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SETTIMANE SOCIALI
tratto dal n. 09 - 2004

Bologna 7-10 ottobre

Tra società e politica


Francesco Malgeri, studioso del movimento cattolico in Italia, ripercorre la storia quasi secolare delle Settimane sociali. Intervista


di Giovanni Ricciardi


L’appuntamento delle Settimane sociali dei cattolici italiani è ormai prossimo ai cent’anni di vita. In alcuni periodi della storia italiana questi incontri ebbero un peso non trascurabile. Ne parliamo con il professor Francesco Malgeri, ordinario di Storia contemporanea alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma la Sapienza, studioso del movimento cattolico e dell’Italia contemporanea.

Come nacque, agli inizi del secolo XX, l’esperienza delle Settimane sociali dei cattolici?
FRANCESCO MALGERI: Giuseppe Toniolo, sociologo ed economista cattolico dà vita alla prima Settimana sociale nel 1907. È un momento delicato della storia del Paese e del movimento cattolico. Appena sciolta l’Opera dei congressi, l’Azione cattolica viene riorganizzata, attraverso le cosiddette tre Unioni (Unione popolare, Unione economico-sociale, Unione elettorale): è un tentativo di riunire e disciplinare l’attività dei cattolici nei differenti campi della vita pubblica, evitando però ancora un pieno e diretto coinvolgimento nella politica attiva. Ma la riorganizzazione del movimento cattolico è legata anche a un’attenzione nuova nei confronti della società di quegli anni. Quella italiana è una realtà in rapido sviluppo: siamo nella fase del primo vero decollo industriale, con tutti i problemi legati al quadro sociale e al mondo del lavoro: problemi che alla Chiesa stavano a cuore e che dovevano essere studiati e approfonditi. In questo contesto il ruolo di Toniolo e la sua iniziativa – le prime Settimane, dal 1907 al 1913, si svolgono sotto la sua direzione – hanno un’importanza fondamentale. Vengono dibattuti temi come la scuola, la famiglia, la legislazione sociale, la questione meridionale, da sempre cari alla tradizione politico-culturale e sociale del cattolicesimo militante.
La manifestazione della Gioventù cattolica italiana svoltasi a Roma nel settembre 1921 e conclusasi con gravi incidenti a piazza del Gesù e in via del Plebiscito

La manifestazione della Gioventù cattolica italiana svoltasi a Roma nel settembre 1921 e conclusasi con gravi incidenti a piazza del Gesù e in via del Plebiscito

Questi momenti di riflessione comune incidevano realmente sulla vita dei cattolici?
MALGERI: Direi di sì. I personaggi che partecipano alle Settimane sociali sono certamente uomini di cultura, che però hanno anche un impegno pieno nella vita e nella cultura del Paese. Oltre a Toniolo partecipano personaggi come Boggiano Pico, Longinotti, Mangano, Crispolti, padre Gemelli e altri. Sono espressioni di una “rete” sociale e culturale cattolica che era allora ben presente e radicata in Italia. Non va dimenticato che esisteva un’organizzazione cattolica di tipo sindacale, legata alle leghe contadine, alle casse rurali, agli istituti di credito cattolici che svolgevano soprattutto una funzione di sostegno al mondo rurale e artigiano; quindi la riflessione sulla società non si svolgeva solo sul piano teorico e dottrinale, ma era legata a doppio filo con un’azione incisiva e diffusa.
La prima fase delle Settimane sociali termina con la Grande guerra. Nel secondo periodo (1920-1934) la situazione è radicalmente cambiata, e non solo per la scomparsa di Toniolo…
MALGERI: Le Settimane ritornano in un clima e in uno sfondo storico profondamente mutati. La guerra aveva modificato gli assetti sociali e il contesto politico. Il 1920 è l’anno dell’occupazione delle fabbriche, la fase più alta e agguerrita del cosiddetto “biennio rosso”. Inoltre, i cattolici entrano ora a pieno titolo nella politica attiva. Il Partito popolare era nato nel 1919.
Quindi c’è un rapporto più stretto con la politica?
MALGERI: Sì, anche se per un periodo breve. Dal 1924 in poi il Partito popolare non riesce più a incidere come all’inizio, anche perché, nel tempo, perde consensi nell’ambito dello stesso mondo cattolico. In questo quadro le Settimane sociali colgono l’urgenza e la necessità di affrontare temi legati anche al ruolo dello Stato. E gli incontri del 1922 e del 1924 mettono proprio a tema lo Stato secondo la concezione cristiana e il concetto di autorità sociale nella dottrina cattolica. C’è chiaramente un riflesso di ciò che accadeva in Italia in anni in cui si sviluppa il processo di autoritarismo attuato dal regime fascista.
La Settimana del 1925 è dedicata alla scuola. È il momento in cui Gentile pone mano alla riforma del sistema scolastico nazionale. Come si pongono i cattolici dell’epoca?
MALGERI: Ne colgono l’aspetto più negativo. Vi furono critiche molto aspre nei confronti della riforma. Se ne percepiva più chiaramente l’impianto idealistico-hegeliano di quanto non avvenga oggi. Padre Gemelli manifestava riserve sull’erroneo principio della dottrina liberale dello Stato educatore. Nonostante si fosse stati in qualche modo gratificati da alcuni riconoscimenti, come l’insegnamento della religione, non sfuggiva il ruolo molto pesante che la riforma assegnava allo Stato nella gestione del sistema scolastico, accreditandolo come unico soggetto dell’educazione dei cittadini.
Il fascismo interveniva per limitare la libertà di discussione?
MALGERI: Certamente con l’avvento di un regime sempre più attento a non lasciare spazio a voci dissonanti, tutto diventa più difficile. Ma i cattolici negli anni Venti hanno ancora una certa possibilità di muoversi. Mentre le altre realtà politiche e sindacali vengono subito spazzate via, all’interno delle associazioni cattoliche si può ancora elaborare e maturare un pensiero non omologato dalla dottrina e dagli indirizzi del fascismo, anche se con molti limiti. Le carte di polizia, conservate presso l’archivio centrale dello Stato, contengono numerosissimi rapporti confidenziali di gente che era presente a queste riunioni e riferiva poi alle autorità.
Le Settimane sociali rappresentavano comunque uno spazio di libertà, sia pure limitata…
MALGERI: Direi di sì. Le organizzazioni cattoliche sotto il fascismo avrebbero dovuto avere soltanto la funzione di assicurare una “formazione religiosa”, ma i confini di questa definizione erano ovviamente molto elastici. Nei dibattiti delle Settimane sociali, in quanto incontri di carattere culturale, riuscivano così a passare idee che altrimenti sarebbe stato difficile far circolare. Naturalmente il fascismo colse il rischio di questa situazione e nel 1931 operò una dura repressione nei confronti dell’Azione cattolica.
La chiusura della seconda fase delle Settimane sociali nel 1934 è legata alla crisi tra fascismo e Azione cattolica?
MALGERI: Evidentemente nel 1934 risultava ormai molto difficile operare con una possibilità di autonomia e di libertà accettabili. La Settimana del 1934 era stata dedicata al problema delle professioni dal punto di vista morale. Per il 1935 si pensava al tema del lavoro. C’è anche una forma di prudenza da parte di coloro che decidono di sospendere queste iniziative, che avrebbero richiamato il dibattito attorno al tema delle “corporazioni”.
I membri dell’Azione cattolica in occasione di un convegno svoltosi a Palermo nel 1924; al centro, si riconosce don Sturzo

I membri dell’Azione cattolica in occasione di un convegno svoltosi a Palermo nel 1924; al centro, si riconosce don Sturzo

Perché?
MALGERI: Attorno al sistema corporativo il mondo cattolico in qualche modo è diviso. C’è chi ne coglie il richiamo positivo a una prospettiva solidaristica tradizionale, sottovalutando il fatto che l’organizzazione della vita economico-sociale è totalmente imposta dall’alto. Altri invece, più legati alla tradizione del popolarismo, colgono l’aspetto autoritario di quest’operazione. E forse proprio per evitare che questi contrasti emergessero pubblicamente si decise prudentemente di sospendere le Settimane sociali.
Nella terza fase, soprattutto dal 1945 al 1951, le Settimane sociali affrontano temi cruciali per l’avvenire del Paese. Come influiscono questi incontri sull’elaborazione dell’apporto cattolico alla Costituente e poi alla politica della Dc?
MALGERI: I cattolici si rendono conto di essere in una fase delicatissima di passaggio nella vita politica nazionale. E quindi avvertono l’esigenza di far sentire la propria voce rispetto a forze che non nascondono una prospettiva laica e talora anticlericale. Monsignor Montini e Vittorino Veronese, presidente dell’Icas, colgono l’esigenza di misurarsi con la nuova realtà politica. È significativo il fatto che già nella prima Settimana sociale del dopoguerra, nell’ottobre del 1945, parecchi mesi prima delle elezioni per la Costituente, il tema della nuova Costituzione sia già l’argomento centrale del dibattito.
Ha un significato il fatto che sia Firenze la sede di questa prima Settimana sociale del dopoguerra?
MALGERI: Certamente. Il cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa, era stato un punto di riferimento importante per molti cattolici durante l’occupazione tedesca. E i personaggi scelti per questa discussione sono uomini che si collocano su un versante politico, perché hanno aderito alla piattaforma di De Gasperi, ma che hanno anche un legame con la gerarchia ecclesiastica. Gonella, per esempio, durante il fascismo era stato il redattore dei famosi Acta diurna: la rubrica dell’Osservatore Romano che era un appuntamento importante non solo per i cattolici ma per tutti coloro che avevano interesse a guardare la realtà internazionale di quegli anni non filtrata dalle veline del fascismo. Partecipano alla settimana di Firenze anche studiosi come Tosato, Amorth, Corsanego. E non dimentichiamo che anche De Gasperi interviene alla Settimana sociale dell’ottobre del 1945.
Nei tre anni successivi vengono affrontati temi importanti: il lavoro, la vita rurale, i rapporti internazionali…
MALGERI: E anche qui furono momenti decisivi per lo sviluppo della politica dei cattolici in quegli anni. Per esempio la Settimana sociale del 1947, dedicata al mondo rurale, cade proprio in un anno di occupazioni di terre e agitazioni del mondo contadino; e costituirà una grande premessa teorica di quella riforma agraria che De Gasperi riuscì a realizzare nel 1950. Il 1948 è l’anno che precede quello dell’ingresso dell’Italia nel contesto della comunità occidentale con l’adesione all’Alleanza atlantica. Anche in questa occasione le riflessioni delle Settimane sociali non furono meri “esercizi di stile”.
Questa fase era “egemonizzata” dalla nascente Democrazia cristiana?
MALGERI: Direi di no. C’è invece la forte coscienza di un laicato cattolico che non si identifica tout court con la Dc, e riesce a volte a influenzare temi centrali del dibattito politico. D’altra parte per la Dc era vitale guardare con attenzione a questa realtà, perché l’adesione dei cattolici alla proposta degasperiana non era di per sé un dato acquisito. Anzi, da parte delle gerarchie c’era spesso una velata minaccia di non favorire questo consenso elettorale. Era un gioco sottile, una sorta di braccio di ferro da parte delle due componenti, politica ed ecclesiale, all’interno del quale incontri come quelli delle Settimane sociali rappresentavano punti di “snodo” importanti.
A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta quest’esperienza entra in crisi. Perché?
MALGERI: Sono gli anni in cui avviene il processo di industrializzazione del Paese, il mutamento del costume e del modo di vivere. E i cattolici non riescono a coglierne tutta la portata. La Chiesa va perdendo quel rapporto diretto e pieno con la società, che aveva in passato. Forse non si percepisce interamente neanche la portata dei drammi che il mondo del lavoro vive in questo periodo. C’è poi il fatto che negli anni del Concilio e dell’immediato post-Concilio il mondo cattolico vive esperienze di rottura nel rapporto con le forme tradizionali dell’agire sociale. Allora lo stesso modello della Settimana sociale è visto da una parte degli ambienti più innovatori come qualcosa di superato.
Come valuta la ripresa delle Settimane sociali in questi ultimi anni? Che differenza c’è tra l’esperienza attuale e il passato?
MALGERI: Il fatto che ci si ponga su un piano di indagine rispetto a temi cruciali per la società è sempre un dato positivo. Ma oggi i veri problemi non sono più legati a una prospettiva esclusivamente nazionale. Bisogna avere la capacità di guardare al di là dei nostri confini.


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