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PIO XII
tratto dal n. 10 - 2002

Quando non sono i fatti a scrivere la storia


Il film di Costa Gavras e un nuovo libro della Kaos edizioni rilanciano contro papa Pacelli le accuse di complicità con il fascismo e il nazismo. Accuse che, se valgono per Pio XII, dovrebbero essere rivolte anche a personaggi come Winston Churchill. Ma in realtà gli accusatori non vogliono far parlare i documenti e le testimonianze storiche


di Fabio Silvestri


Un immagine del film Amen

Un immagine del film Amen

Il dibattuto tema storico-politico dei rapporti tra il pontefice Pio XII e il nazismo hitleriano è stato anche di recente riproposto all’attenzione del grande pubblico da un discusso film del regista di origine greca Costantin Costa Gavras. La pellicola intitolata Amen ed ispirata ad una pièce teatrale di grande successo, Il Vicario di Rolf Hochhuth, racconta, attraverso lo sguardo disorientato di un alto, benché giovane, prelato appartenente ad una famiglia aristocratica di diplomatici legati alla Santa Sede, il dramma dell’Olocausto sotto la particolare ottica della posizione assunta dalla Santa Sede nei confronti dello “sterminio degli ebrei”.
In particolare Amen tende a riproporre il problema del comportamento tenuto da Pio XII nei confronti non solo della tragica questione ebraica ma, più in generale, nei confronti della Germania nazista, accusando, in modo più o meno esplicito, se non le connivenze, quanto meno i colpevoli silenzi del Pontefice.
I temi della polemica innescata da questo film nei riguardi della politica vaticana durante la Seconda guerra mondiale e l’incipiente guerra fredda, vengono ripresentati, in chiave ancor più esplicitamente accusatoria, da un recente volume, edito dalle edizioni Kaos, intitolato «Dio è con noi!», che, coerentemente con la linea editoriale chiaramente anticlericale, sostiene una sostanziale complicità della Santa Sede sia con il fascismo che con il nazismo. Le origini più remote di tale complicità vengono fatte risalire al periodo della nunziatura apostolica di Eugenio Pacelli in Germania nel corso della quale il futuro Pontefice avrebbe dato dimostrazioni chiare di tendenze antisemite oltre che antibolsceviche e, in quest’ottica, di un atteggiamento di fatto favorevole al nascente nazismo. Il saggio, piuttosto ponderoso, ripercorre tutti i momenti principali della vicenda storica di Eugenio Pacelli cercando di mettere in rilievo, con evidente intento accusatorio, sia nell’operato di segretario di Stato che di pontefice, «un atteggiamento radicalmente ostile al liberalismo, alla democrazia e alla modernità» e fondato su una concezione sostanzialmente “temporalista” del ruolo della Chiesa cattolica, o meglio del papato, ai cui interessi era pronto «a subordinare gli imperativi morali e spirituali della religione», e sottolineando «le forti propensioni antigiudaiche» di un fiero avversatore del demone comunista ossessionato dallo spettro di una minaccia ebraico-bolscevica capace di distruggere la cristianità. Va qui già sottolineato che, ad esempio, per quanto riguarda le accuse di ostilità al liberalismo, alla democrazia e alla modernità, si tratta di accuse assertorie senza una seria documentazione. Va inoltre sottolineato che questo volume vuole mettere sotto accusa la parzialità e la scarsezza della documentazione storica, a suo dire, messa dalla Santa Sede a disposizione degli studiosi.
Ma ci sono altre pesanti responsabilità che questo saggio vorrebbe addossare al pontificato di Pio XII. Vi si afferma infatti che il Vaticano era perfettamente a conoscenza «di quanto accadeva nei lager tedeschi e nei territori occupati dalle armate hitleriane» e che di fronte a questa consapevolezza il Pontefice non seppe andare oltre un messaggio generico ed elusivo diffuso in occasione del Natale del 1942. Quanto poi all’azione umanitaria svolta dal Vaticano, anch’essa viene ritenuta frutto di una casualità e di una generosità episodica e non certamente derivante da una precisa strategia tracciata ed adottata dalla Santa Sede.
Inoltre, vengono attaccate anche le posizioni di coloro che hanno voluto vedere nella prudenza di Pio XII l’espressione di una “realpolitik” volta ad evitare il peggio, sostenendo che simili cautele non furono mai adottate dal Pontefice nei confronti del “letale pericolo” costituito dall’ateismo comunista. Anzi, il pubblico sostegno manifestato in occasione della feroce vicenda della guerra di Spagna, alle forze guidate da Francisco Franco, ed apertamente appoggiate, sul piano politico e militare, da Hitler e Mussolini, rivelerebbe, da parte del Pontefice, una scelta di campo molto precisa.
Su un argomento così delicato prepotentemente tornato all’attenzione del dibattito storiografico, occorre cercare di fare chiarezza partendo da due considerazioni di diversa origine: l’una più strettamente legata ai contenuti storici, l’altra di ordine metodologico. Non c’è dubbio che papa Pio XII, e non a torto, dal suo punto di vista di Vicario di Cristo in terra e simbolo della religione cattolica, sia stato tenacemente in polemica con l’ideologia comunista, data, oltre tutto, la chiara matrice atea e antireligiosa di questa ideologia e, sul piano concreto, date anche le persecuzioni e gli stermini perpetrati dal regime staliniano, non solo contro i cattolici, ma in generale contro qualsiasi avversario.
Pio XII riceve in udienza i rappresentanti delle comunità ebraiche provenienti dai campi di concentramento in Germania

Pio XII riceve in udienza i rappresentanti delle comunità ebraiche provenienti dai campi di concentramento in Germania

Su questa base è anche possibile che abbia potuto vedere, in un primo tempo, oltre che in Mussolini, anche nel nascente nazismo l’ultima ed estrema barriera eretta contro il dilagare dello stalinismo (ed anche in questa ottica vanno viste le vicende di Spagna). Ma questo non significa certamente che abbia benedetto in toto la politica e tanto meno la visione del mondo fascista e addirittura nazista. Perché, se così fosse, le stesse accuse dovrebbero essere rivolte anche ad un personaggio quale Winston Churchill, il quale, pur avendo visto, per un lungo tratto degli anni Trenta, in Hitler e Mussolini un solido baluardo contro la diffusione del comunismo allora impersonato da Stalin – la cui visione dell’economia minava dalle basi le fondamenta delle cosiddette democrazie liberali – è stato del nazismo uno dei principali a~versari nonché artefici della sua sconfitta. Analoga posizione fu tenuta, per un certo tempo, addirittura dagli Stati Uniti.
Inoltre, sempre sul piano politico, bisogna fare molta attenzione a equiparare la complicità o la esplicita connivenza del Pontefice con i suoi silenzi, i quali potevano derivare, come giustamente è stato messo in luce da molti, dai dilemmi e dalle incertezze di chi, in quella particolare contingenza storica, si sentiva stretto da due mali dei quali scegliere il minore non era poi così facile, oppure dalla necessità di ritagliarsi, dietro lo schermo della prudenza diplomatica, uno spazio operativo contro gli orrori generati dalla Seconda guerra mondiale.
La considerazione d’ordine metodologico investe direttamente il problema di come pervenire a un’interpretazione corretta sul piano scientifico e, quindi, più oggettiva possibile, di un evento storico. Diceva Benedetto Croce che la storia non si fa «né con i sé né con i ma», bensì sulla base delle concrete testimonianze offerteci dai documenti storici, cosa che richiama l’obbligo, prima di formulare una qualsivoglia ipotesi interpretativa, di prendere in considerazione tutte le fonti e le testimonianze disponibili, e non solo una parte di esse. Una riprova di quanto andiamo dicendo, ricavata dalla strettissima attualità, è offerta da un documentario recentemente messo in onda dalla televisione di Stato e dedicato in particolare ai “mestieri del nazismo”. Tale documentario riferiva che era stato da più parti affermato che Pio XII fosse talmente spaventato, sul piano propriamente religioso, dal nazismo, da ricorrere anche all’esorcismo nei confronti della figura demoniaca di Hitler!
Non mancano poi testimonianze, ormai largamente accreditate dalla storiografia ed ampiamente conosciute, relative allo specifico del rapporto del Pontefice con gli ebrei, che offrono una risposta importante (anche perché provenienti da esponenti di rilievo dello stesso mondo ebraico) a chi ritiene che un plateale intervento di condanna da parte di Pio XII avrebbe potuto porre un argine, o addirittura provocare la fine dell’Olocausto. Da tali testimonianze, al contrario, si evince con tutta chiarezza che un eventuale intervento pubblico ed ufficiale della Santa Sede nei confronti del nazismo avrebbe accelerato le operazioni di sterminio, mettendo in pericolo anche gran parte del mondo cattolico, e che la strada della prudenza rappresentava l’unica possiKilità, rimasta a disposizione del Pontefice, di salvare altre vite umane.
Un’altra testimonianza di rilievo, anch’essa proveniente da parte ebraica e riportata anche dall’autore di questo volume, con grande ricchezza documentaria benché in chiave polemica, riguarda una testimonianza rilasciata, sempre a proposito del rapporto tra Pio XII e l’Olocausto, dal rabbino David Dalin, il quale riconosce allo stesso Pio XII il merito di aver provveduto alla salvezza di almeno 700mila ebrei. Non fermandosi a questa affermazione, Dalin si spinge ben oltre giungendo a sostenere che il Pontefice fu in realtà estremamente vicino agli ebrei proprio nel momento in cui questi ebbero maggiormente bisogno di appoggio e di soccorso, nella piena consapevolezza dell’affermazione talmudica secondo cui «chi salva una vita salva il mondo intero».
Ma le fonti documentarie relative al discusso rapporto di Pio XII con l’ideologia nazifascista investono anche quello che è stato definito il suo anticomunismo viscerale, al quale ogni altra considerazione sarebbe stata subordinata. Ora, parlare di un atteggiamento visceralmente anticomunista senza mai sottolineare i drammi dello stalinismo e le persecuzioni sul piano nazionale e internazionale e negare invece il complesso rapporto che Pio XII ebbe anche in Italia con l’azione dei comunisti in particolare nella resistenza, significa non voler fare una seria analisi storica. Va ricordato che durante la resistenza, in Italia i cattolici operarono in stretto collegamento con i comunisti e che è chiaramente documentato non solo il sostegno dato in vario modo alla resistenza dalla Santa Sede, ma la decisiva azione concreta e capillare in difesa degli ebrei. Ci sono delle circostanze ormai note, come quella che vede il Pontefice, nei mesi immediatamente precedenti il 25 luglio 1943, intercedere, attraverso la persona del cardinale Maglione, presso lo stesso duce del fascismo, Benito Mussolini, per richiedere la scarcerazione di Adriano Ossicini, allora rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, in quanto esponente di spicco della formazione politica della sinistra cristiana, la quale, pur rifiutando recisamente sul piano teorico e religioso l’ideologia comunista, coi comunisti collaborava fattivamente nella lotta al nazifascismo. Va ricordato che De Gasperi e la Democrazia cristiana, per un non breve periodo, collaborarono con i comunisti anche al governo, e certamente senza alun veto da parte del Papa. Questo non significa, naturalmente, una difesa d’ufficio della condotta tenuta dal Pontefice, del quale non bisogna dimenticare mai la profonda natura di diplomatico accorto e sottile. Ma vuol dire lasciar parlare i documenti storici stessi, considerati naturalmente nella loro globalità e aperti alla legittima interpretazione di ciascuno, purché questo non significhi stravolgimento o strumentalizzazione del loro contenuto. q


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