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GIOVANNI PAOLO I
tratto dal n. 10 - 2002

Luciani e la resistenza


Antonia Luciani, la sorella minore di Giovanni Paolo I, racconta un capitolo inedito della vita di Albino, quello degli anni della guerra: «Negli anni della contestazione dopo il 1968, ho sentito più volte anche in Trentino i giovani gridare: “Luciani, fascista, sei il primo della lista!”. Una volta, parlandone con lui, mi disse ridendo: “Questo proprio no, se c’è una cosa che non sono mai stato è fascista!”»


di Stefania Falasca


Un gruppo di partigiani in trasferimento lungo un percorso di montagna innevato

Un gruppo di partigiani in trasferimento lungo un percorso di montagna innevato

Nel luglio 1937 monsignor Angelo Santin, appena nominato responsabile del seminario Gregoriano di Belluno, chiama Albino Luciani come vicerettore. Luciani non ha neanche venticinque anni e già gli viene affidato il compito di guidare i seminaristi dello stesso istituto dove fino a due anni prima era stato studente. Un incarico importante. Il primo di una serie di incarichi di grande responsabilità. Al Gregoriano di Belluno, il futuro Papa, insegnerà per vent’anni. Don Aldo Belli, uno dei suoi primi alunni, poi rimasto al Gregoriano come professore, del suo vicerettore Luciani ha impresso questo ricordo: «Ogni mattina alla sveglia e ogni sera prima del riposo passava nelle nostre camerate. Camminava con la corona del rosario in mano, se non era necessario non parlava perché quello era tempo di silenzio. Ma il suo passarci ai piedi del letto era più che un buon giorno e una buona notte: era un far sentire che non eravamo mai soli. Credo che proprio questa sia stata una delle sue preoccupazioni fondamentali: far sentire (non far pesare) in continuazione la sua presenza. Per questo rifiutava più che poteva ogni lavoro che lo allontanasse dal seminario e cercava anche di superare i limiti imposti dal regolamento che imponeva un certo distacco tra superiori e chierici». Nel 1939 scoppia la Seconda guerra mondiale. Anche al seminario arrivano gli echi delle bombe e delle mitragliatrici. Monsignor Santin, delle sue opinioni non faceva mistero: più volte aveva definito «Mussolini e Hitler nemici della santa Chiesa». Venne poi la disfatta dell’8 settembre, l’occupazione tedesca, i rastrellamenti, la resistenza. Dei gesti, delle simpatie politiche e delle prese di posizione di Luciani in quel periodo si sa molto poco. Antonia, la sorella minore di Giovanni Paolo I, allora era una ragazza. Della guerra conserva un ricordo nitido. Proprio in quegli anni difficili e controversi i suoi contatti col fratello Albino sono stati frequenti. Dalle sue memorie affiorano aspetti ed episodi inediti della vita di Luciani. Abbiamo voluto riaprire con lei le pagine personali di questo capitolo di storia...

Albino Luciani sacerdote novello

Albino Luciani sacerdote novello

«Durante la guerra ero a Canale. Per un periodo ero stata lontano da casa a lavorare, ma rientrai poco prima dell’inizio del conflitto per stare con i genitori che erano rimasti soli. L’Albino era in seminario, mio fratello Berto era partito soldato nel ’38 e con lo scoppio della guerra venne trattenuto nel servizio militare. A casa ritornò solo nel ’43. Riuscì a scappare, dopo la disfatta dell’8 settembre. Ricordo ancora il giorno del suo ritorno... ero andata verso la Val Garés con il cesto per raccogliere l’erba. All’imbruinire vedo questo soldato scendere giù dalla montagna... era il Berto. Gettai giù tutto a terra e gli corsi incontro. Avevamo ormai quasi perso la speranza di rivederlo, pensavamo che i tedeschi l’avessero portato in Germania...». Inizia così Antonia a raccontare quegli anni. La incontriamo nella casa romana di sua figlia Lina. Seduta accanto al tavolo, lì di lato alla finestra che s’apre sul Vaticano. Sorride mentre parla, con quel suo modo semplice di dire. «Il giorno seguente» riprende «andai a Belluno a dare la notizia all’Albino. Arrivata alla stazione ricordo il treno che veniva da Feltre... era pieno di ragazzi. Scendevano giù a frotte e non ce n’era uno vestito da soldato!... chi col cravattino, chi da cameriere, chi persino col saio da frate... In quei giorni subito dopo l’8 settembre i soldati erano scappati dalle caserme e per non essere presi dai tedeschi tanti s’erano vestiti alla meglio con abiti rimediati. Ricordo che mi diressi verso il seminario attraversando tutta questa folla mascherata...». Aveva avuto modo di incontrare altre volte suo fratello Albino in quel periodo? «Qualche volta era venuto a Canale. Ma erano visite rapide. Si muoveva poco dal seminario. Aveva molto da fare lì. Quando potevo andavo io a trovarlo». Ricorda in particolare qualcuna di quelle visite? «Una volta mentre mi trovavo in seminario entrò un seminarista, mio fratello gli andò incontro e si fermò a parlare con lui. Vidi poi l’Albino togliersi il cappotto che aveva indosso e darlo a quel ragazzo, gli diede anche qualche soldo. Mi disse dopo che i tedeschi avevano bruciato la casa dei suoi genitori. Aveva a cuore il seminario, voleva bene ai suoi seminaristi. Ogni volta che scriveva a casa, ogni volta che lo vedevo, chiedeva sempre di pregare per loro». Dal cassetto tira ora fuori un libretto con delle foto d’epoca di Canale d’Agordo. «Ecco» dice sfogliandolo «queste sono state scattate a Canale durante il periodo fascista. Eccone una dei balilla... Ce n’è qualcuna anche della guerra...». Come ha vissuto la sua famiglia gli anni del fascismo antecedenti il conflitto? «Beh, insomma...» dice ridendo; «il mio papà era dall’altra parte. Noi, di famiglia, eravamo antifascisti. Quando c’erano i comizi dei fascisti in piazza il papà cambiava strada, diceva: “Non state a perder tempo con le chiacchiere di quelli là!”. Andavo ancora a scuola quando ci vennero distribuite le tessere del fascio. Ricordo che presi la tessera e l’appallottolai. Poi me la misi in tasca, con l’intenzione di buttarla dopo. Un mio compagno di classe invece la buttò subito, la strappò e la gettò nel cestino. Allora il maestro che aveva visto la tessera strappata nel cestino (si sarebbe compromesso se non avesse detto niente) ad alta voce domandò a tutta la classe: “Chi l’ha buttata?... Mettete tutti la tessera sul banco!...”». E lei che cosa fece? «Rido ancora a pensarci... tirai piano piano fuori dalla tasca la tessera tutta appallottolata e cercai di stenderla ben bene sul banco... Riuscii a cavarmela, il maestro passandomi accanto fece finta di niente. Veniva spesso a casa nostra, il maestro. Ci conosceva bene. Aveva preparato lui l’Albino per farlo entrare in seminario. Come tanti era fascista per opportunità. A Canale, quelli che lo erano veramente, si contavano sulle dita di una mano. Gli altri si barcamenavano. Non c’era altra possibilità in quel momento. Persino il papà, che era allora dipendente comunale, fu costretto alla fine a prendere la tessera se non voleva perdere il lavoro». E suo fratello Albino si è mai espresso a riguardo? «Negli anni della contestazione dopo il 1968, ho sentito più volte anche in Trentino, dove abitavo, i giovani gridare: “Luciani, fascista, sei il primo della lista!”. Una volta, parlandone con lui, mi disse ridendo: “Questo proprio no, se c’è una cosa che non sono mai stato è fascista!”. Mio fratello tuttavia evitava le affermazioni categoriche e parlava poco dell’argomento. Una volta sola lo sentii pronunciare un giudizio perentorio. Fu a motivo dell’incontro che Mussolini e Hitler ebbero proprio tra Feltre e Belluno il 19 luglio 1943. A commento di quell’episodio disse a voce alta in dialetto: “Siamo nelle mani di due pazzi”». Durante il periodo fascista ci fu un momento in cui Pio XI si trovò in conflitto col regime a causa dell’Azione cattolica. Erano gli anni Trenta. Suo fratello allora non era ancora sacerdote. Ricorda qualche episodio legato a questo frangente? «Ricordo che quando veniva a casa, l’Albino parlava di questo fatto con i giovani di Canale, spiegando loro quanto fosse in pericolo la libertà della Chiesa e quanto Pio XI doveva soffrire. Un giorno, mentre parlava con certi ragazzi, lo sentii dire: “Guardate che cosa ha combinato Mussolini... e poi dice che va d’accordo con il Papa!”. Ma di quel periodo un episodio mi è sempre rimasto nella memoria. Era il 1931. Proprio nella primavera di quell’anno, Mussolini aveva sciolto l’Azione cattolica e solo nei mesi successivi era poi stata data la possibilità di ricostituirla come associazione. A Canale, in occasione della festa della Madonna del Rosario che si celebra a ottobre, si usava fare, dopo la messa, la processione in piazza con la statua della Vergine. Io allora avevo 11 anni, ma ricordo come fosse adesso quando, il giorno prima della processione, alcune ragazzine, pavoneggiandosi, andavano dicendo: “Ha detto la maestra che domani, alla processione, davanti alla statua della Madonna, ci saremo noi “Piccole italiane”, con la nostra divisa e il distintivo fascista!”. Ricordo che andai di corsa a riferirlo all’Albino, che in quei giorni era ancora a casa prima di rientrare in seminario. “Non ti preoccupare”, mi rispose, “ci penso io”. La mattina seguente, mentre uscivamo dalla chiesa al termine della messa per formare la processione, vidi mio fratello sulla porta della Pieve. Appena la maestra fece cenno alle sue “Piccole italiane” di incamminarsi, l’Albino l’affrontò con decisione: “Eh no! Davanti alla Madonna ci va l’Azione cattolica!”, e girandosi verso di noi: “Avanti voialtre!”. Immaginarsi con quale santo orgoglio, io e le mie amiche dell’Azione cattolica, ci siamo poi incamminate davanti alla Madonna...».
Antonia Luciani, sorella minore di Giovanni Paolo I

Antonia Luciani, sorella minore di Giovanni Paolo I




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