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INDIA
tratto dal n. 03 - 2005

Testimonianze

Visitando i poveri di Madre Teresa


Il superiore dei Missionari della Carità Contemplativi racconta un viaggio nell’India della Beata di Calcutta


di padre Sebastian Vazhakala M. C.


Padre Sebastian Vazhakala

Padre Sebastian Vazhakala

È chiamato “Deepashram”, che significa “dimora di luce”, ed è a circa quindici chilometri a sud dell’aeroporto internazionale di New Delhi. Vi abitano e lavorano i Missionari della Carità Contemplativi del distretto di Gurgaon (nello Stato di Haryana), e vi accudiscono circa settanta ragazzi handicappati e orfani. Qui ha soggiornato all’inizio il gruppo di trenta persone – tutte italiane – che ho accompagnato, per la prima volta, in un pellegrinaggio in India lo scorso inverno, desideroso di condividere con loro i luoghi della beata Madre Teresa di Calcutta.
Raccontare oggi questo viaggio aiuta me e i miei amici pellegrini a ricordare quell’esperienza con gratitudine, a condividerla, a dare magari qualche informazione utile a chi vorrà visitare quegli stessi luoghi in India, e, infine, incoraggia a fare qualcosa di bello per chi è stato meno fortunato. Essere povero, miserabile, poteva accadere a chiunque di noi, se Dio non ci avesse dato la possibilità di nascere dove siamo nati e di vivere dove viviamo. Dio ha scelto per noi. Siamo grati al Signore e aiutiamo i nostri fratelli e sorelle che vivono e muoiono in povertà e fame. Le opere parlano più delle parole. «Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia» (Sal 136, 1).

«Anche lei stava andando
via senza salutarmi»
A Deepashram abbiamo trascorso cinque giorni. Appena usciti dall’aeroporto, ciascuno di noi è stato ricevuto calorosamente dai miei confratelli e dai Missionari laici con una ghirlanda di fiori freschi, e ho viva l’immagine dell’accoglienza commovente che ci hanno riservato i nostri ragazzi handicappati.
Ogni giorno siamo sempre stati fedeli alla recita delle ore e alla messa. Durante la nostra permanenza abbiamo visitato le Suore Missionarie della Carità di Merhauli (New Delhi). Lì, era di domenica, mentre stavamo per andare via, una di loro mi ha chiamato e mi ha condotto da una ragazza, pregandomi di parlarle perché si rifiutava di mangiare. Aveva un’aria triste e depressa. Mi sono avvicinato, ma lei sulle prime non voleva dire nulla e nemmeno ascoltarmi. Perché era così triste? Aveva quindici anni ed era cieca. Si sentiva offesa, ammise subito dopo, perché quella mattina nessuno aveva avuto tempo per lei, tutti erano indaffarati con noi pellegrini. Mi disse che è terribile sentirsi soli, non avere genitori, fratelli e sorelle, non avere nessuno a cui appartenere. Ma io ero venuto a trovarla e a parlarle, affermai. Mi rispose: «Anche lei stava andando via senza nemmeno salutarmi». Ed era vero, perché non la conoscevo, e se le suore non me lo avessero chiesto non l’avrei mai incontrata. Mi sentii provocato, colpevole. Madre Teresa era solita dirci che «la malattia più terribile oggi non è la lebbra o la tubercolosi, ma piuttosto il sentirsi non voluto, trascurato e abbandonato da tutti». E la ragazza apparteneva a questa categoria, specialmente quella mattina. Ringrazio il Signore perché, a ogni modo, alla fine del nostro incontro lei fu contenta e prese il suo pranzo.A Deepashram il gruppo ha trascorso molto tempo con i nostri ragazzi orfani e handicappati: li hanno aiutati a lavarsi e a vestirsi, altri hanno dipinto una parte del dormitorio, altri ancora si sono divertiti a giocare con loro. C’è stata tanta allegria e gioia. Abbiamo anche visitato lo “Shantinagar”, un appezzamento di terra che dovrà diventare un centro di riabilitazione per i nostri ragazzi di Deepashram. Tutti sono stati contenti di vedere il luogo, e vogliono partecipare a far sorgere il centro quando sarà il momento.Il sesto giorno, dopo la santa messa di ringraziamento con l’intera comunità di Deepashram e altro tempo speso in compagnia dei nostri ragazzi, ci siamo diretti all’aeroporto nazionale di New Delhi, direzione Calcutta. È stato difficile lasciare Deepashram. La separazione dalle affettuose premure familiari ci riempie gli occhi di lacrime di gioia e di tristezza allo stesso tempo. La vita è un susseguirsi di arrivi e di partenze e la strada può essere buia e faticosa, ma possiamo sempre trovare una stella che ci guidi, se rimaniamo aperti, umili e obbedienti.

Un murale dedicato a Madre Teresa

Un murale dedicato a Madre Teresa

Calcutta
Il nostro primo giorno a Calcutta (abbiamo alloggiato cinque giorni a “Neetika”, la casa provinciale dei Salesiani) era il primo venerdì del mese di novembre, il giorno dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Da ragazza la beata Teresa ebbe una devozione tutta speciale al Sacro Cuore di Gesù. Il 24 luglio 1967, ella scriveva a P. Neuner S.J., il suo direttore spirituale: «Fin dalla fanciullezza il Cuore di Gesù è stato il mio primo amore. Ogni venerdì è la festa del Sacro Cuore per me. Io amo la messa del Sacro Cuore, perché le parole dell’offertorio riecheggiano le parole del 10 settembre [il giorno del 1946 che Madre Teresa ha indicato come quello della sua vocazione definitiva, ndr]: “Farai questo per me?”. Le Missionarie della Carità sono la Sua opera. Ho accettato di farlo solo per Lui. Ho cercato di seguire i Suoi piani alla lettera».
Siamo arrivati alla casa madre molto prima delle ore 6.00 e siamo andati direttamente nella cappella, affollata di suore, volontari, Missionari laici e visitatori. Ho detto la messa del Sacro Cuore (anche se le suore avevano scritto sulla lavagna «santa messa in ringraziamento per padre Sebastian e i Missionari laici della Carità»…). E quel mattino è stato come se la nostra amata Madre Teresa fosse lì con noi. Le suore ci hanno permesso subito dopo di entrare a piccoli gruppi nella stanza dove lei visse dal 1954 al 1997 e dove offrì una volta per sempre la sua anima a Dio quel primo venerdì del mese, 5 settembre 1997. Stare lì fu un grande privilegio, e tutti noi pellegrini siamo stati grati al Signore e alle suore per esserci potuti fermare a lungo in cappella, pregare dove la nostra Madre ha pregato per anni, deporre lì le nostre pene e sofferenze, rinnovare il desiderio e la decisione di fare cose ordinarie con amore straordinario, e di fiorire dove siamo stati chiamati a vivere e a lavorare. C’è stato anche abbastanza tempo per sostare alla tomba di Madre Teresa, dove riposano i suoi resti in attesa della risurrezione del corpo. La visita alla sua piccola stanza ci ha fatto capire come visse la sua vita religiosa e la vocazione, come fece propria la povertà dei poveri, la loro semplicità e lo spirito di sacrificio. La casa madre è stata per noi una scuola di carità, di servizio amoroso e di intensa e ardente preghiera.Nella tarda mattinata siamo andati tutti a salutare i Fratelli Missionari della Carità in Mansatala Row, a Kidderpore. Lungo la strada abbiamo visitato la chiesa di Sant’Ignazio, in Elkapore, dove trentatré anni fa sono stato ordinato.

Dove Madre Teresa
visse da sola
Il secondo giorno a Calcutta abbiamo lasciato la casa alle otto e trenta, diretti alla parrocchia di Santa Teresa d’Avila, dove Madre Teresa era solita frequentare la messa, quando viveva con il primo gruppo di suore in Creek Lane 14. Dalla chiesa parrocchiale siamo poi andati proprio alla casa di Creek Lane. Lì Madre Teresa visse da sola fino al 19 marzo 1949 e lì si raccolse il primo gruppo di suore. C’era emozione nel vedere il primo cenacolo dove la stupenda congregazione delle Missionarie della Carità nacque, venne eretta canonicamente e dove le prime dodici ragazze offrirono al Signore la loro vita e il loro lavoro, gratuito e di tutto cuore. Qui le prime Missionarie della Carità abitarono fino al 1954, quando assieme a Madre Teresa si trasferirono nell’attuale casa madre.
Quel giorno abbiamo visitato “Titagarh”, il centro di accoglienza dei lebbrosi, 30 chilometri a nord di Calcutta. È stato commovente vedere più di cento lebbrosi al telaio nel reparto tessitura; iniziano dalla materia prima per arrivare alla tessitura di sari e di lenzuola per le suore e di stoffe per bende e fasciature. Altri fanno scarpe, sandali e persino arti artificiali. Un’altra sezione è destinata alle loro famiglie; abbiamo anche visto le classi dei bambini dei lebbrosi, tenute da volontari. Alcuni di noi hanno visitato i reparti dei malati. Prima di ripartire abbiamo pregato insieme.Terzo giorno a Calcutta. Come sempre, preghiera delle Lodi insieme. Dona sempre gioia e forza pregare insieme, e la famiglia che prega insieme rimane unita.
Nirmal Hriday,
Cuore Immacolato
Dopo colazione siamo partiti per “Nirmal Hriday” (“Cuore Immacolato”), la casa dei moribondi. Arrivati, la prima cosa che abbiamo fatto è stato salutare tutti.
Poi sono andato a vedere il registro: il numero totale delle persone che sono state accolte fino a quel mattino era di 80.673. La casa dei moribondi è nata il 22 agosto 1952, festa del Cuore Immacolato di Maria. Da allora è la casa del servizio amoroso, dove molte persone raccolte dalla strada sono morte come angeli, assistiti con amore e premurose cure. Agli occhi di Dio siamo tutti poveramente uguali. Ciò che rende grandi non è il luogo di nascita o lo stato sociale, ma come si vive in amoroso servizio, consapevoli che siamo servi inutili e indegni (cfr. Lc 17, 7-10). A volte non riusciamo nemmeno a compiere i nostri doveri quotidiani: non dovremmo mai servire qualcuno con un’aria di superiorità. Dobbiamo imparare a servire coloro che vivono e muoiono di povertà e fame gentilmente e in umiltà. Ecco perché preghiamo ogni giorno: «Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli in tutto il mondo». Dobbiamo essere consapevoli che noi non siamo degni di servirli, perciò dobbiamo chiedere al Signore di renderci tali. La casa per i moribondi è una grande testimonianza, per farci riflettere e rinnovare la nostra vita. Quante persone sono cambiate dopo averla vista. Non si può più rimanere attaccati al proprio modo di vita e ai propri atteggiamenti quando si va a Nirmal Hriday.Dopo la messa molti hanno cercato di servire le persone ricoverate, specialmente imboccandole. È stata una giornata gioiosa e istruttiva. Tornati a casa ognuno ha recitato la preghiera dei Vespri personalmente, e dopo cena tutti si sono ritirati.È stata una gioia e un privilegio celebrare il giorno seguente la messa per i bambini dai vestiti variopinti di “Shishubavan”(che significa appunto, “Casa dei bambini”) e per le suore, che fanno le veci dei loro genitori. Mi sono ricordato quelle parole di Gesù: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli» (Mt 19, 14). Le suore ci hanno poi accompagnato nei vari reparti dei piccoli ospiti, di un’età che varia da una settimana fino ai quattro anni e più. Nella sala giochi, un gruppo di bambini, vestiti a festa, hanno cantato e ballato per noi. C’era un bimbo handicappato ancora in incubatrice. Le suore si prendono teneramente e nobilmente cura di tutti questi piccoli, deformi e anormali. A Shishubavan ci hanno insegnato, con l’esempio, le parole e le opere, la misericordia.
Alcuni orfani e handicappati a Deepashram, nel distretto di Gurgaon

Alcuni orfani e handicappati a Deepashram, nel distretto di Gurgaon


Il villaggio
della Divina Provvidenza
Dopo una nuova breve visita alla tomba di Madre Teresa, ci siamo diretti a sud di Calcutta, vicino a Baruipur, dove dei laici gestiscono “Antaragram”, il “villaggio dei malati mentali”. Il centro ospita stabilmente 250 pazienti e cura circa 300 esterni. Ci hanno suggerito di dividerci in piccoli gruppi per vedere meglio ogni cosa e non spaventare i pazienti, che in gran parte sono curati con una terapia di lavoro: cucito, maglieria, disegno e pittura, falegnameria, ecc. I giovani più qualificati, quando migliorano, lavorano al computer. E se i pazienti cominciano a stare meglio, vanno a casa e continuano la terapia ambulatorialmente. Chi non ha nessuno che si occupi di lui è accolto dalle Missionarie della Carità, con le quali Antaragram è in continuo contatto. I malati hanno anche la possibilità di pregare secondo la propria religione, siano essi indù, musulmani o cristiani (che sono forse una manciata…). Il personale è in maggior parte cristiano, mio nipote è il direttore e sua moglie è la responsabile del reparto medico. Il fondatore ci ha raccontato di quanto Antaragram si fondi sull’amore di Dio e del prossimo, con parole che hanno toccato il cuore. Ha anche parlato della Divina Provvidenza, essendo quella un’organizzazione di carità senza scopo di lucro. Dio ascolta il grido del povero, benedetto sia Dio.
A Calcutta siamo ritornati tutti per la preghiera dei Vespri e per la cena. La giornata era stata lunga, forse faticosa, ma c’era stato così tanto da imparare e da ringraziare Dio. C’è povertà, miseria e dolore, ma c’è anche servizio amoroso e carità eroica, e dunque gioia e speranza. Tutti si sono ritirati nelle loro stanze per prepararsi alla partenza per l’Italia del giorno seguente.
I bambini di tanti colori
L’ultimo giorno, dopo colazione, eravamo tutti già pronti per andare alla casa madre per la messa di ringraziamento, che sarebbe stata celebrata intorno alla tomba di Madre Teresa, con il rinnovo dei voti di molti Missionari laici. Il sepolcro era decorato con bellissimi fiori. I canti sono stati intonati in bengalese, la lingua del Bengala occidentale e del Bangladesh, che Madre Teresa scriveva e parlava bene, oltre all’indi e all’inglese. Ritornando ci siamo fermati dalle suore, che sono state molto contente d’incontrare il gruppo. Dopo il pranzo in Shishubavan ci siamo diretti a Neetika per i preparativi finali.
Prima ci siamo fermati a Green Park, al “Nirmala Kennedy center”, che si trova nelle vicinanze, dove 100 suore si prendono cura di 600 bambini handicappati, donne ritardate e handicappate. Le suore fanno anche visita alle famiglie e distribuiscono alimenti. Ci hanno poi condotto a vedere i vari reparti; avevano anche radunato i bambini, abbigliati di tanti colori, sotto gli alberi, dandoci così l’immagine di un bellissimo giardino. Le donne, anche se mentalmente handicappate, hanno cantato e danzato per noi. Abbiamo anche visto un numeroso gruppo di aspiranti in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Fin quando saremo con Gesù, saremo la sua compassione, il suo amore, la sua presenza, la sua bontà.
Mentre finivamo di visitare il giardino, le suore avevano preparato per noi la cena. Era l’ultima nostra cena a Calcutta. Eravamo tutti molto contenti ed eternamente grati a Dio, alle suore e a tutti coloro che ci avevano aiutato a fare del nostro pellegrinaggio in India una grande esperienza. Siamo partiti lodando Dio per tutto quello che avevamo visto e udito.


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