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RUSSIA
tratto dal n. 12 - 2004

L’analisi del rettore dell’Università delle Scienze umane di Mosca

Tradizione e pragmatismo


Questa è oggi la politica del Cremlino per lo storico Alexander Ciubarian:«Sono sicuro che il presidente Putin vuole uno Stato democratico e, come lui ha già detto, vicino alla civiltà europea». Intervista


di Giovanni Cubeddu


Nato a Mosca da genitori armeni, Alexander Ciubarian è uno storico, membro dell’Accademia russa delle Scienze, dove ormai dal 1988 dirige l’Istituto di Storia generale. Si muove con agilità integrando ricerca scientifica e didattica, e a Mosca ha creato – e ne è rettore – un nuovo ateneo, l’Università delle Scienze umane. Ciubarian è anche membro del presidium del Consiglio della scienza e dell’educazione, organo guidato personalmente dal presidente Putin.
Il cavallo di battaglia di Ciubarian è la storia europea e le relazioni internazionali nel XX secolo, come testimoniano le sue molte pubblicazioni sulla politica estera di Mosca negli anni Venti, sulla guerra fredda e le sue origini.
Ciubarian è membro del Comitato editoriale dell’Enciclopedia ortodossa (il cui primo volume ha presentato a Roma in ottobre) e del Comitato editoriale dell’Enciclopedia cattolica (già presentata a Mosca due anni fa). In parte ciò deriva dal fatto che all’Istituto di Storia generale appartiene un grande Centro studi sulla Chiesa e le religioni, legato da un rapporto speciale con il patriarcato di Mosca, donde il coinvolgimento scientifico di molti docenti del Centro nella stesura dell’Enciclopedia ortodossa.
Con questo mite e gradevole intellettuale che difende le ragioni del presidente Putin, ci siamo incontrati a Roma, nella saletta di un noto albergo di proprietà vaticana, proprio su via della Conciliazione, a pochi metri dal Cupolone. E una volta tornato a Mosca, abbiamo ripreso il nostro colloquio nei giorni più acuti della contestazione in Ucraina. Da qui iniziamo.

Il coro dell’Armata russa si esibisce nell’Aula Paolo VI alla presenza di Giovanni Paolo II in occasione 
del suo XXVI anniversario di pontificato, il 15 ottobre 2004

Il coro dell’Armata russa si esibisce nell’Aula Paolo VI alla presenza di Giovanni Paolo II in occasione del suo XXVI anniversario di pontificato, il 15 ottobre 2004

Che cosa pensa della crisi a Kiev?
ALEXANDER Ciubarian: È il prodotto di tendenze e fattori diversi. Anzitutto la situazione interna è complessa: vasti strati della popolazione esprimono malcontento a proposito del potere e di come esso intende trasformarsi in senso democratico; è in atto un difficile processo di ricerca dell’identità nazionale e di definizione delle relazioni dell’Ucraina con gli altri Paesi, per individuare il vero posto dell’Ucraina nella comunità internazionale tra Europa, Russia e Stati Uniti, potenze di cui avverte la pressione politica.
Ovviamente le opinioni su tutti questi temi differiscono, in particolare nelle regioni orientali rispetto a quelle occidentali del Paese. Il risultato di tutto ciò è appunto la realtà complicata e spesso drammatica che abbiamo sotto gli occhi. Ma, in definitiva, si tratta di scelte che solo il popolo dell’Ucraina deve fare.
Un recente sondaggio internazionale mostrava che la maggioranza dei russi avrebbe votato per Bush. Anche il presidente Putin aveva detto a chiare lettere di preferirlo...
CIUBARIAN: Qui c’è una valida combinazione tra tradizione e pragmatismo. Il rapporto tra Russia e Stati Uniti è importante per la storia, e sotto la presidenza di George W. Bush questa relazione è stata buona, abbiamo avuto molti segni positivi dell’appoggio Usa. Certo, rimangono dei sentimenti di antiamericanismo, che non sono connessi a questa o quella presidenza o politica americana ma sono eredità della guerra fredda, quando la Russia godeva dello status di superpotenza. In molti strati sociali russi c’è nostalgia, forse non del comunismo, ma di quei tempi in cui si era alla pari con Washington. Noi russi abbiamo una consuetudine di buoni rapporti con i presidenti democratici americani, ma molto di più con quelli repubblicani.
In teoria, dunque, il presidente americano George W. Bush continuerà questa politica di partnership strategica con la Russia. Credo che con i democratici alla Casa Bianca ci sarebbe stata più attenzione al tema dei diritti umani e della democrazia interna, il che avrebbe generato tensioni con Mosca…
Cosa è cambiato dopo Beslan, l’11 settembre della Russia?
CIUBARIAN: La domanda è molto seria. La strage di Beslan ha influenzato il modo di pensare non solo dell’establishment ma anche della gente comune. Ci siamo accorti che per noi il problema della sicurezza non è più teorico, ma tragicamente concreto perché possiamo aspettarci attacchi terroristici dovunque nel Paese. Oggi, quasi tutti in Russia ritengono che abbiamo bisogno di misure più serie nella lotta a ogni tipo di terrorismo. Il popolo russo sostiene l’impegno del nostro presidente per rafforzare il Paese e per avere rapporti più stretti con gli altri Paesi, con gli Stati Uniti e l’Europa in primis, perché vogliamo sempre di più essere parte della comunità internazionale.
Nelle grandi città come nei piccoli centri periferici, che ho visitato di recente, tutti dicono che il presidente “deve” essere più deciso contro i terroristi, e chiedono più ordine pubblico interno.
George W. Bush e Vladimir Putin in occasione del G8 a Sea Island, in Georgia (Usa), il 9 giugno 2004

George W. Bush e Vladimir Putin in occasione del G8 a Sea Island, in Georgia (Usa), il 9 giugno 2004

Dopo Beslan si è ritornati anche a parlare dell’instabilità del Caucaso. Qual è la situazione? Secondo lei il tipo di gestione che la Russia vuole attuare nella regione è accettabile dalla comunità internazionale, Stati Uniti in testa?
CIUBARIAN: Di Caucaso ce ne sono due. Il primo è dentro la Russia – Ossezia del Nord, Cecenia, Inguscezia, e molte altre piccole Repubbliche – il secondo è fuori – Georgia, Azerbaigian, Armenia… Chi critica la Russia per la sua influenza sul Caucaso russo, dovrebbe pronunciarsi anche contro l’influenza degli Stati Uniti sul Texas o sulla Florida! Per noi la questione cecena è un pericolo non solo in sé stessa, ma per tutto il Caucaso russo. La strage di Beslan è accaduta in Ossezia settentrionale, non in Cecenia… Suppongo che i Paesi stranieri, gli Stati Uniti e l’Europa non intendano rinnegare la sovranità russa nel nostro Caucaso. Per quello fuori dai confini russi vogliamo solo che la situazione sia tranquilla e positiva. Noi manteniamo buone relazioni con l’Armenia – dove non esistono sentimenti antirussi –, con l’Azerbaigian e con gli altri Stati limitrofi. Magari soffriamo problemi di stabilizzazione con la Georgia, ma non c’è nessuna nostra pretesa territoriale.
Lei continua a riferirsi alle aree “postsovietiche”…
CIUBARIAN: La mia personale opinione è che la Russia, nei rapporti con quei territori che una volta erano dentro l’Urss, debba godere dello status non di superpotenza ma di “grande potenza”. Se qualcuno vuole usare il termine “influenza” di Mosca, ciò non mi entusiasma. Però esistono anche altre definizioni, come “aiuto reciproco” oppure “profonda e speciale collaborazione”.
È un tema spinoso. Comunque in Russia c’è divergenza di opinioni. Ricordo un recente dibattito televisivo russo in cui la metà dei giornalisti presenti indicava negli Usa il nemico che lavora per destabilizzare Mosca e l’area caucasica. Io non sono d’accordo. Credo che anche gli Stati Uniti vogliano la stabilità regionale, perché la Russia è un potere nucleare. Tra gli Usa e noi il rapporto non è di scontro ma di concorrenza. Lo ricordo ancora una volta. Ciò che è accaduto a Beslan è un pericolo non solo per il Caucaso, ma per la Russia intera.
Come guarda l’intellighenzia russa al processo di unificazione europea? Paesi già sotto il mantello sovietico si sono aperti all’abbraccio con gli Stati Uniti e ora, dopo l’allargamento ad Est dell’Unione europea, sono membri dell’Ue… La Nato poi, invece di sciogliersi dopo l’89, sta avanzando verso Oriente…
CIUBARIAN: Vorrei dire che la mia reputazione in patria è quella di un partigiano attivo dell’Europa. L’ultimo libro che sto per pubblicare quest’anno s’intitola L’europeismo russo, e sono assolutamente certo che la Russia sia una parte dell’Europa, per geografia, cultura, tradizioni… e che abbiamo bisogno più di prima di essere membri dell’Ue. Dopo la divisione del continente ai tempi del socialismo, ora i valori di riferimento europei quali l’economia di mercato, gli ideali liberali e democratici – anche se possiamo discutere dei diversi modelli possibili di democrazia –, sono stati fatti propri dalla Russia. Inoltre la Russia è una federazione che, per organizzare i rapporti tra le varie parti del Paese, guarda con interesse all’esperienza dei Paesi con il modello federale. Perciò consideriamo l’Europa – dove sussistono nazioni e culture differenti che danno vita a una comunità – un partner ideale, l’esempio di un bilanciamento d’interessi.
Dopo la strage di Beslan, migliaia di persone manifestano contro il terrorismo davanti alle ambasciate britannica e statunitense a Mosca

Dopo la strage di Beslan, migliaia di persone manifestano contro il terrorismo davanti alle ambasciate britannica e statunitense a Mosca

Veniamo al problema dei Paesi un tempo comunisti e ora membri dell’Ue.
CIUBARIAN: Per la Russia è finito il tempo in cui era ostile all’allargamento ad Est dell’Europa e della Nato. La Nato è ancora un nemico per i nazionalisti e per i comunisti russi, non per gli altri, anche perché esiste ormai una partnership for peace tra Russia e Nato. Questo, nonostante permangano interessi diversi e ci sia una naturale concorrenza. Inoltre, abbiamo il sincero bisogno di un miglioramento delle relazioni con i Paesi che erano parte dell’Urss – Ucraina e Stati baltici – e anche con quelli più indipendenti – Polonia, ex Cecoslovacchia, Bulgaria, ecc. Ma sappiamo bene che è differente impostare un rapporto tra Mosca e Kiev rispetto ad uno tra Mosca e Varsavia... Alcuni Paesi, quelli baltici, sono contemporaneamente membri della Nato e dell’Ue. E, poi, avere un buon vicinato richiede comprensione da ambedue le parti.
Ci sono difficoltà con questi Paesi?
CIUBARIAN: Sono membro di una Commissione storica internazionale a Riga, in Lettonia, creata per investigare sulle occupazioni nazista e comunista e sull’olocausto, e ho sperimentato la difficoltà di realizzare ciò di cui stiamo parlando perché vedo che nei Paesi ex satelliti il mondo intellettuale e i media non immaginano quanto possa essere fruttuoso un buon vicinato con la Russia odierna. Ma sono certo che sia solo una questione di tempo: le nuove classi politiche in questi Paesi, membri dell’Ue e della Nato, sono più pragmatiche, non hanno timore della nuova Russia, anche se è un così grande vicino.
Sono inoltre capodelegazione per parte russa di una Commissione bilaterale di storici dell’Ucraina e della Russia. Vedo e capisco bene che questi Paesi postsovietici ora si occupano molto della loro identità nazionale: la bandiera, l’inno, la costruzione di una storia patria… Ma su questa strada inevitabilmente vanno incontro a un ostacolo: il lungo periodo nel quale la loro identità – ucraina, bielorussa ecc. – non era affatto un problema, proprio perché esisteva una identità sovietica comune (o ancor prima un’identità russa imperiale). Ora essi hanno bisogno di concepirsi come nazione, e anche se non tutti in Russia sono d’accordo – mi riferisco ai vecchi e ai nuovi nazionalisti –, noi dobbiamo dare forza a questi tentativi, o almeno capire che i tempi sono cambiati. Però, nel momento in cui questi Paesi si trovano a ripensare e giudicare il loro passato, devono essere consapevoli che non possono sfuggire al fatto che sono stati parte dell’Urss, e che tale riconoscimento non deve essere reinterpretato e indirizzato contro la Russia di oggi! Molti decenni fa la Norvegia era una parte della Svezia, ma i norvegesi non soffrono del fatto di esser stati all’interno di un altro Stato. Lo stesso deve accadere tra noi e gli Stati che appartenevano all’Urss, con i quali abbiamo percorso un lungo tratto di strada in comune.
Purtroppo, ci scontriamo con il fatto che le generazioni odierne spesso dimenticano i passaggi storici, anche dopo soli dieci anni.
E per chi non fu parte dell’Urss?
CIUBARIAN: Vale lo stesso approccio. Con la Polonia abbiamo tradizioni storiche comuni, con i cechi non vi sono nella storia esempi di guerre e di confronti, con la Bulgaria c’erano relazioni amichevoli. La Russia non ha problemi a riconoscere in questi Paesi dei membri dell’Ue e contemporaneamente dei suoi buoni vicini. Un esempio è la Germania che, nonostante nel XX secolo sia stata davvero un nemico, oggi, stando ai sondaggi, è percorsa da sentimenti popolari spesso più favorevoli alla Russia che ad altri Stati dell’Europa occidentale!
Il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa è stato seguito a Mosca?
CIUBARIAN: Circa vent’anni fa ho scritto il mio primo libro intitolato L’idea europea nella storia: lo sguardo di Mosca. Mi sembrava allora lampante l’influenza del cristianesimo in Europa. Oggi occorre prendere onestamente atto del perché di tanta opposizione su questo punto durante i lavori sulla Costituzione europea presieduta da Giscard d’Estaing. La situazione nell’Europa occidentale si è molto complicata. Il cristianesimo resta un valore storico, ma nella quotidianità di vari Paesi europei coesistono ormai diverse religioni: in Francia vivono milioni di musulmani, così in Germania.
Questo tema si lega per noi, cittadini russi, all’interrogativo: la Russia è parte dell’Europa? Non è un dibattito nuovo: se ne discuteva già nel XIX secolo. La Russia, naturalmente, ha la sua vita e la sua identità, a volte molto diversa da quella europea. Non c’è dubbio che siamo un grande Paese-ponte tra l’Europa e l’Asia. Nel nostro territorio abitano circa venti milioni di cittadini che confessano l’islam. Milioni di abitanti della Siberia e dell’Estremo Oriente russo vivono lontano dall’Europa. Una volta venne nel nostro Istituto l’ambasciatore italiano a Mosca per esporre una relazione su “La Russia nell’Europa”. Reduce da un viaggio in Estremo Oriente lui disse: «Ho visitato Vladivostok e ho trovato che tra gli abitanti dell’Estremo Oriente ci sono europei che vivono in Asia».
Il summit della Comunità economica eurasiatica e il Trattato di sicurezza collettiva presieduto dalla Russia, Astana (Kazakistan), 18 giugno 2004

Il summit della Comunità economica eurasiatica e il Trattato di sicurezza collettiva presieduto dalla Russia, Astana (Kazakistan), 18 giugno 2004

Dunque su cosa si basa l’europeismo russo?
CIUBARIAN: Dal mio punto di vista, non si basa solo sul cristianesimo, ma sulla necessità di aderire ai valori europei della democrazia, dell’economia di mercato, dei diritti umani. Per quanto riguarda i valori cristiani, anche oggi possono servire allo scopo di conservare la pace tra i popoli, predicare il bene e la non violenza.
Di questi tempi in Russia è assai vivace la discussione sull’insegnamento della religione nelle scuole. Nel nostro Istituto prepariamo un manuale sulle religioni mondiali, per spiegare ai ragazzi la storia e la natura delle diverse fedi, prestando ovviamente più attenzione all’ortodossia. La tolleranza è per me il più grande valore che oggi in Europa e in Russia la religione cristiana ci dona. Ora il compito principale in Russia – e per questo ci si deve servire anche dell’insegnamento della religione nella scuola – è il consolidamento della società attorno ad alcuni principi.
Mi lasci concludere così: sono ottimista, sono certo che abbiamo scelto la via democratica e che non faremo passi indietro. Sono assolutamente sicuro che anche il presidente Putin vuole uno Stato democratico e, come lui ha già detto, «vicino alla civiltà europea».
Lei era a Roma quando il coro dell’Armata russa ha cantato in Vaticano per celebrare i ventisei anni del pontificato di Giovanni Paolo II…
CIUBARIAN: Una tv russa ha aperto con un servizio su questo evento. Questo ensemble è un gruppo di danza molto noto già ai tempi dei soviet. È ovvio che dire “l’Armata russa in Vaticano” ha un doppio senso politico-ecclesiastico, e che questo in linea di principio è un buon segno del miglioramento delle relazioni con Mosca.
Se ciò, poi, significa che il Papa potrà andare a Mosca, non lo so. È noto come stiano realmente le cose.


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