Home > Archivio > 05 - 2004 > Indipendenti ma collaborativi
CHIESA E STATO
tratto dal n. 05 - 2004

Vent’anni dopo l’Accordo di revisione del Concordato

Indipendenti ma collaborativi


Alcune riflessioni del vescovo emerito della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro su come si arrivò alla storica firma del febbraio 1984. E sui frutti concreti di quell’accordo


di Giovanni D’Ascenzi


Il cardinale Agostino Casaroli e Bettino Craxi si scambiano le penne dopo aver firmato la revisione 
del Concordato fra Italia e Santa Sede, Città del Vaticano,18 febbraio 1984

Il cardinale Agostino Casaroli e Bettino Craxi si scambiano le penne dopo aver firmato la revisione del Concordato fra Italia e Santa Sede, Città del Vaticano,18 febbraio 1984

«La Repubblica Italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti e alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». Così recita l’articolo 1 dell’Accordo di revisione del Concordato stipulato nel 1984. Ma l’approdo a questa formulazione, ricca di speranza e di impegno reciproco, fu raggiunto venti anni fa solo grazie a due avvenimenti storici accaduti in precedenza: il Concilio ecumenico Vaticano II, che si chiuse nel 1965, e, prima ancora, la Costituzione della Repubblica italiana del 27 dicembre 1947. Il Vaticano II, infatti, ha affrontato in quattro documenti il tema del rapporto della Chiesa cattolica con l’autorità civile: nella costituzione Lumen gentium sulla Chiesa n. 8; nella costituzione Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo n. 76; nel decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi n. 20; e nella dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa n. 13.
Una sintesi felice di questi documenti è stata espressa da Paolo VI il 20 gennaio 1970: «Non crediate che, venendo la Chiesa a confronto con la società civile, da questa si separi o a questa si opponga, o in questa infonda la sua animazione per dominarla, o, accordandosi con essa, le voglia ancor oggi concedere, o chiedere privilegi, e non piuttosto, priva ormai di temporale potenza, né ambiziosa di ricuperare il peso e il vantaggio, che ella altro desideri se non che effettivamente le sia assicurato il libero esercizio della sua spirituale e morale missione, mediante eque, leali e stabili delimitazione delle rispettive competenze».
Da notare che il ricorso al Concordato è uno strumento che la Chiesa cattolica non ha mai giudicato superato. Il nuovo Codice di Diritto canonico, ad esempio, lo prevede anche nella figura giuridica del legato del romano pontefice, quando «esercita contemporaneamente una legazione presso gli Stati, secondo le norme del diritto internazionale» e precisamente quando deve «affrontare le questioni che riguardano i rapporti tra Chiesa e Stato» e «trattare in modo particolare la stipulazione e l’attuazione dei concordati e delle altre convenzioni similari» (can. 365 § 2).
Dal canto suo, la Costituzione della Repubblica del 1947, che non poteva ignorare il Concordato stipulato l’11 febbraio 1929 dalla Santa Sede e dallo Stato italiano, e allo stesso tempo non poteva accettarlo senza riserve in quanto il governo italiano dell’epoca non poteva essere riconosciuto come espressione libera e democratica del popolo italiano, nell’articolo 7 della Costituzione recepisce i Patti lateranensi, ma allo stesso tempo prevede le modificazioni degli stessi. Il che è avvenuto proprio il 18 febbraio 1984 nell’Accordo di revisione del Concordato, nel quale lo Stato e la Chiesa si riconoscono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, ma al tempo stesso si impegnano a collaborare per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese. A venti anni di distanza è ancora utile ricordare l’ampia maggioranza che in Parlamento si manifestò favorevole. Alla Camera dei deputati ci furono 338 voti favorevoli, 67 voti contrari e 30 astenuti.
La cerimonia della firma della revisione del Concordato a Villa Madama

La cerimonia della firma della revisione del Concordato a Villa Madama

In occasione della firma della revisione del Concordato il cardinale Anastasio Ballestrero, allora presidente della Conferenza episcopale italiana, rilasciò una significativa dichiarazione scritta nella quale affermava che la Cei «esprime viva gratitudine al papa Giovanni Paolo II per l’attenzione riservata all’Italia e alle esigenze che caratterizzano i rapporti della Chiesa con la comunità nel nostro Paese; rinnova l’espressione del sincero rispetto per le istituzioni dello Stato e ribadisce l’impegno dei cattolici a promuovere i grandi valori di libertà, di giustizia e di solidarietà che ispirano la Costituzione italiana. Auspica che il nuovo accordo sia effettiva premessa per un’ampia e cordiale collaborazione a sostegno dei diritti fondamentali della persona umana, della famiglia, del bene comune e del progresso morale e civile di un popolo». Giovanni Paolo II, il 19 febbraio 1984, parlando in occasione della recita dell’Angelus in piazza San Pietro, definì la firma dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense «un avvenimento di storica portata» aggiungendo che «Paolo VI l’aveva previsto e favorito come segno di rinnovata concordia tra la Chiesa e lo Stato in Italia».
Eppure un anno dopo, nel convegno intitolato “Concordato 1984: premesse e prospettive”, il professor Gennaro Acquaviva, allora consigliere politico del presidente del Consiglio Bettino Craxi, lamentò lo scarsissimo rilievo che l’Accordo di revisione del Concordato aveva avuto nell’opinione pubblica cattolica e non cattolica, e si domandò perché fosse accaduto ciò. Eppure era stata una svolta significativa nei rapporti tra Stato e Chiesa nel nostro Paese. Acquaviva citò le parole pronunciate, nell’atto della firma, dall’onorevole Craxi: «Il nuovo Concordato parla il linguaggio della Costituzione, sanando antiche contraddizioni»; e quelle del cardinale segretario di Stato, Agostino Casaroli: «Il nuovo Concordato è strumento di concordia e non di privilegio, in cui confluiscono tutte le tensioni ideali, avviate con il Concilio ecumenico Vaticano II nel dialogo tra i valori propri dei credenti e della laicità».
In verità l’importanza dell’Accordo di revisione del Concordato per la Chiesa cattolica non si esauriva nelle parole dell’articolo 1 già citato. Particolare rilievo, infatti, è da dare all’articolo 2, in cui il nuovo Concordato riconosce alla Chiesa cattolica «la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione». Qui viene assicurata la reciproca libertà di comunicazione fra la Santa Sede, la Conferenza episcopale italiana e le Conferenze episcopali regionali. Segue anche il riconoscimento delle iniziative e delle attività dei cattolici organizzati in associazioni. All’intesa raggiunta nell’Accordo di revisione del Concordato, quindi, si deve il mantenimento dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica e la possibilità, da parte dei cittadini, di devolvere alla Chiesa cattolica l’otto per mille del gettito Irpef.
La Costituzione italiana e il Concilio Vaticano II sono i due eventi storici 
che hanno reso possibile il nuovo rapporto tra Chiesa e Stato sancito nell’84, scrive D’Ascenzi. Sopra, l’Assemblea costituente; sotto, Paolo VI al Concilio Vaticano II

La Costituzione italiana e il Concilio Vaticano II sono i due eventi storici che hanno reso possibile il nuovo rapporto tra Chiesa e Stato sancito nell’84, scrive D’Ascenzi. Sopra, l’Assemblea costituente; sotto, Paolo VI al Concilio Vaticano II

Il testo del nuovo Concordato, dunque, ha molti pregi, ma il primo è da riconoscere nel fatto che è stato stipulato tra la Chiesa e lo Stato democratico italiano. Uno Stato cioè rappresentativo del popolo italiano, con poteri legittimi che traggono la loro origine e la loro forza nella coscienza del popolo e delle sue componenti. A costruire questa società democratica ha contribuito non poco, sessant’anni fa, il sacrificio di tanti sacerdoti e religiosi, morti tragicamente, insieme a tanti laici, per la libertà. Ritrovarsi su queste linee con lealtà, con volontà positiva di riconoscersi, è un fatto positivo, aperto a grandi prospettive. I confini tra il divino e l’umano per la religione cattolica non esistono se è vero che Dio si è rivelato Padre di tutti e il Verbo di Dio incarnato ha associato a sé l’umanità nel progetto della salvezza. Alla stessa persona umana si rivolgono lo Stato e la Chiesa. Il primo per assicurare il bene comune di ordine temporale mediante un ordinamento giuridico, che riconosca, tuteli e promuova i diritti della persona umana; la seconda si rivolge con fiducia alla coscienza dell’uomo perché dalle interiori certezze religiose tragga ispirazione per animare i rapporti umani di amore vivo e profondo che si traduca in atteggiamenti coscienti di collaborazione generosa e di solidarietà operante. La Chiesa favorisce nelle coscienze la percezione dei diritti e dei doveri: «E quando i rapporti della convivenza si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sul mondo dei valori spirituali, e comprendono che cosa sia la verità, la giustizia, l’amore, la libertà; e diventano consapevoli di appartenere a quel mondo. Ma sono pure sulla via che li porta a conoscere meglio il vero Dio, trascendente e personale; e ad assumere il rapporto fra se stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita: di quella che vivono nella intimità di se stessi e di quella che vivono in relazione con gli altri» (Pacem in terris n. 43).
Possiamo concludere che l’intesa tra l’Italia e la Santa Sede, sottoscritta il 18 febbraio 1984, non è stata sterile, anzi ha favorito una feconda, concreta e crescente collaborazione in diversi settori. La diffidenza del mondo laico verso la Chiesa cattolica si è attenuata. Un segno positivo si è potuto leggere nel comportamento dei parlamentari in sede di votazioni.
Ancor più significativa è stata la crescente adesione del popolo italiano nel destinare a favore della Chiesa cattolica l’otto per mille nella denuncia dei redditi. Questo comportamento può essere interpretato come segno di fiducia verso la Chiesa cattolica italiana, che destina una consistente parte di questi fondi a sostegno dello sviluppo dei popoli del Terzo mondo.


Español English Français Deutsch Português