La carità del Papa e la necessità della pace
Le parole di Giulio Andreotti al termine di una messa di ringraziamento per l’opera di Pio XII a favore della popolazione dei Castelli romani nel 1944
di Giulio Andreotti
Qualche parola soltanto per sottolineare
l’importanza di dedicare un momento di preghiera – raccogliendo un suggerimento
di Marcello Costa insieme agli amici di 30Giorni – nel ricordo di Pio XII, che è spesso menzionato
per quello che fece per Roma nel periodo dell’occupazione nazista, ma di cui
raramente si sottolinea quel gesto di paternità, di coraggio, di misericordia
nei confronti delle popolazioni dei Castelli romani che fu l’apertura della
Villa pontificia di Castel Gandolfo. All’inizio del 1944 infatti la Villa fu
aperta agli sfollati e a tutti quelli che avevano bisogno di trovare un
rifugio.
Non era la prima volta che il Papa
interveniva per scongiurare la guerra. Spesso si riproducono le fotografie del
Papa, qui, dinanzi alla Basilica di San Lorenzo – dov’è sepolto Pio IX –
distrutta il 19 luglio del ’43 dai bombardamenti alleati. E non era la prima
volta che il Papa usciva dal Vaticano, con tutto ciò che questo comportava. Il
Papa, già qualche anno prima, aveva fatto di tutto per evitare che l’Italia
entrasse in guerra ed era andato di persona (nel dicembre 1939) al Quirinale,
dal re, per esprimere quello che era il sentimento di pace della popolazione.
Purtroppo le cose evolsero in maniera differente – e non è questa la sede né il
caso di dire perché dopo alcuni mesi di non belligeranza l’Italia entrò in
guerra. Sta di fatto che, dopo l’8 settembre 1943, per reagire all’occupazione
di Roma da parte dei tedeschi, alla persecuzione dei nostri fratelli ebrei,
alla persecuzione di tutti i giovani che non volevano aderire alla
mobilitazione richiesta dalla Repubblica sociale, si sviluppò qui in Roma un
grandissimo circuito di carità. In ogni convento, in ogni monastero, le porte
furono aperte e tanta gente fu salvata. Inoltre furono fatti tanti sforzi da
parte del Vaticano perché la gente non morisse di fame. Si usavano ancora – noi
eravamo ragazzi – le vecchie litanie, si pregava perché fosse scongiurata la
peste, la fame e la guerra. Anche il rischio di peste poteva essere possibile
date le condizioni, ma certamente la fame e la guerra erano una realtà
tangibile. Era una guerra nuova. Nuova perché non era combattuta solo al
fronte, ma era vissuta in ogni angolo della nostra patria. Proprio voi dei
Castelli romani sapete benissimo come essa sia stata terribile, in modo
particolare proprio in quel periodo che seguì lo sbarco alleato ad Anzio.
Dapprima c’era stata la sensazione diffusa che la guerra sarebbe durata poco
perché dai Castelli romani si poteva vedere quanto fossero vicini gli Alleati.
Ma le cose andarono diversamente e ci vollero mesi per vedere Roma liberata. La
storia ci spiega che gli Alleati non avevano fretta perché volevano tenere i
tedeschi impegnati sul fronte italiano il più possibile, per distoglierli dal
nord Europa dove stava per avvenire lo sbarco in Normandia.
Ma non devo fare un discorso. Devo solo sottolineare quello che rappresentò l’apertura della Villa e dei luoghi adiacenti non soltanto ai perseguitati ma anche ai semplici sfollati. Ci furono bombardamenti terribili in una zona che si credeva sicura proprio per la presenza dei palazzi pontifici. Ma in quel periodo anche l’abbazia di Montecassino, un altro monumento importantissimo della Chiesa – su cui c’erano state ampie assicurazioni che sarebbe stato risparmiato dai bombardamenti –, venne distrutta, suscitando un sentimento di terrore nella gente che capiva come, al di là delle dichiarazioni che venivano rese, non ci fosse in realtà un luogo al sicuro dalla guerra. I mesi si susseguivano e la possibilità di dare un minimo di alimentazione alla popolazione era assicurata proprio da quelle carovane di camion della Santa Sede che, sfidando la guerra (hanno avuto anche loro delle vittime), andavano a rifornirsi dove era possibile e portavano da mangiare alla gente dei Castelli romani.
Vi è un lato patetico, poco conosciuto, a proposito di quei mesi che precedettero la liberazione. Tra le famiglie degli sfollati che risiedevano nelle ville pontificie vi erano delle donne incinte. Così nelle ville nacquero in quel periodo – ed è una cosa che mi pare di una suggestione importante – quaranta bambini. Mi ha emozionato vederne uno, che oggi ha sessant’anni, qui con noi stasera. Non a caso i genitori vollero dare a lui e a suo fratello gemello i nomi di Pio Eugenio ed Eugenio Pio. Per connessione, vorrei ricordare che, mosso ed emozionato dalla carità del Papa, anche il rabbino capo di Roma si convertì al cristianesimo: prese il battesimo scegliendo il nome di Eugenio.
Perché noi oggi diciamo queste cose? Il
Papa non ha bisogno certamente, nella sua attuale vita in Cielo, della nostra
testimonianza... Ma è necessario sottolineare due aspetti. Primo: rendiamoci
conto che quando i papi parlano dell’assoluta necessità della pace, spesso
creandosi anche sul piano terreno delle incomprensioni e delle inimicizie,
fanno non soltanto quello che è il loro dovere pastorale, ma si rendono
interpreti di un sentimento vero delle nostre popolazioni, di un interesse per
la tutela fisica di esse. Secondo: noi sappiamo che ci sono anche correnti
ostili a Pio XII. Correnti che hanno perfino avuto una manifestazione teatrale,
un dramma che ci scandalizzò, ma che certamente non resterà nella storia della
letteratura e del teatro. Ma se uno va a cercare le motivazioni di
quest’ostilità verso Pio XII si accorge che nei primi momenti del dopoguerra
tale ostilità non c’era, tanto che tutti sentivamo una riconoscenza enorme per
il Papa. E quando vennero qui i primi dirigenti del nuovo Stato di Israele, tra
cui Golda Meir, essi espressero pubblicamente la riconoscenza verso Pio XII. Le
cose cambiarono storicamente quando il Papa pronunciò la scomunica nei
confronti dei comunisti. Tutto un certo tipo di mondo, che non coincide con
quello dei comunisti veri e propri, ma che raccoglie un certo tipo di
intellettuali che si muoveva in quell’area, prese vendetta nei confronti del
Papa.
Ho terminato. Mi viene un’idea, e spero che i nostri amici di 30Giorni la coltivino. Una delle cose più ingiuste che c’è stata in questa campagna contro Pio XII è stato proprio un libro di Cornwell, intitolato Il papa di Hitler. Un libro falso a cominciare dalla copertina, in cui si vede Eugenio Pacelli, ancora nunzio apostolico, col suo mantellone arcivescovile, che esce da un portone ai due lati del quale ci sono due soldati tedeschi. Ora, quando il Papa era nunzio non c’era ancora Hitler in Germania, c’era la Repubblica di Weimar, e quei due militari non sono due soldati nazisti ma due guardie della Repubblica di Weimar. Io penso che noi potremmo illustrare una copertina di 30Giorni con la foto di uno di questi due gemelli, che sono nati in quel periodo terribile nella Villa pontificia. È qualche cosa, se volete, di patetico che facciamo, insieme alla nostra preghiera, per un Papa che, indipendentemente dalle procedure canoniche, noi veramente reputiamo un santo.
Sopra, rifugiati accanto a un camion del Vaticano carico di masserizie; sotto, abitazioni nei pressi della chiesa della Santissima Trinità a Genzano, completamente rase al suolo dai bombardamenti del 1944
Ma non devo fare un discorso. Devo solo sottolineare quello che rappresentò l’apertura della Villa e dei luoghi adiacenti non soltanto ai perseguitati ma anche ai semplici sfollati. Ci furono bombardamenti terribili in una zona che si credeva sicura proprio per la presenza dei palazzi pontifici. Ma in quel periodo anche l’abbazia di Montecassino, un altro monumento importantissimo della Chiesa – su cui c’erano state ampie assicurazioni che sarebbe stato risparmiato dai bombardamenti –, venne distrutta, suscitando un sentimento di terrore nella gente che capiva come, al di là delle dichiarazioni che venivano rese, non ci fosse in realtà un luogo al sicuro dalla guerra. I mesi si susseguivano e la possibilità di dare un minimo di alimentazione alla popolazione era assicurata proprio da quelle carovane di camion della Santa Sede che, sfidando la guerra (hanno avuto anche loro delle vittime), andavano a rifornirsi dove era possibile e portavano da mangiare alla gente dei Castelli romani.
Vi è un lato patetico, poco conosciuto, a proposito di quei mesi che precedettero la liberazione. Tra le famiglie degli sfollati che risiedevano nelle ville pontificie vi erano delle donne incinte. Così nelle ville nacquero in quel periodo – ed è una cosa che mi pare di una suggestione importante – quaranta bambini. Mi ha emozionato vederne uno, che oggi ha sessant’anni, qui con noi stasera. Non a caso i genitori vollero dare a lui e a suo fratello gemello i nomi di Pio Eugenio ed Eugenio Pio. Per connessione, vorrei ricordare che, mosso ed emozionato dalla carità del Papa, anche il rabbino capo di Roma si convertì al cristianesimo: prese il battesimo scegliendo il nome di Eugenio.
In segno di gratitudine per aver salvato tanti ebrei, il 26 maggio 1955 la Filarmonica d’Israele eseguì la Settima sinfonia di Beethoven alla presenza di Pio XII
Ho terminato. Mi viene un’idea, e spero che i nostri amici di 30Giorni la coltivino. Una delle cose più ingiuste che c’è stata in questa campagna contro Pio XII è stato proprio un libro di Cornwell, intitolato Il papa di Hitler. Un libro falso a cominciare dalla copertina, in cui si vede Eugenio Pacelli, ancora nunzio apostolico, col suo mantellone arcivescovile, che esce da un portone ai due lati del quale ci sono due soldati tedeschi. Ora, quando il Papa era nunzio non c’era ancora Hitler in Germania, c’era la Repubblica di Weimar, e quei due militari non sono due soldati nazisti ma due guardie della Repubblica di Weimar. Io penso che noi potremmo illustrare una copertina di 30Giorni con la foto di uno di questi due gemelli, che sono nati in quel periodo terribile nella Villa pontificia. È qualche cosa, se volete, di patetico che facciamo, insieme alla nostra preghiera, per un Papa che, indipendentemente dalle procedure canoniche, noi veramente reputiamo un santo.