L’ordinazione del primo vescovo cinese pubblicamente nominato dal Papa dopo la nascita della Repubblica Popolare
Superare le muraglie
Gianni Valente
Un momento della festa davanti alla chiesa di Niupidi nel villaggio di San Giuseppe, nella provincia sudorientale del Guangdong
La scorsa estate aveva destato interesse la lettera aperta in cui Giuseppe Han Zhi-hai, vescovo di Lanzhou non riconosciuto dal governo, aveva affermato la piena comunione di fede coi vescovi cinesi che sono in comunione con Roma pur muovendosi all’interno delle procedure e degli organismi “patriottici” con cui il potere civile controlla le attività ecclesiali (cfr. 30Giorni, n. 10, 2003, pp. 27-28). Il suo era risuonato come un appello autorevole a superare quella divisione tra comunità ecclesiali “non registrate” e comunità riconosciute dal governo che in Cina ha prodotto addirittura il fenomeno di due organismi episcopali paralleli (nessuno dei quali riconosciuto dal Vaticano).
Nel gioco dei segnali cifrati che Vaticano e dirigenza cinese si inviano in assenza di canali di dialogo ufficiale, proprio la procedura “concordata” dell’ordinazione di Hengshui, replicata lo scorso 29 aprile nella consacrazione di Jinan, potrebbe rappresentare il modello di soluzione provvisoria da sperimentare in vista di un tacito e graduale riassorbimento di tale situazione anomala. Un processo che la Santa Sede accompagna sospendendo di fatto le ordinazioni “clandestine” (le ultime senza alcun riconoscimento da parte degli organismi governativi sono avvenute a metà degli anni Novanta) e cercando fin dove è possibile di dare in via riservata il proprio assenso alla nomina di candidati riconosciuti come vescovi dal governo e non invisi alle comunità cosiddette “sotterranee”.