Autobiografia papale
di Giulio Andreotti
L’edizione simultanea di un libro in molte lingue è un avvenimento straordinario. Ma ancora più raro – anzi, senza precedenti – è, con questa diffusione, l’autobiografia di un papa.
Raccolte di discorsi, di acta e di encicliche non suscitano sorpresa: vi sono sempre state. Io stesso collaborai da studente ad un massimario di dottrina sociale della Chiesa, tratto appunto da documenti di emanazione papale. Dinanzi all’evento storico della pubblicazione della vita di Giovanni Paolo II scritta da lui stesso e lanciata Urbi et orbi in una dimensione editoriale davvero senza precedenti si può dare una spiegazione molto semplice. Guardiamo gli ultimi papi: Benedetto XV avrebbe potuto attingere ai suoi precedenti nel lavoro in Segreteria di Stato e nella direzione pastorale di Bologna. Pio XI alle preziose ricerche di Biblioteca (forse con un cenno alle escursioni estive in montagna). Pio XII alle tumultuose vicende durante le nunziature a Monaco e a Berlino. Paolo VI al ministero tra gli universitari e i laureati cattolici. Giovanni XXIII al drammatico salvataggio degli ebrei tedeschi in Turchia. Giovanni Paolo I alla pedagogia popolare attraverso Il Messaggero di Sant’Antonio.
Tutte pagine senza dubbio interessanti, ma in un quadro formativo di vocazione giovanile e di vita in seminario: un cliché comunque privo di originale straordinarietà.
Giovanni Paolo II rappresenta una clamorosa novità non perché straniero, ma per il suo itinerario personale che precede la vocazione al sacerdozio e ne accompagna via via il ministero in un quadro drammatico di persecuzione, di guerra, di sottili ostilità da parte del potere civile. Tra tanti “notabili” che si dicono vicini ai lavoratori Karol Wojtyla è stato di persona un operaio e con mansioni dure e logoranti. Gli affiliati a Solidarnosc sentivano che era uno di loro.
Già nel suo libro Dono e mistero ci era stato dato di conoscere i risvolti di questa personalità molto marcata, dalla vocazione molteplice e dalle qualità che avrebbero potuto farlo professionalmente emergere in campi diversi da quello del sacerdozio, a cominciare dal teatro per il quale sentiva una disposizione particolare. Ma nella odierna biografia premette al capitolo su “La Vocazione” la citazione evangelica del: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Questa volta la chiamata non era per il sacerdozio, ma per l’episcopato. È una pagina poetica la descrizione di questa convocazione che lo raggiunge durante la vacanza estiva che divideva tra la montagna e la canoa. L’ultimo tratto del viaggio verso Varsavia lo compie su un camion carico di farina.
Il cardinale Wyszynski gli comunica la nomina ad ausiliare di Cracovia. Cercò di resistere, eccependo candidamente l’età giovanile (trentotto anni), ma con grande spirito gli fu risposto che di questa debolezza si sarebbe presto liberato.
Cracovia viveva momenti difficili da molto tempo. Quando, nel 1942, il precedente arcivescovo, il cardinale Sapieha, ricevette dall’inviato di Pio XII (monsignor Quirino Paganuzzi) il testo di un messaggio di protesta del Papa per le angherie subite da tutti, cattolici e non, eccepì l’inutilità, anzi l’effetto aggravante che tale iniziativa avrebbe provocato. L’inviato poté riferire a Roma la tragica vita dei polacchi in quel terribile momento. Quando nel 1958 Wojtyla diventa vescovo ausiliare la situazione non era certo migliorata. Anzi.
Nei capitoli del libro si descrivono le molteplici attività che il novello vescovo intraprese con un apprezzamento particolare per la maternità e la paternità (pastorale della famiglia) e per gli universitari. E si espongono le difficoltà che il regime poneva al magistero cattolico, compreso il boicottaggio per la costruzione di nuove chiese. Nei giorni scorsi in un’intervista televisiva da Nowa Huta un superstite ha narrato il tenace impegno personale di monsignor Wojtyla per ottenere la costruzione di un edificio sacro nella loro cittadina operaia, soggiogata dal comunismo totalizzante e fino allora priva di edifici di culto.
Nel suo libro il Papa vi dedica una descrizione commovente. Ma oltre alle cronache sofferte del cattolicesimo polacco il Papa dedica pagine molto illuminanti a temi di perdurante grande attualità per la Chiesa universale. Compreso il problema della collegialità che fece tanto soffrire Paolo VI. In questo contesto sono descritte le esperienze conciliari e sinodali; con accenni anche ad amicizie personali createsi con vescovi di altre nazioni. Un particolare riferimento riguarda il cardinale Ratzinger, di cui si attesta la eccezionale preparazione teologica e viene detto esplicitamente: «Rendo grazie a Dio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger, che è un amico fidato».
Commovente è la conclusione del libro ispirata a Roma: «Parlo da un luogo in cui mi ha condotto l’amore di Cristo Salvatore, chiedendomi di uscire dalla mia terra per portare frutto altrove con la sua grazia, un frutto destinato a rimanere. Facendo eco alle parole del nostro Maestro e Signore, ripeto perciò anch’io a ciascuno di voi, carissimi fratelli nell’episcopato: “Alzatevi, andiamo!”. Andiamo fidandoci di Cristo. Sarà Lui ad accompagnarci nel cammino, fino alla meta che Lui solo conosce».
Per esprimere il sentimento che si prova per Giovanni Paolo II vorrei rifarmi ad un bellissimo opuscoletto che il ribelle don Primo Mazzolari scrisse differenziandosi da biografie laudatorie e da espressioni elogiative che, anche se pertinenti e giuste, potevano apparire adulatorie.
Parlò della nostalgia che il Papa doveva provare tra l’agitare di flabelli (allora usati) e espressioni laudatorie nel ricordo semplice di sua madre quando la sera, benedicente, andava a rimboccargli la coperta e ad augurare la buona notte. Karol Wojtyla aveva perduto prestissimo sua madre. Quindi il riferimento è ancora più patetico e pertinente.