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LETTERATURA
tratto dal n. 03 - 2011

Tra Dante e Agostino.

Storia di un’amicizia


Il professor Massimo Castoldi, filologo dell’Università Statale di Milano, ha studiato il carteggio tra Giovanni Pascoli e padre Giovanni Semeria. Intervista


Intervista a Massimo Castoldi di Paolo Mattei


Giovanni Pascoli  nel giardino  della sua casa  a Castelvecchio [© PP. Barnabiti]

Giovanni Pascoli nel giardino della sua casa a Castelvecchio [© PP. Barnabiti]

«Ricordi il lettore che a spiegare Dante basta sovente il catechismo». Quando padre Giovanni Semeria lesse questa frase di Giovanni Pascoli su una pagina del Marzocco del luglio 1902, fu molto contento. Il sacerdote barnabita era stato protagonista a Palermo, qualche mese prima, in Quaresima, di una conferenza in cui aveva ampiamente citato lo scrittore romagnolo, leggendone alcune poesie, da Myricae e dai Poemetti, pervase, a suo modo di “sentire”, da una «generosità tutta cristiana di perdono». Quei versi potevano rappresentare l’occasione privilegiata per l’inizio di una amicizia fra il prete e il poeta.
Fu invece proprio sotto il cielo di Dante che i due si incontrarono. Innanzitutto scrivendosi delle lettere.
Attraverso tale carteggio, che conosciamo solo in parte, il professor Massimo Castoldi, filologo, docente all’Università Statale di Milano, ha seguito le tracce di questo singolare rapporto – naturalmente non solo epistolare, ma sostanziato negli anni da alcuni incontri diretti fra il poeta, a quel tempo inviso a gran parte dell’intellighenzia cattolica per il suo socialismo utopistico, e il barnabita, dal 1984 servo di Dio ma all’epoca sospettato di modernismo – e ne ha raccontato la storia in un saggio intitolato Le «ali novelle» del cristianesimo. Nota sui rapporti tra Pascoli e Semeria, contenuto nella miscellanea Lo studio, i libri e le dolcezze domestiche. In memoria di Clemente Mazzotta (Fiorini, Verona 2010, pp. 620-649).
Gli abbiamo posto alcune domande.

C’è quindi anche Dante all’inizio di questa amicizia…
MASSIMO CASTOLDI: Direi di sì. Il Sommo Poeta era amatissimo da entrambi.
Pascoli, nel 1903, al tempo cioè della prima lettera che lei cita nel saggio, aveva già pubblicato i suoi scritti fondamentali di critica dantesca.
Tra il 1898 e il 1902 aveva dato alla stampa Minerva oscura, Sotto il velame e La mirabile visione. Aveva già dato modo ad alcuni studiosi, tra i quali D’Ovidio e Carducci, di esprimere le loro riserve critiche su queste opere, nella prospettiva d’un’erudizione storicistica e positivista allora dominante.
Padre Semeria invece apprezzava il dantismo pascoliano…
Tanto da precorrere i tempi, visto che le opere di critica dantesca del poeta di San Mauro sono state rivalutate dalla critica più recente.
In che modo Pascoli leggeva la Commedia?
Il poema e la vita stessa di Dante erano da lui osservati come un percorso unico. La Divina Commedia è, secondo Pascoli, un poema mistico cristiano, la cui genesi non è riducibile esclusivamente alle movenze storiche del contesto in cui fu composta. Il suo contenuto è sempre attuale, non è uno spaccato in endecasillabi di storia medievale. Non va trattato, lo spiegava lui stesso, come si trattano le «rovine». Per Pascoli il tema del poema è, come evidenziò il medesimo Semeria, «la redenzione dell’umanità». Ecco perché il sacerdote ligure, che, è bene ricordarlo, fu il primo grande sostenitore e difensore a tutto campo del dantismo pascoliano nei confronti delle schematizzazioni storicistiche e positiviste, rimase contento quando gli capitò di leggere quell’accenno del poeta secondo cui «a spiegare Dante basta sovente il catechismo».
Si può dire che Pascoli segua le orme di Dante e, una volta tornato a riveder le stelle, descriva ciò che lui stesso ha visto e udito nel viaggio?
Sì, e va anche detto che, spesso, la sua identificazione con Dante è talmente stringente che le due figure rischiano di confondersi.
C’è anche una “lettura agostiniana” della Commedia proposta da Pascoli…
Agostino assume un’importanza via via crescente negli studi danteschi di Pascoli. Viene citato già, con riferimento al De civitate Dei, nella Minerva oscura. Nelle pagine di Sotto il velame, è il libro XXII del Contra Faustum a essere considerato la fonte principale del poema dantesco. In quel saggio Pascoli analizza la Commedia come rappresentazione del cammino del pellegrino dalla vita attiva alla vita contemplativa. E guarda a Beatrice come alla «Speranza della contemplazione di Dio».
Anche le Confessioni entrano a un certo punto a improntare la critica dantesca di Pascoli…
Nella Mirabile visione il poeta tiene particolarmente in considerazione i primi due libri dell’“autobiografia” agostiniana. E trova corrispondenze tra la vita dell’esule fiorentino e quella di Agostino. Naturalmente in controluce si intravvede un’altra corrispondenza: quella tra le vite di Agostino e Dante e l’esistenza di Pascoli. Parlando di loro, egli vorrebbe parlare di sé.
Professore, torniamo all’amicizia fra il poeta e il prete.
Dopo la lettura del Marzocco, padre Semeria vorrebbe invitare Pascoli a Genova a tenere una conferenza sul XXIII dell’Inferno. Ma Pascoli, in una lettera del novembre 1903, si scusa e fa sapere che molto probabilmente non sarebbe riuscito ad accontentarlo. In effetti, anche dopo altri inviti, Pascoli non accontenterà mai Semeria.
Che, comunque, non s’indispettisce…
No. Anzi, continua a difendere pubblicamente il poeta.
In che modo?
Per esempio, dopo la pubblicazione, nel 1904, dei Poemi conviviali, aspramente criticati dalla Civiltà Cattolica, che ebbe a definire Pascoli spettatore distaccato della religione e privo di fiducia in ogni forma di vita ultraterrena, Semeria terminò una conferenza genovese citando proprio alcuni versi di quella raccolta, tratti dalla Buona novella.

Giovanni Semeria, giovane chierico <BR>[© PP. Barnabiti]

Giovanni Semeria, giovane chierico
[© PP. Barnabiti]

Alla fine fu il sacerdote a muoversi per incontrare personalmente il poeta.
Il giorno di Pasqua del 1905, 23 aprile, Semeria andò a Castelvecchio. I due cenarono insieme e insieme trascorsero la serata. Il religioso avrebbe ricordato l’incontro in un articolo sul Momento di Torino di qualche giorno dopo. Parlò di quel «socialista cristiano» il cui pessimismo sulla cattiveria dell’uomo non gli impediva di intuire la bontà del creato. «Il Pascoli», concludeva in quello scritto, «chiamando buona la natura, la divinità inconsciamente confessa».
Nessuna “conversione”, naturalmente…
No. Piuttosto un dialogo, nel quale venivano favoriti i punti di convergenza. Pascoli rimase il socialista che guardava con grande simpatia al cristianesimo. Guardava con grande ammirazione al senso di carità che informava certe vite cristiane. Semeria sapeva che la carità cristiana è un dono. E proprio per questo considerava – con umiltà, e anche lui con grande simpatia – buone le intuizioni di Pascoli, fiorite in una vicenda diversa dalla sua, una storia complessa alla cui origine c’è lo studio della cultura classica.
Quella sera si parlò anche del vescovo Geremia Bonomelli.
Si accordarono sulla conferenza, intitolata La messa d’oro, che il successivo 14 maggio Pascoli avrebbe tenuto al teatro Verdi di Pisa per il cinquantenario dell’ordinazione sacerdotale del vescovo di Cremona.
Semeria ne fu contento?
Molto, stando alle parole di una sua lettera inviata qualche giorno dopo allo stesso vescovo, nella quale si dichiara felice di aver «un pochino cooperato» col poeta. E aggiunge: «Oh, se il cristianesimo tornasse ad essere una gran carità, quante anime attirerebbe ancora a Sé e condurrebbe a Dio! Mi pare che per una Sua festa avrebbe gradito assai più l’omaggio di Pascoli-gentile che quello dei farisei e anche dei vari giusti. Dio ce lo conservi molti anni, monsignore: è il voto fervido di questo suo umile discepolo e figlio».
Si incontrarono ancora il prete e il poeta?
Sì, sebbene Pascoli continuasse a evitare di tenere le conferenze dantesche che il religioso gli proponeva. Anzi: la situazione si rovesciò, e fu Semeria, invitato da Pascoli, a parlare un paio di volte pubblicamente a Barga, dove viveva lo scrittore.
E continuarono a scriversi?
Per quello che ne sappiamo – si conoscono nove lettere di Pascoli e ventidue di Semeria, tra edite e inedite – sì. Certamente il loro carteggio durò almeno fino al 1909. Si confrontavano anche sugli argomenti del loro maggiore dissenso. In una missiva del 1906, Pascoli, parlando di fede e scienza, si domanda: «Come credere che per un pianetino così insignificante, si siano fatte tante cose grandi e uniche? […] Soltanto per noi Dio si è fatto carne?».
Pascoli morì nel 1912, e Semeria non riuscì a essere presente nei momenti dell’agonia del suo amico…
Si rammaricò molto di non averlo potuto assistere.
C’è possibilità di recuperare altre lettere dei due?
Lo spero molto. Spero si faccia vivo chi ne ha notizia. Le lettere di Pascoli al sacerdote sono “disperse” perché Semeria viaggiava molto e non aveva un archivio personale. Magari, dopo averle lette, le regalava, perché aveva quest’indole, non conservava niente. Una crux, per uno come me che per mestiere fa il filologo…



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