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INDIA
tratto dal n. 11 - 2004

INDIA. Intervista con Dominique Lapierre

Il doppio volto del miracolo indiano


Lo scrittore francese, da decenni impegnato in progetti umanitari per le popolazioni del delta del Gange, parla della crescita economica del Paese asiatico. Una crescita che lo sta cambiando velocemente ma che esclude milioni di persone


di Pina Baglioni


Dominique Lapierre nel villaggio di Sundarban, nei pressi di Calcutta

Dominique Lapierre nel villaggio di Sundarban, nei pressi di Calcutta

«In tutti i Paesi poveri che ho avuto l’opportunità di visitare mi sono reso conto che, tra missionari, medici, infermieri, insegnanti, voi italiani siete sempre in maggioranza. Provo un’immensa gratitudine e simpatia e sono sempre felice di tornare in Italia». A un anno di distanza dalla pubblicazione di Un dollaro mille chilometri, Dominique Lapierre è tornato nel nostro Paese per presentare Luna di miele intorno al mondo (Il Saggiatore, Milano 2004, 310 pp., euro 17) scritto nel 1953 e solo ora tradotto in italiano. Il celebre scrittore francese, autore di best seller apprezzati in tutto il mondo, dà l’impressione, negli ultimi tempi, di parlare dei suoi libri come puro pretesto per attirare l’attenzione su ciò che gli interessa di più: l’Associazione per i bambini dei lebbrosi di Calcutta fondata nel 1982 insieme con la seconda moglie Dominique. Da qualche anno, buona parte dei diritti d’autore dei suoi successi editoriali vengono utilizzati per finanziare i progetti in favore delle popolazioni del delta del Gange: centri di accoglienza, ospedali, scuole, strutture idrauliche. In cima ai suoi pensieri insomma c’è sempre l’India, Paese che vide per la prima volta più di cinquant’anni fa in occasione del suo viaggio di nozze con la prima moglie Aliette.
Luna di miele intorno al mondo si potrebbe definire la seconda puntata di quella straordinaria iniziazione alla vita che Lapierre ci aveva fatto vivere in Un dollaro mille chilometri: anche in quest’ultimo libro, infatti, il suo viaggio si svolge in una continua girandola di avventure, colpi di scena, incontri fortunati lungo le strade d’America, Giappone, Corea, Cina, Thailandia. Per giungere infine nella “città del destino”: «Calcutta, primo scalo indiano della nostra luna di miele» racconta Lapierre. «Là, un giorno, agli inizi degli anni Ottanta, incontrammo madre Teresa e padre Gaston Dayanand che ci avrebbero cambiato la vita. Il loro coraggio, la fede e l’amore mi avrebbero ispirato La città della gioia e il desiderio di aiutare quella gente».
Oggi però, quando si parla di India, non si pensa solo ai poveri che muoiono in mezzo alla spazzatura, al sistema delle caste, alla vita degli intoccabili, alle ragazze povere che vengono arse vive dagli stessi genitori perché, senza dote, non possono sposarsi. Oggi l’India fa pensare a ben altro rispetto a quello che Dominique Lapierre ha documentato per esempio in La città della gioia o in Mezzanotte e cinque a Bhopal. L’India è diventata sinonimo di sviluppo economico soprattutto nel campo dell’informatica più raffinata e della telefonia mobile. Abbiamo chiesto a Dominique Lapierre se il nuovo corso indiano stia modificando la sua percezione di questo Paese.
Le missionarie della Carità distribuiscono cibo ai poveri di Calcutta

Le missionarie della Carità distribuiscono cibo ai poveri di Calcutta


Che effetto le fa sapere che questo Paese, da lei tanto amato e al quale sta dedicando la sua vita, e il suo talento in favore dei poveri, è diventato, insieme con la Cina, uno dei motori economici del pianeta?
DOMINIQUE LAPIERRE: I dati parlano chiaro. Il tasso di sviluppo annuo in India si aggira attorno all’8 per cento. Giganti informatici americani come Ibm e Google hanno trasferito migliaia di loro tecnici in India e gli ingegneri indiani sono tra i più apprezzati del pianeta. Prima o poi doveva accadere che questo popolo meraviglioso riuscisse a mettere a frutto le sue enormi capacità, il suo grande ingegno. Soprattutto nel campo dell’alta tecnologia: non posso che essere felice per questo. Come d’altronde sta capitando, con performance di sviluppo ancora più stupefacenti, in Cina, che vanta un tasso di sviluppo annuo del 10 per cento. Se pensiamo che l’Europa si arrabatta attorno al 3 per cento e gli Stati Uniti al 4 per cento, tutto questo ci dà l’immagine di cosa accadrà tra una decina d’anni. Tutti dovremmo rallegrarci per il fatto che, oltre alle grandi potenze occidentali, anche questi altri due giganti possano dire la loro in campo economico. Tutto ciò potrebbe determinare degli effetti positivi anche sul fronte politico e su quello della sicurezza internazionale.
Lei che va spesso a Calcutta, ha potuto notare dei cambiamenti, degli effetti positivi?
LAPIERRE: Ci sono stato due mesi fa ed è indubbio che dei miglioramenti si avvertono anche in questa città. Ci sono degli effetti curiosi, divertenti. Io vado a chiedere aiuto a tutti per i miei poveri, anche ai nuovi imprenditori, naturalmente. E allora, quando mi trovo là, fanno a gara nell’aiutarmi. L’impiegato semplice – considerando che in India si patisce un caldo infernale, mi accorgo del loro grado di importanza dal numero e dalla grandezza dei condizionatori d’aria che hanno a disposizione – mi presenta il manager. E il manager mi presenta il top manager, che di condizionatori d’aria ne ha tre e può godere di un clima meraviglioso. Oppure mi diverto moltissimo in banca, per esempio, quando vado a cambiare i dollari in rupie. Nelle banche di Calcutta, come del resto in tutte le banche indiane, un dollaro può valere 42, 44 o 47 rupie. Dipende dall’umore dell’impiegato. A quel punto io tiro fuori il mio album di foto dei bambini poveri, dicendo che i soldi servono a loro. Allora l’impiegato vuol far bella figura con me – da quelle parti godo di una certa popolarità – e mi concede il cambio più favorevole. Sono dei particolari, apparentemente insignificanti, che però mi danno la percezione di un certo cambiamento. Prima, cose così non mi capitavano: ci sono più porte a cui bussare per chiedere la carità. C’è un “però” in tutto questo.
Quale “però”?
LAPIERRE: Non va dimenticato che, se in India lo sviluppo economico è inarrestabile, altrettanto inarrestabile è lo sviluppo demografico e questo compromette tutto in maniera drammatica. Per adesso esistono due Indie: una ricca e brillante, un’altra poverissima. La speranza è che, prima o poi, gli effetti positivi dell’una si possano riversare, in maniera sempre più significativa, anche sull’altra. Sappiamo pure però, noi cristiani in particolare, che «i poveri li avremo sempre con noi». E qui dobbiamo, si fa per dire, stare tranquilli. In India continuano ad esserci 350 milioni di abitanti che ogni sera si mettono a letto con lo stomaco vuoto, 200 milioni che tuttora non hanno accesso all’acqua potabile, 50 milioni di bambini che non hanno mai varcato la soglia di una scuola. L’altra faccia della medaglia è questa. A tal proposito, le attività della mia associazione si stanno orientando negli ultimi tempi sul fronte dell’educazione. Abbiamo insegnato a leggere e a scrivere alle donne di mille villaggi del Bengala. Conseguentemente, queste donne alfabetizzate non si mettono più a fare dodici, tredici figli. Magari si fermano a cinque. L’altra iniziativa che sta dando già dei risultati significativi è quella di concedere dei microcrediti: abbiamo dato a 200mila contadini del Bengala altrettanti microcrediti per avviare piccole aziende agricole. Credo che questa idea potrebbe rappresentare per il futuro, non solo in India, la possibilità di sottrarre molta gente alla povertà. Un altro aspetto che non bisogna mai dimenticare, oltre all’inarrestabile crescita demografica, è il clima terribile. Quando io e mia moglie siamo andati due mesi fa in India, abbiamo portato una gran quantità di medicinali per curare la gente colpita dagli effetti devastanti delle inondazioni apocalittiche del Gange e del terribile monsone che ha prodotto 200mila senzatetto. Quindi, come vede, la carità cristiana non andrà mai fuori corso, nonostante l’avanzata economica, che, sia chiaro, dobbiamo accogliere con gioia, senza i classici piagnistei moralistici e ideologici.
Lei crede che, col tempo, anche il sistema delle caste, in particolare la drammatica situazione delle donne indù senza dote, potrebbe attenuarsi?
LAPIERRE: Io non sarei così critico nei confronti del sistema delle caste. Escludendo gli aspetti estremi degli omicidi, a volte compiuti dagli stessi padri delle ragazze, bisogna considerare che quel sistema rappresenta una forma di protezione, di punto di riferimento per gente così povera e ai margini della società. Sto raccogliendo, da anni, grandi quantità di oggetti d’oro che molti benefattori mi regalano proprio per fare la dote a molte ragazze indù. E anche in questo caso i più generosi sono gli italiani.
Una donna indiana parla al cellulare mentre attraversa a bordo di un risciò una strada di Calcutta allagata dalle piogge monsoniche dell’ottobre 2004

Una donna indiana parla al cellulare mentre attraversa a bordo di un risciò una strada di Calcutta allagata dalle piogge monsoniche dell’ottobre 2004

A sette anni dalla morte di Madre Teresa, c’è qualcosa di cambiato a Calcutta nell’attività delle Suore della Carità?
LAPIERRE: No, non è cambiato assolutamente nulla. Le Missionarie della Carità continuano a svolgere il loro lavoro come quando c’era Madre Teresa. Anzi, il loro è l’unico istituto nella Chiesa che non può accogliere tutte le ragazze che chiedono di entrare. C’è un eccesso di vocazioni.
Lei, all’inizio del libro, stila una sorta di decalogo di viaggio dedicato ai giovani, e tra i vari comandamenti scrive che non dobbiamo giudicare gli stranieri, ma capirli e amarli. Oggi se la sentirebbe di ridare lo stesso consiglio?
LAPIERRE: Certo che lo ridarei. Con ancora più convinzione. Guardi che era più pericoloso cinquant’anni fa andare in giro per il mondo. È la nostra mentalità di uomini abituati a essere serviti, carichi di cellulari e di carte di credito, che ci ha fiaccati e ci ha tolto il gusto della vita e della voglia di conoscere gli altri.
Il particolare tipo di odio che si è diffuso oggi nel mondo è un odio costruito ad arte: è sempre più difficile conoscere e incontrare i nostri fratelli, i nostri vicini, i nostri avversari. Ma, in Medio Oriente per esempio, si può fare un passo decisivo solo se israeliani e palestinesi cominciano a conoscersi tra di loro, a scambiarsi le esperienze, invece di continuare a massacrarsi. Massacri che servono a chissà chi. La speranza è nella gente comune. Un altro aspetto che non smetterò mai di sottolineare è che non possiamo continuare a pensare che la realtà sia quella che ci propinano certi media. La realtà non è quella. Io ringrazio Dio di avermi concesso la fortuna di viaggiare e vedere da vicino la grandezza, per esempio, dei popoli afghano, indiano, cinese. O la positività di quello americano. Lo so che non tutti possono viaggiare. Ma quello che ho capito io è che le radici dell’odio non sono innestate tra la gente semplice, che in realtà vorrebbe solo vivere e lavorare in pace. Le matrici dell’odio sono di natura politica ed economica e fanno affidamento sulla realtà mistificata che un certo tipo di potere fabbrica a suo uso e consumo. Io sono cattolico, non l’ho mai nascosto. In tutta onestà, non ho mai avuto un solo problema per questo.



Per aiutare
Dominique Lapierre a continuare
la sua azione è possibile contattare l’Action pour les enfants des lépreux
de Calcutta – Val de Rian, F-83350 Ramatuelle, France
sito internet:
www.cityofjoyaid.org
e-mail: dominique.et.dominique.lapierre@wanadoo.fr.

Adozioni a distanza:

Segreteria: via Guicciardini,15,
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