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STORIA
tratto dal n. 07/08 - 2004

Quei vagiti più forti delle bombe


Nei primi mesi del 1944 la popolazione dei Castelli romani è stremata dalla guerra. Pio XII fa aprire la Villa pontificia a dodicimila persone. Negli appartamenti del papa nascono in quel periodo trentasei bambini. Abbiamo incontrato due di loro, i gemelli Eugenio Pio e Pio Eugenio Zevini


di Lucio Brunelli


In alto i due gemelli Zevini, davanti alla loro “casa natale”; in basso, i gemelli neonati  
(i primi a destra, nelle braccia della madre) nella camera da letto del Papa a Castel Gandolfo

In alto i due gemelli Zevini, davanti alla loro “casa natale”; in basso, i gemelli neonati (i primi a destra, nelle braccia della madre) nella camera da letto del Papa a Castel Gandolfo

Pio Eugenio ed Eugenio Pio naturalmente si assomigliano. Stesse spalle formato armadio, stessa stretta di mano che fai fatica a dire “piacere” quando stringono la tua. E stessa tessera di partito. «Da sempre iscritti al Partito comunista, come ci ha imparato nostro padre», confidano in perfetto slang dei Castelli romani. Pio Eugenio ed Eugenio Pio sono due gemelli molto speciali. Gli unici gemelli al mondo nati nella reggia di un papa. Videro la luce il primo marzo 1944, nella Villa pontificia di Castel Gandolfo. Precisamente nella camera da letto di Pio XII, per l’occasione trasformata in nursery. I loro genitori, i coniugi Zevini, erano stati accolti insieme a migliaia di altri sfollati e ricercati dalle Ss naziste nella sontuosa residenza estiva dei papi. Avevano simpatie comuniste ma non ebbero dubbi quando dovettero scegliere i nomi per i due neonati: Pio Eugenio ed Eugenio Pio, un atto di riconoscenza nei confronti di papa Eugenio Pacelli che li aveva salvati dagli orrori della guerra. Un ex voto scolpito nella carta d’identità. E nella memoria. «Siamo onorati di portare il nome di quel Papa» raccontano oggi i due gemelli sessantenni passeggiando davanti al palazzo che li ospitò appena nati. «Pio XII compì un gesto nobile, non lo possiamo dimenticare».

Le cose andarono così
22 gennaio 1944, gli Alleati sbarcano ad Anzio, nella costa meridionale del Lazio. Pio ed Eugenio non sono ancora nati, ma sono stati già concepiti. La mamma, residente a Castel Gandolfo, è al settimo mese di gravidanza. Come tutti gli abitanti della zona vive giorni di paura e di angoscia. Infatti, passato l’effetto sorpresa, le truppe naziste si sono riorganizzate, sbarrano agli alleati la strada per Roma e sono sempre pronte a scaricare sulla popolazione civile la rabbia per l’andamento disastroso della guerra. I bombardamenti americani si fanno violentissimi, sempre più vicini. Presa tra due fuochi, la gente fugge dalle proprie abitazioni con le poche cose che riesce a portare con sé. Molti iniziano ad accalcarsi, in cerca di un rifugio più sicuro, davanti al portone della Villa pontificia di Castel Gandolfo. È un giovane monsignore della Segreteria di Stato vaticana, Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI), a informare Pio XII, in quei giorni quasi prigioniero a Roma nel Palazzo apostolico. La decisione è presa senza tentennamenti. Quello stesso giorno, il 22 gennaio di sessant’anni fa, le porte della residenza di Castel Gandolfo si aprono a una folla di circa 12mila sfollati. A nessuno viene chiesto il certificato di battesimo o il proprio credo politico. Le poche immagini in bianco e nero, conservate nelle cineteche, mostrano una lunga e silenziosa colonna di persone – cariche di materassi e pochi altri oggetti personali – mentre entra nel palazzo del Papa dal portone che si affaccia sulla piazza principale del paese. Essendo un’enclave vaticana, la residenza di Pio XII gode dei diritti dell’extraterritorialità. Un particolare statuto diplomatico garantisce l’inviolabilità dei suoi confini a ogni esercito o milizia straniera.
Di Eugenio Pacelli si ricordano spesso le origini aristocratiche, l’immagine ieratica e distaccata dal popolo. Ma quanti ecclesiastici, oggi, aprirebbero le porte di casa a una massa umana così incontrollabile senza badare ai costi economici e ai rischi politici? I 12mila rifugiati rimasero nella reggia estiva del papa per ben quattro mesi. Sino a quando i combattimenti cessarono, con la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944. Ogni giorno ricevettero un pasto caldo. Tra loro c’erano numerosi ebrei e ricercati politici. In quei quattro mesi le bombe sfiorarono la Villa pontificia: i segni provocati dalle schegge sono visibili ancora oggi sulle mura esterne. Ma nessun ordigno esplose all’interno e non ci fu nessuna vittima fra la moltitudine terrorizzata che lì aveva trovato rifugio. Fuori fu un inferno. Non furono risparmiati dalla violenza della guerra nemmeno altri edifici sacri situati a poche centinaia di metri. Il 1° febbraio ’44 una bomba alleata distrusse il convento delle Clarisse e delle Basiliane, uccidendo 16 suore di clausura. Il 10 febbraio un altro terribile bombardamento colpì il Collegio di Propaganda Fide, dove erano stati accolti altri sfollati dei paesi vicini, e fu una strage: oltre 500 le vittime.
Pio Eugenio ed Eugenio Pio, ignari ancora di tanto dramma, se ne stavano tranquilli nella pancia della signora Zevini. Non erano gli unici bimbi in attesa di vedere la luce. In quei quattro mesi nella Villa pontificia nacquero 36 bambini. Alle partorienti venne riservato l’appartamento privato di Pio XII. «Ogni volta che si levava il vagito di un bimbo» ricorda Marcello Costa, che all’epoca aveva 18 anni e che dopo la guerra, per ben 33 anni, è stato sindaco democristiano di Castel Gandolfo «subito si innalzava la preghiera di ringraziamento». Attimi di gioia, momenti di lode, più intensi del boato delle bombe che pure, talvolta, facevano tremare i vetri del palazzo. A quasi tutti i neonati fu messo come nome Pio o Eugenio. Atto di gratitudine nei confronti di Pio XII. Nacque un’unica coppia di gemelli, quella dei coniugi Zevini. Era il 1° marzo 1944. Sessant’anni dopo dà una certa emozione chiacchierare con i due gemelli nella piazza di Castel Gandolfo; guardando il portone che i loro genitori varcarono sei decenni orsono, col cuore in gola. «Qui tutti ci chiamano i gemelli del Papa», sorridono. Entriamo in un bar nella piazza principale e la signora dietro il bancone, appena li vede, fa festa e racconta. «Voi non lo sapete, ma io vi ho visto nascere là dentro… Avevo dodici anni, anche io e la mia famiglia eravamo stati accolti nella Villa pontificia… mi sono intrufolata nella camera e vi ho visto nascere… chi piangeva, chi rideva, che confusione…». Pio Eugenio ed Eugenio Pio sono due omoni, hanno sempre lavorato duro per vivere, non è gente dalla lacrima facile. E nemmeno sono personaggi da talk show televisivi. Ma si vede che sono un po’ emozionati. Sembra una fiaba, la loro. Ma è storia. Storia di due gemelli comunisti che portano nel nome e nell’anima il segno della carità di un Papa.


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