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NEOLIBERISMO E POVERTA'
tratto dal n. 06 - 2002

CUBA. Parla il ministro degli Esteri: il crescente divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri

L’insostenibile saccheggio


«L’attuale situazione nel mondo non solo è profondamente ingiusta ma è anche insostenibile. Se continua così, anche i Paesi più sviluppati subiranno le conseguenze del fallimento del sistema neoliberista». Intervista con Felipe Pérez Roque, che parla anche dei rapporti tra Cuba e Usa, della Russia associata alla Nato, della guerra al terrorismo


di Roberto Rotondo


«L’attuale ordine economico mondiale è come il Titanic. In terza classe si fa la fame e si soffre, mentre in prima i ricchi hanno tutto ciò che vogliono, convinti che non gli possa accadere nulla di male. Invece affonderanno anche loro con la nave». Felipe Pérez Roque, ministro degli Esteri cubano dal 2000, non potrebbe essere più categorico nel fare un quadro alla fine del deludente summit di giugno della Fao a Roma. Pérez Roque, trentasei anni, fa parte di quella generazione di enfant prodige a cui Castro sta affidando ruoli chiave nel Paese, scavalcando più di una generazione di dirigenti cubani. Una strategia, che, al di là delle ragioni del presidente Castro, fa apparire el blocheo Usa ancora di più un ferrovecchio del passato e un insulto all’intelligenza. Pérez Roque, che ha in particolare il compito di curare i difficili rapporti con gli States, ne è l’esempio migliore: non era ancora nato ai tempi della rivoluzione castrista del ’59, e anche la crisi del ’62, quella dei missili sovietici installati a Cuba, l’ha letta sui libri di storia. E, quando il sistema dei Paesi comunisti nell’Est europeo è crollato, era solo uno studente universitario. Insomma non ha certo l’età, il curriculum e la storia di un reduce della guerra fredda.

Due ragazzi poveri rovistano tra i rifiuti di una discarica di Tegucigalpa in Honduras

Due ragazzi poveri rovistano tra i rifiuti di una discarica di Tegucigalpa in Honduras

Fidel Castro a Monterrey ha affermato che l’attuale ordine economico costituisce un sistema di saccheggio e di sfruttamento come nessun altro ordine nella storia è mai stato. Inoltre ha anche attaccato la finanza speculativa internazionale, citando delleýrecenti analisi che dimostrano che per ogni dollaro destinato al commercio ne sono impiegati cento in operazioni speculative totalmente scollegate dall’economia reale. Quali sono gli interventi più urgenti che secondo Cuba devono essere fatti per frenare questo saccheggio?
FELIPE PÉREZ ROQUE: Vorrei prima ribadire che l’attuale situazione nel mondo non solo è profondamente ingiusta, non solo tende ad aumentare il divario tra poveri e ricchi, ma è anche insostenibile. Non facciamoci illusioni. Se continua così finiranno per soffrire anche i Paesi più sviluppati, che oggi traggono benefici da questo ordine economico e pensano che i problemi siano solo degli altri.
Ma cosa è possibile fare? Primo, bisogna cercare una soluzione al debito estero dei Paesi poveri che oggi è il principale meccanismo con cui vengono saccheggiati. In questi ultimi dieci anni i Paesi del terzo mondo, pur avendo restituito il doppio di quanto avevano ricevuto, devono ancora ai Paesi ricchi cifre ben maggiori del prestito iniziale. È assurdo. Secondo, bisogna garantire ai Paesi poveri l’accesso ai mercati dei Paesi ricchi. Oggi si parla tanto di globalizzazione economica e di libera circolazione delle merci, ma solo quando un Paese ricco deve vendere i suoi prodotti. Allora si esige il mercato libero. Ma quando i Paesi poveri chiedono di poter accedere ai mercati che contano, la porta viene loro chiusa in faccia sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea, mediante dazi doganali, o finanziamenti alla produzione locale. Questo non è un commercio libero. E tanto meno equo. Come si può pensare che lo sia quando Paesi che basano la propria produzione su povere, piccole imprese familiari devono competere con le multinazionali? Terzo, bisogna garantire ai Paesi poveri l’accesso alle tecnologie e alla conoscenza. Nove brevetti su dieci sono oggi in mano alle multinazionali. Inoltre deve cessare il furto di cervelli. I Paesi ricchi reclutano nei Paesi poveri, offrendo stipendi migliori, ingegneri informatici, medici, personale specializzato ed anche infermieri e maestri elementari. I Paesi poveri non sanno come sostituire questa forza lavoro. Quarto, è necessario riformare il sistema finanziario internazionale che permette oggi una speculazione di tremila miliardi di dollari al giorno. Per questo Cuba appoggia l’istituzione della Tobin tax, un’imposta sulle transazioni finanziarie, e propone di darne il ricavato alle Nazioni Unite. Questa piccola imposta frutterebbe mille miliardi di dollari all’anno che, al servizio delle Nazioni Unite, stimolerebbero lo sviluppo. L’Onu, infatti, non va accantonata ma va riformata e rilanciata perché rappresenta la possibilità di affrontare i problemi in modo multilaterale, il solo che può dare stabilità. Non come gli Usa che agiscono sempre unilateralmente. Inoltre c’è da affrontare urgentemente la piaga dell’Aids in Africa. Ventotto milioni di persone sono malate e rischiano di sparire Paesi interi. Infine, bisogna proteggere l’ambiente anche se gli Stati Uniti si sono ritirati dal protocollo di Kyoto, e bisogna riformare l’attuale modello di consumo. Questo è il programma minimo che Cuba propone per uscire dall’attuale situazione.
Anche alcuni Paesi sviluppati sono alle prese con crisi terribili. È il caso dell’Argentina. Quanto dell’attuale disastrosa situazione economica di questo gigante dell’America Latina è frutto di politiche interne sbagliate e quanto dell’applicazione alla lettera di un neocapitalismo ultraliberista, basato più sulle speculazioni finanziarie che sulla produzione e sul lavoro?
ROQUE: Sono contrario a quanti sostengono che quello che è successo è colpa degli argentini. L’Argentina è la prova più eclatante del fallimento del sistema neoliberista. La responsabilità di quello che è successo ricade sul Fondo monetario internazionale, sul governo di Menem che ha applicato disciplinatamente tutte le ricette del Fondo monetario e sul governo degli Stati Uniti che in quegli anni ha favorito l’imposizione del modello ultraliberista. Gli argentini hanno privatizzato tutto quello che c’era da privatizzare, senza fare distinzioni tra imprese, strade o cimiteri. Hanno adottato la parità di cambio tra moneta nazionale e dollaro. Hanno aperto il mercato argentino senza nessuna garanzia. Hanno fatto tutto quello che hanno detto loro di fare. Hanno ridotto il peso dello Stato fino a perdere la loro stessa sovranità. In cambio l’Argentina non ha avuto 0la possibilità di entrare in nuovi mercati e abbiamo assistito al paradosso di un Paese, grande esportatore di prodotti alimentari, i cui cittadini assaltano i supermercati per poter rubare un po’ di cibo per i figli. La situazione dell’Argentina è la prova che il sistema neoliberista è un fiasco, che deve essere cambiato e deve essere sostituito da un sistema in cui lo Stato abbia un ruolo e non sia lasciato tutto alla autoregolamentazione del mercato. In questo condivido le critiche che ha fatto il Santo Padre all’imposizione dogmatica di modelli economici che hanno portato più povertà nel mondo. Ascoltiamo con rispetto e simpatia gli appelli fatti da Giovanni Paolo II per combattere la disuguaglianza crescente.
L’America Latina vive un periodo di crisi economica e, in alcuni casi, anche politica. Il fallito colpo di Stato contro il presidente Chávez in Venezuela, ad esempio, è suonato come un campanello d’allarme sul possibile ritorno ai tempi delle dittature militari...
ROQUE: In America Latina c’è una situazione di grande instabilità. La situazione sociale è insostenibile ed è sul punto di scoppiare. E come potrebbe essere altrimenti con metà della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà, con governi che non possono realizzare i loro programmi, e sono costretti a fare esattamente il contrario di quanto promesso durante la campagna elettorale, perché devono tagliare ulteriormente la spesa pubblica e destinare più della metà del loro bilancio per pagare il debito estero?
Però, quello che è accaduto in Venezuela è stato un caso particolare. Perché lì c’è stato un colpo di Stato nato da una cospirazione a cui hanno partecipato settori nazionali venezuelani, ricchi imprenditori, parte dei mezzi di comunicazione, alcuni settori militari, con un evidente appoggio straniero. E hanno fatto un colpo di Stato né più né meno. Mi ha colpito come in un periodo in cui in America Latina si parla tanto di democrazia, di rispetto della governabilità, di diritti umani, in un periodo in cui gli Stati Uniti non appoggiano più le dittature militari come facevano negli anni Ottanta – dittature militari che hanno fatto sparire e hanno assassinato migliaia di persone, compresi sacerdoti – il governo degli Usa abbia avuto una posizione di connivenza con i golpisti venezuelani. Quando la situazione è cambiata hanno fatto marcia indietro, ma è chiaro che gli Stati Uniti, quando serve ai loro interessi, sono disposti ad appoggiare un colpo di Stato e una dittatura.
Cuba è accusata dai falchi dell’amministrazione Usa di produrre armi batteriologiche e qualcuno vuole ancora iscrivere il vostro Paese nell’elenco degli Stati affiliati al terrorismo. Ma, dall’altra parte, l’ex presidente Usa Carter a maggio ha visitato l’isola, ha incontrato Castro e ha smentito ogni favola sulle presunte armi di distruzione di massa, ricevendo il plauso di tutta quella parte del suo Paese che pensa sia arrivata l’ora di normalizzare i rapporti con Cuba. Cosa pensate di tutto questo?
ROQUE: La visita di Carter è una prova del crescente interesse, in ampi settori della popolazione nordamericana, affinché cambi la politica Usa verso Cuba. Oggi la maggioranza del popolo nordamericano vuole realmente che venga tolto l’embargo. Anche la maggioranza dei cubani che vive negli Stati Uniti desidera che la politica dell’embargo finisca, perché limita le possibilità di comunicare con i familiari che ancora vivono nell’isola. Le Chiese cristiane nordamericane, sia la Chiesa cattolica e la sua gerarchia sia le Chiese protestanti, sono contrarie all’embargo. E lo hanno affermato reiteratamente. Inoltre, la stampa nordamericana, molti settori industriali, la lobby agricola, entrambe le Camere del Congresso si sono espresse a favore della normalizzazione delle relazioni con Cuba. Però oggi la politica nordamericana è ancora ostaggio del peso elettorale della lobby dell’estrema destra cubana dello Stato della Florida che, con un pugno di voti e pur non rappresentando la maggioranza dell’emigrazione cubana negli Stati Uniti, riesce a tenere tutto fermo.
È per questo che si accusa Cuba di fabbricare armi biologiche o la si include nella lista dei Paesi terroristi o che favoriscono il terrorismo. Cose a cui nessuno crede ma che servono a mantenere in piedi l’embargo. In questo contesto la visita di Carter ha rappresentato una ventata di aria fresca, una conferma dei reali sentimenti della società nordamericana. Carter è un uomo con convinzioni religiose, un uomo che ha un’autorità morale, ed è rispettato dai cubani. Da noi ha potuto liberamente esprimere le sue opinioni, visitare l’isola, riunirsi con chi ha voluto. Ha affermato che bisogna togliere l’embargo e che gli Stati Uniti devono fare il primo passo. Ma Bush, che ha il problema della rielezione del fratello a governatore della Florida, ha preso le distanze da Carter…
Fidel Castro con l’ex presidente Usa Jimmy Carter all’aeroporto dell’Avana il 17 maggio scorso

Fidel Castro con l’ex presidente Usa Jimmy Carter all’aeroporto dell’Avana il 17 maggio scorso

Eppure l’amministrazione Bush, imprigionando i terroristi di Al Qaeda nella base di Guantanamo, in territorio cubano, ha indirettamente lanciato a Cuba un messaggio di fiducia. Infatti non sarebbe stato ragionevole rinchiudere prigionieri così importanti, in un momento così delicato, in casa di un governo che viene ritenuto davvero nemico…
ROQUE: Nessuno negli Stati Uniti crede davvero che favoriamo il terrorismo. Anzi, tutti sanno che Cuba è stata vittima del terrorismo. Terrorismo che a volte si è finanziato ed organizzato nello stesso territorio nordamericano. Come possono accusare noi di contiguità con gruppi come Al Qaeda, quando ai tempi dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan Osama Bin Laden era un uomo legato alla Cia, e riceveva finanziamenti per organizzare gruppi di combattenti che facessero la guerra santa ai comunisti? Cuba non ha mai avuto rapporti con nessuna di queste organizzazioni, e nemmeno in seguito con il governo talebano. Cuba ha continuato a riconoscere il precedente governo afghano, che, tra l’altro, votava alle Nazioni Unite contro l’embargo.
La caccia ai terroristi in Afghanistan si protrae, l’ipotesi che con l’autunno gli Usa possano attaccare anche l’Iraq si fa sempre più reale…
ROQUE: L’azione militare contro l’Iraq è un pericolo reale, diversi leader arabi con cui ho parlato al vertice Fao me l’hanno confermato, con preoccupazione e timore. Gli Stati Uniti hanno bisogno di trovare un altro nemico per prolungare la guerra, ma ritengo ingiustificata un’aggressione contro l’Iraq. Mi sembra che gli Stati Uniti non abbiano assolutamente nessuna ragione, nessun appoggio internazionale, né in Europa né nel mondo arabo, per scatenare unilateralmente una guerra contro l’Iraq.
Come giudica Cuba l’associazione della Russia alla Nato?
ROQUE: Quello che non capisco è come in questa epoca possa sopravvivere un dinosauro come la Nato. Mi sembra un organismo di un altro tempo, sopravvissuto ad un tempo lontanissimo da noi. Perché esiste la Nato? Da chi hanno bisogno di difendersi, da quale nemico? Non esiste più l’Urss, non esiste il Patto di Varsavia, non ci sono più truppe sovietiche in Europa.
Penso che la Russia abbia firmato uno status di associazione ad un’organizzazione che non ha motivo di esistere, il cui scioglimento dovrebbe essere deciso domani. Come si dovrebbe decidere di ridurre drasticamente i più di ottocento miliardi di dollari che vengono spesi ogni anno in eserciti e armamenti, dei quali la metà viene spesa dagli Stati Uniti. Quanto guadagnerebbe il mondo se parte dei finanziamenti destinati inutilmente alle armi fosse dirottata sullo sviluppo, sulla lotta alla povertà? La Fao ha detto che per eliminare 400 milioni di affamati entro il 2015 bisogna trovare 24mila milioni di dollari. Ma questa cifra, che per ridurre la fame è irraggiungibile, sicuramente non lo sarà per fabbricare nuovi strumenti di distruzione.
Condivido gli appelli del Papa per far diminuire le spese militari e impiegare quelle risorse per combattere la povertà e la fame. Non è giusto che in un’epoca di grande abbondanza, in cui l’uomo domina la tecnologia, vivano nel mondo 1.300 milioni di poveri. Quest’anno moriranno cinquecentomila donne di parto, quasi tutte nel terzo mondo, diventeranno ciechi per mancanza di vitamina A cinquecentomila bambini, e 11 milioni di bambini con meno di 5 anni moriranno di fame. Non è cristiano, non è moralmente giusto, soprattutto non ha senso.
Per Cuba si è parlato di resurrezione agli inizi del terzo millennio. È davvero finito il periodo di crisi seguito alla caduta dei Paesi comunisti in Europa?
ROQUE: Cuba è l’unico Paese in America Latina che soffre un embargo economico. Deve resistere alla pressione nordamericana, e fare ancora i conti con la legge Helms-Burton. Tuttavia, non essendo subordinata ai dettami del Fondo monetario internazionale e della Federal reserve, paradossalmente si è preservata dalle tempeste finanziarie che hanno mandato in crisi molti Paesi dell’America Latina.
Però, la crisi internazionale seguita all’11 settembre, ha comunque colpito Cuba. Il turismo ha subito un calo del 20 per cento, i prezzi dei nostri prodotti da esportazione (zucchero, nichel, tabacco) sono diminuiti e gli approvvigionamenti di petrolio sono diventati più difficili.
Siamo comunque riusciti a distribuire i costi della crisi, preservando i settori più vulnerabili della società cubana. Non ci siamo trovati a dover chiudere le scuole o a lasciare gli anziani abbandonati. Anzi, stiamo aumentando le pensioni e stiamo lavorando per avere non più di venti alunni in ogni classe della scuola primaria. Vogliamo dare ai cittadini più accesso possibile alla cultura, perché non ci può essere libertà se non c’è cultura. E non può esserci indipendenza ed esercizio dei diritti democratici se non si sa né leggere né scrivere, se non c’è una reale partecipazione. La democrazia non può essere ridotta al mero votare una volta ogni quattro anni un candidato probabilmente espressione di un compromesso politico. Insomma, siamo ottimisti rispetto al futuro.


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