Monsignor D’Ascenzi ricorda il convegno sul Concordato che si tenne ad Arezzo nell’85
Un aiuto a superare pregiudizi reciproci
Giovanni D’Ascenzi
Quando il 18 febbraio 1984 fu reso
pubblico il testo dell’Accordo di revisione del Concordato stipulato
dall’Italia e dalla Santa Sede, rimasi favorevolmente sorpreso dall’attenzione
con cui fu accolto dalle componenti politiche, culturali e sociali dell’ambiente
aretino, sicché aderii subito all’invito di partecipare all’iniziativa di un
convegno a più voci su questo argomento.
Non ero ignaro della presenza in Arezzo di una classe politico-culturale che guardava alla Chiesa con persistente diffidenza, residuo di una visione laicista ancora tenacemente radicata. Non potevo dimenticare la risposta del sindaco di Arezzo all’invito di partecipare alla cerimonia del mio ingresso nella Cattedrale aretina l’11 giugno 1983: «Piuttosto la invito io, prima che entri in Cattedrale, a incontrare il Consiglio comunale nella sede del Comune». Naturalmente risposi declinando l’invito. Altra persistente diffidenza era diffusa nei ceti popolari per il sistema mezzadrile con il quale era gestito il patrimonio, assai consistente, dei benefici ecclesiastici.
La Chiesa di Arezzo, guidata dall’amatissimo vescovo Emmanuele Mignone, era stata a fianco della popolazione durante il passaggio delle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale. Nel complesso circa trenta sacerdoti avevano donato la vita per proteggere la popolazione delle città e dei villaggi della Valdichiana, del Valdarno, del Pratomagno, del Casentino, del sacro Monte della Verna, di Camaldoli, della Valtiberina, del Chianti. Lo stesso vescovo aveva accolto i senzatetto nel Palazzo vescovile. Più volte era intervenuto con il comando militare tedesco per tutelare la vita di persone in prigione; ma purtroppo con scarsi risultati.
Al primo invito a promuovere un convegno di studio sul nuovo Concordato fecero seguito ripetuti scambi di idee relativamente ai contenuti, alla scelta dei relatori e delle istituzioni e delle persone da invitare. Nel porgere il saluto ai partecipanti al convegno potei dire tra l’altro queste parole: «Debbo confessare che il cammino intercorso tra persone di estrazione diversa, come si suol dire, ha fatto scoprire e alimentare un sincero spirito di amicizia».
In
verità un convegno di studio sull’Accordo di revisione del Concordato
presentava non poche difficoltà, sia per le polemiche che il Concordato
sottoscritto l’11 febbraio 1929 aveva suscitato, sia per il dibattito in sede
di Costituente per la formulazione dell’articolo 7 della Costituzione: «Lo
Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni
dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale». L’ambito del convegno di studio fu indicato nel tema:
“Concordato 1984: premesse e prospettive”. Si svolse ad Arezzo dal 24 al 26
gennaio 1985. Parteciparono come relatori Pietro Scoppola (con la relazione “Il
Concordato del 1929. Profilo storico”); Ombretta Fumagalli Carulli (“I Patti
del Laterano: il dibattito parlamentare e le reazioni del Paese”); Carlo Cardia
(“Principi costituzionali e Concordato tra Stato e Chiesa cattolica”); Orazio
Niceforo (“I cattolici e la scuola: la tentazione integralistica”); Ugo De
Siervo (“Scuola pubblica e scuola privata”); Luciano Pazzaglia (“L’insegnamento
della religione nella scuola di Stato”); Giulio Andreotti (“Il Concordato di
Villa Madama del 1984 e le sue prospettive”); Attilio Nicora (“Le novità del
Concordato circa gli enti e i beni ecclesiastici e circa il trattamento
economico del clero”); Bruno Benigni (“Assistenza sociale e volontariato.
Stato, regioni ed enti locali”); Gennaro Acquaviva e io stesso.
Scorrendo le pagine degli atti pubblicati a cura dell’editrice Quattroventi di Urbino, dopo il telegramma a firma del segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli che, nel trasmettere la benedizione del Santo Padre, esprimeva compiacimento, auspicio e interesse a conoscere i risultati del dibattito, segue un ampio ma interessante saluto rivolto ai convegnisti dal sindaco di Arezzo, professor Aldo Ducci, aderente al Partito socialista italiano e noto per il suo passato anticlericale. Ducci esprimeva il ringraziamento dell’Amministrazione comunale e suo personale per l’iniziativa del convegno sul Concordato del 1984, che affrontava il tema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, spesso nel passato tempestosi e accompagnati da pregiudizi reciproci che rendevano difficile il dialogo. Ducci, pur dichiarando la fede religiosa della sua famiglia di origine, non negava di essere stato coinvolto da quel clima anticlericale; tuttavia riconosceva che l’Accordo di revisione del Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984, aveva avuto ampio consenso nelle delibere del Parlamento; e riconosceva ancora che un grande contributo al superamento o all’attenuazione del reciproco rifiuto fu favorito dal comportamento generoso dei cattolici nella lotta partigiana, dall’eroismo del clero e in particolare del vescovo Mignone. Inoltre disse: «Il Concilio è stato un fatto di importanza veramente storica non solo per i credenti, ma anche per i non credenti che hanno visto in esso la dimostrazione di una possibilità di dialogo e di confronto basati sul reciproco rispetto. Per questi motivi Giovanni Battista Roncalli, il grande Papa del Concilio, rappresenta un punto di riferimento morale anche per i laici. Papa Giovanni, con la sua visione fiduciosa dei rapporti possibili e positivi fra genti diverse, fra mondi qualche volta opposti, fra tradizioni culturali e religiose storicamente ostili, ha indicato la possibilità di individuare denominatori comuni ed elementi unificanti tali da consentire la collaborazione e il rispetto nell’affermazione del valore supremo della pace come condizione di ogni avanzamento umano». Dopo quello del sindaco ci fu il mio saluto in cui spiegai come avevo dato immediata e serena adesione alla proposta rivoltami di promuovere insieme alle componenti laiche della città di Arezzo un convegno di studio sul nuovo Concordato: «Chiesa e istituzioni civili vivono e operano nella stessa società. Talvolta vivono accanto, ma non si conoscono a fondo; forse il convegno potrà giovare perché si realizzi una convivenza aperta a una “collaborazione reciproca per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” come opportunamente afferma nell’articolo 1 il testo concordatario». Aggiunsi: «Questo convegno non potrà compiere miracoli; ci aiuterà tuttavia a guardarci in faccia con lealtà; fors’anche ci aiuterà a gettare dietro le spalle pregiudizi e sospetti, che hanno radici più o meno recenti. C’è un domani da costruire insieme fin da oggi: sia nel piccolo mondo di Arezzo che ci interpella non solo con la presenza dei drogati, degli handicappati, degli anziani, della disoccupazione giovanile, ma anche per la crescita di una coscienza sociale e civile; sia nel mondo più vasto di tutta l’umanità, che ci è sempre meno estraneo. È un mondo che ci interpella e ci stimola ad una partecipazione attiva e cosciente per la soluzione dei problemi della pace, della fame, della libertà per tutti i popoli, di rapporti internazionali improntati al rispetto reciproco. Un mondo in cui tante frontiere culturali vengono giornalmente ridotte, ma dove ancora lento appare il cammino per il superamento degli egoismi. La Chiesa con il suo messaggio universale di giustizia, di pace e di amore può dare il suo contributo per affratellare realmente uomini e popoli».
Non ero ignaro della presenza in Arezzo di una classe politico-culturale che guardava alla Chiesa con persistente diffidenza, residuo di una visione laicista ancora tenacemente radicata. Non potevo dimenticare la risposta del sindaco di Arezzo all’invito di partecipare alla cerimonia del mio ingresso nella Cattedrale aretina l’11 giugno 1983: «Piuttosto la invito io, prima che entri in Cattedrale, a incontrare il Consiglio comunale nella sede del Comune». Naturalmente risposi declinando l’invito. Altra persistente diffidenza era diffusa nei ceti popolari per il sistema mezzadrile con il quale era gestito il patrimonio, assai consistente, dei benefici ecclesiastici.
La Chiesa di Arezzo, guidata dall’amatissimo vescovo Emmanuele Mignone, era stata a fianco della popolazione durante il passaggio delle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale. Nel complesso circa trenta sacerdoti avevano donato la vita per proteggere la popolazione delle città e dei villaggi della Valdichiana, del Valdarno, del Pratomagno, del Casentino, del sacro Monte della Verna, di Camaldoli, della Valtiberina, del Chianti. Lo stesso vescovo aveva accolto i senzatetto nel Palazzo vescovile. Più volte era intervenuto con il comando militare tedesco per tutelare la vita di persone in prigione; ma purtroppo con scarsi risultati.
Al primo invito a promuovere un convegno di studio sul nuovo Concordato fecero seguito ripetuti scambi di idee relativamente ai contenuti, alla scelta dei relatori e delle istituzioni e delle persone da invitare. Nel porgere il saluto ai partecipanti al convegno potei dire tra l’altro queste parole: «Debbo confessare che il cammino intercorso tra persone di estrazione diversa, come si suol dire, ha fatto scoprire e alimentare un sincero spirito di amicizia».
Giovanni D’Ascenzi
Scorrendo le pagine degli atti pubblicati a cura dell’editrice Quattroventi di Urbino, dopo il telegramma a firma del segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli che, nel trasmettere la benedizione del Santo Padre, esprimeva compiacimento, auspicio e interesse a conoscere i risultati del dibattito, segue un ampio ma interessante saluto rivolto ai convegnisti dal sindaco di Arezzo, professor Aldo Ducci, aderente al Partito socialista italiano e noto per il suo passato anticlericale. Ducci esprimeva il ringraziamento dell’Amministrazione comunale e suo personale per l’iniziativa del convegno sul Concordato del 1984, che affrontava il tema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, spesso nel passato tempestosi e accompagnati da pregiudizi reciproci che rendevano difficile il dialogo. Ducci, pur dichiarando la fede religiosa della sua famiglia di origine, non negava di essere stato coinvolto da quel clima anticlericale; tuttavia riconosceva che l’Accordo di revisione del Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984, aveva avuto ampio consenso nelle delibere del Parlamento; e riconosceva ancora che un grande contributo al superamento o all’attenuazione del reciproco rifiuto fu favorito dal comportamento generoso dei cattolici nella lotta partigiana, dall’eroismo del clero e in particolare del vescovo Mignone. Inoltre disse: «Il Concilio è stato un fatto di importanza veramente storica non solo per i credenti, ma anche per i non credenti che hanno visto in esso la dimostrazione di una possibilità di dialogo e di confronto basati sul reciproco rispetto. Per questi motivi Giovanni Battista Roncalli, il grande Papa del Concilio, rappresenta un punto di riferimento morale anche per i laici. Papa Giovanni, con la sua visione fiduciosa dei rapporti possibili e positivi fra genti diverse, fra mondi qualche volta opposti, fra tradizioni culturali e religiose storicamente ostili, ha indicato la possibilità di individuare denominatori comuni ed elementi unificanti tali da consentire la collaborazione e il rispetto nell’affermazione del valore supremo della pace come condizione di ogni avanzamento umano». Dopo quello del sindaco ci fu il mio saluto in cui spiegai come avevo dato immediata e serena adesione alla proposta rivoltami di promuovere insieme alle componenti laiche della città di Arezzo un convegno di studio sul nuovo Concordato: «Chiesa e istituzioni civili vivono e operano nella stessa società. Talvolta vivono accanto, ma non si conoscono a fondo; forse il convegno potrà giovare perché si realizzi una convivenza aperta a una “collaborazione reciproca per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” come opportunamente afferma nell’articolo 1 il testo concordatario». Aggiunsi: «Questo convegno non potrà compiere miracoli; ci aiuterà tuttavia a guardarci in faccia con lealtà; fors’anche ci aiuterà a gettare dietro le spalle pregiudizi e sospetti, che hanno radici più o meno recenti. C’è un domani da costruire insieme fin da oggi: sia nel piccolo mondo di Arezzo che ci interpella non solo con la presenza dei drogati, degli handicappati, degli anziani, della disoccupazione giovanile, ma anche per la crescita di una coscienza sociale e civile; sia nel mondo più vasto di tutta l’umanità, che ci è sempre meno estraneo. È un mondo che ci interpella e ci stimola ad una partecipazione attiva e cosciente per la soluzione dei problemi della pace, della fame, della libertà per tutti i popoli, di rapporti internazionali improntati al rispetto reciproco. Un mondo in cui tante frontiere culturali vengono giornalmente ridotte, ma dove ancora lento appare il cammino per il superamento degli egoismi. La Chiesa con il suo messaggio universale di giustizia, di pace e di amore può dare il suo contributo per affratellare realmente uomini e popoli».