose di lui le ho sapute dall’allora sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Dell’Acqua, che era suo amico nel senso più profondo e solidaristico della parola. Egli mi ha raccontato che Escrivá ha partecipato molto ai lavori del Concilio, ed ha potuto fornire, con prudenza e discrezione, molti consigli anche nelle decisioni più importanti.
Cosa ha significato per lei l’avvicinamento all’Opus Dei?
BERNABEI: Dal 1975 ho cominciato a partecipare alle varie iniziative di formazione spirituale dell’Opera. Nel dedicarmi prima all’amministrazione di società pubbliche, poi a una attività imprenditoriale privata di produzione di programmi televisivi, ho sentito sempre un incitamento dalle intuizioni di Escrivá, ma mi hanno aiutato anche molti consigli pratici che sono contenuti nei suoi scritti. Escrivá aveva molto a cuore i problemi della comunicazione. Sentiva la necessità di formare nuovi operatori in questo campo, ed è quello che cerco anch’io, modestamente, di fare.


Paola Grossi Gondi
pittrice

Cosa significa l’incontro con il pensiero di Escrivá per un artista?
PAOLA GROSSI GONDI: Ordine, capacità di gestirsi e una responsabilità dovuta alla consapevolezza che il tempo va fatto fruttare. Vi sono alti e bassi nella creatività e anche un fallimento può fruttare. Ho imparato che esiste un’etica del lavoro. L’arte è prima di tutto un servizio.
Cosa le è rimasto più impresso dei suoi insegnamenti?
GROSSI GONDI: So che una volta sant’Escrivá portò dei giovani amici universitari in cima alla bellissima cattedrale di Burgos per vedere da vicino delle guglie che dal basso era impossibile notare. Elogiando la perfezione con cui erano state costruite, pur sapendo che nessuno le avrebbe mai viste e che solo Dio le avrebbe colte come un gesto d’amore, segnalò in quel caso un esempio di come bisogna vivere ogni dettaglio della propria vita.
Con quali ritmi lavora e si confronta con il pubblico?
GROSSI GONDI: In media ogni due anni c’è una mia esposizione personale. Ora è in corso una mostra a Valencia a cui partecipa un mio quadro che poi andrà a Madrid.
La Spagna è la terra natale di Escrivá. Quale quadro ha deciso di mandare?
GROSSI GONDI: È significativo non solo il luogo, ma anche la tematica scelta per partecipare: “Mondo, lavoro e creatività”. Il mio quadro è un olio, intitolato Dettaglio, e rappresenta una cancellata in ferro battuto, a Mont Saint-Michel, il cui ricciolo finale appoggia con armonia sulla base di una colonna, una pietra medievale, dando l’idea del pieno e del vuoto che si forma tra i due elementi.
Cosa è cambiato dopo l’avvicinamento all’Opus Dei?
GROSSI GONDI: Da una quindicina di anni sono membro soprannumerario (senza voto di castità, ndr) dell’Opera. Ho scoperto che esiste una vocazione, anche professionale: sono stata amata e pensata da Dio per un servizio molto specifico, che è la ricerca della bellezza e dell’armonia. Dal punto di vista stilistico, in realtà, non è cambiato nulla. I soggetti che dipingo sono rimasti gli stessi. Quello che è cambiato è la consapevolezza di far parte di un disegno più grande. Ho riscoperto la mia dimensione di battezzata.
Le migliaia di fedeli che hanno affollato via della Conciliazione, fino ad arrivare a Castel Sant’Angelo, per la canonizzazione di Escrivá de Balaguer, 
il 6 ottobre 2002

Le migliaia di fedeli che hanno affollato via della Conciliazione, fino ad arrivare a Castel Sant’Angelo, per la canonizzazione di Escrivá de Balaguer, il 6 ottobre 2002


SIMPATIZZANTI

Leonardo Mondadori
editore

Lei ha affermato di essere transitato da una posizione tutta “donne e motori” a una piena conversione spirituale grazie all’Opus Dei, di cui ora è membro. Come è avvenuto l’incontro con l’Opera?
LEONARDO MONDADORI: È avvenuto nel 1992 attraverso la conoscenza dell’ingegnere Giuseppe Corigliano (direttore dell’Ufficio informazioni della prelatura, ndr), che mi contattò per la pubblicazione del Cammino, lo scritto fondamentale del neosanto. Proprio allora cominciavo a sentire un certo disagio per la vita che conducevo. Il forte richiamo alla santificazione della vita ordinaria per una persona come me, che adora il lavoro, è stato molto importante.
L’Opera è percepita da molti come selettiva, elitaria. Cosa ne pensa?
MONDADORI: Non credo. È aperta a tutti. Certo, c’è una disciplina dottrinale molto forte.
Quali sono i punti dell’insegnamento di Escrivá su cui oggi bisognerebbe più insistere?
MONDADORI: Le parole di Escrivá sul processo di scristianizzazione della società sono le più attuali. In questo senso la scuola, l’educazione delle nuove generazioni, rivestono un ruolo diciamo strategico. Per questo l’Opera ha al centro delle proprie attività quella formativa: strutture in cui si pratichi l’educazione al trascendente ad un altissimo livello professionale di insegnamento e di assistenza ai ragazzi.
La linea editoriale della sua casa editrice ha risentito del suo avvicinamento all’Opera?
MONDADORI: Più che della vicinanza all’Opera, risente di tutta la lectio cattolica. Abbiamo pubblicato, unici editori laici, una collana di libri intitolata Uomini e religioni, accolta molto bene dal pubblico.


Micol Fontana
stilista di alta moda

5oda e Opera divina. Due mondi apparentemente lontani

MICOL FONTANA: Per me si avvicinano molto. La moda deve essere buon gusto. E anche il cristianesimo ha qualcosa a che vedere con il gusto. Inoltre la Chiesa ci insegna ad apparire con sobrietà, senza esagerazioni o in maniera sguaiata.
?he cosa significano per lei gli insegnamenti di sant’Escrivá?
FONTANA: Una profonda educazione al bene.
In quali anni lei si è avvicinata all’Opus Dei?
FONTANA: Più o meno una ventina di anni fa. Anche se non sono membro dell’Opera, ho partecipato attivamente a molte iniziative. Ho anche dato lezioni di cucito presso le loro scuole qui a Roma. Tutte esperienze che mi hanno riempito di vita.
Ha seguito le cerimonie di beatificazione e canonizzazione?
†ONTANA: Certo. Ho seguito tutti questi grandi eventi, ma da casa. Sono troppo anziana per andare a San Pietro, ho quasi novant’anni.
La laboriosità è uno dei temi più cari a sant’Escrivá. Lei cerca di trasmettere questi insegnamenti ai giovani apprendisti nell’attività quotidiana?
FONTANA: Certo. Ne parlo con molto piacere. Ovviamente non sono una trascinatrice di folle...


Irene Pivetti
ex presidente della Camera, giornalista televisiva

Alla canonizzazione c’erano molti politici. Escrivá può essere un modello per il mondo politico, al di là delle appartenenze di partito?
IRENE PIVETTI: Sicuramente. È una figura estremamente moderna. Il suo carisma è vicino alle persone professionalmente impegnate e che spendono il massimo di concentrazione, qualità umane e tempo nel proprio lavoro. È una figura preziosa che indica la possibilità di santificarsi attraverso l’attività professionale.
Intervenendo a Porta a porta lei si è detta vicina allo spirito dell’Opus Dei.
PIVETTI: Sì. Quello che però mi è dispiaciuto non sia emerso dalla trasmissione è la dimensione familiare della vocazione e dello spirito dell’Opera. Voglio dire la capacità di vivere come membri di una famiglia in senso pratico, materiale, anche per chi non è nato dallo stesso papà e dalla stessa mamma.
In che modo è venuta a conoscenza dell’Opera?
PIVETTI: A più riprese nel percorso della mia vita: attraverso amiche e ancor prima, ai tempi della scuola. Ma sempre attraverso contatti personali. Considero l’aver conosciuto la spiritualità dell’Opera un bel regalo. È stato importante anche per la costruzione della mia famiglia: né io né mio marito abbiamo la vocazione dell’Opera, però siamo molto contenti di averla conosciuta.
Lei ha detto di padre Escrivá che è un santo che la fa sentire a suo agio.
PIVETTI: Sì, per la sua grande tolleranza e misericordia per l’imperfezione. Un santo molto elastico sulle cose pratiche della vita. Un santo che sa stare al mondo.

Alberto Sordi
attore, regista

Come è venuto a conoscenza di Escrivá?
ALBERTO SORDI: Si tratta di una persona straordinaria anche se non l’ho conosciuto personalmente. Mi invitarono in Spagna, a Pamplona, per conoscere il fondatore quando era in vita, negli anni Sessanta, ma non fui in grado di andare per il mio lavoro, stavo girando dei film. Ho sentito molto parlare di lui.
Lei non ha mai fatto mistero della sua fede cattolica…
SORDI: Sono sempre stato cattolico praticante. Certo il mio lavoro mi ha impegnato moltissimo.
Secondo Escrivá il lavoro santifica. Cosa ne pensa?
Penso che ho rinunciato a molte cose della mia vita privata per il lavoro. La mia è stata una dedizione completa al lavoro che non mi ha permesso di fare qualcosa che forse mi sarebbe piaciuto, come farmi una famiglia, avere dei figli. Ma non avevo il tempo di fare il buon marito, il buon padre…
Lei però è ancora molto attento ai giovani…
SORDI: Sì, attualmente sto curando una trasmissione che ricostruisce la storia d’Italia e che contiene molte delle idee che emergono nei miei film. Sono 38 ore di trasmissione, abbinate ad un documentario che va dai primi del Novecento fino al 2000, che termina con la celebrazione del Giubileo a San Pietro. Tutto ciò andrà prima nelle scuole e poi in televisione. Il ricavato sarà per la Fondazione Alberto Sordi giovane, nata per far emergere giovani talenti, evitando loro uno straziante apprendistato. So come è duro iniziare. Voglio che i giovani abbiano un più facile accesso al campo artistico.
Nei suoi film lei ha rappresentato gli italiani con i loro difetti. Escrivá era molto benevolo verso i difetti e le miserie umane?
SORDI: Escrivá lottava contro una vita senza devozione cristiana. Lo faceva con una veemenza e una grande personalità, dedicandosi così tanto agli altri e offrendo la possibilità di vivere santamente nella vita terrena. Siamo fatti per godere la vita e rispettare questo miracolo che è la vita. Escrivá ha sempre lottato come uomo. Ha indotto chi lo avvicinava alla rettitudine, correggendone i difetti, ma sempre stando tra i suoi come uomo.
Qualche anno fa lei ha messo a disposizione un terreno a Trigoria che è diventato parte di un campus biomedico dell’Opus Dei.
SORDI: Sì. Le strutture, già funzionanti da tempo, ospitano molti anziani che lì trovano benessere e assistenza di gente esperta, senza sentirsi abbandonate come in un ospizio. Ho voluto fare questa donazione perché, ora che ho più tempo per guardarmi intorno, ho deciso di devolvere parte dei miei risparmi a chi è meno fortunato di me.


Vito Gamberale
amministratore delegato Autostrade s.p.a.

Ingegnere, in che termini va intesa la sua collaborazione con l’Opus Dei?
VITO GAMBERALE: Abbiamo offerto un sostegno di tipo tecnico, in occasione della canonizzazione, per facilitare i movimenti dei gruppi di pellegrini che dovevano avvicinarsi a Roma passando per le autostrade. Abbiamo voluto dare un supporto con i sistemi di pagamento, con le accoglienze nelle aree di servizio, con le indicazioni per agevolare gli spostamenti. È la prima volta che abbiamo espresso un impegno di questo genere. L’unico precedente simile era stato per la Giornata mondiale della gioventù, a Tor Vergata.
Che idea si è fatto dell’Opus Dei?
GAMBERALE: Frequentando le persone di questo ambiente, e studiando la vita di questo grande personaggio che è sant’Escrivá, ho decodificato il progetto che egli con impegno, serenità, sicurezza ha voluto perseguire. Un progetto che oggi è stato realizzato, e che, nella sua globalità, indica un metodo di vita: lavorare pensando a concreti valori cristiani da diffondere nella società.
La collaborazione con l’Opera si limita all’evento della canonizzazione?
GAMBERALE: No. Da alcuni anni si è instaurato uno scambio con la scuola di formazione professionale “Elis” che è situata vicino alla nostra sede (fondato da Escrivá e inaugurato da Paolo VI nel 1965, il centro “Elis” promuove la formazione nelle professioni tradizionali – meccanici, orafi, elettronici, orologiai – e in quelle legate alle nuove tecnologie ndr): lo scambio consiste in un contributo di docenza, un contributo economico, ma soprattutto un contributo di giovani che vanno a fare corsi di perfezionamento, creando un luogo da cui attingere nuove leve per il mondo del lavoro.
OSSERVATORI ESTERNI

Massimo D’Alema
Il presidente dei Ds, pur non essendo credente, era presente alla cerimonia di canonizzazione del fondatore dell’Opus Dei. Una presenza che, spiega a 30Giorni, «è stata da parte mia una manifestazione di rispetto di fronte a un grande evento. Con la canonizzazione del fondatore dell’Opus Dei, la Chiesa ha riconosciuto nel modo più alto il ruolo di questa straordinaria organizzazione così ramificata nella società. Un’organizzazione che ha saputo legare la fede cristiana all’Opera e all’impegno sociale di sviluppo economico come forse pochi altri nella storia della Chiesa». E aggiunge: «Inoltre ho molti amici che hanno vissuto questa giornata con grande e intensa partecipazione, mi sembrava giusto essere lì per dimostrare il mio interesse e il mio rispetto».

Andrea Riccardi

Per il fondatore della Comunità di Sant’Egidio «il fatto storico importante mi sembra quello di vedere come Giovanni Paolo II ha inteso la canonizzazione di padre Escrivá. C’è stata una rapidità nell’elevazione agli altari non casuale e legata a due altre grandi figure del cristianesimo, padre Pio, e madre Teresa. La santificazione di Escrivá è il tassello di un più ampio progetto di valorizzazione nella Chiesa di tutte le forze socialmente impegnate in attività umanitarie, di dialogo interreligioso, secondo le linee guida indicate dal Concilio Vaticano II». Un Concilio iniziato nel 1962 sotto il pontificato di Giovanni XXIII, ma che rappresenta «una stagione ancora non conclusa», ha detto sempre Riccardi nel recente convegno “Notizie sul Concilio” promosso dall’Unione cattolica stampa italiana. «La cosa principale che la gente ha percepito del Concilio è il sentirsi tutti più soggetti responsabili nel mondo della Chiesa». È la via aperta al «pluralismo, alla polarizzazione dei soggetti all’interno della Chiesa». «La Chiesa non più maestra di umanità ma esperta di umanità», ha detto Riccardi.



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