I piccoli passi del disarmo
Paradossalmente il processo di riduzione delle armi nucleari e di quelle convenzionali ha trovato meno ostacoli durante la guerra fredda che dopo la caduta del muro di Berlino. Un articolo del capo della rappresentanza permanente d’Italia presso la Conferenza del disarmo a Ginevra
di Mario Maiolini
Qui sopra, un soldato iugoslavo durante un’esercitazione di sminamento in Kosovo in basso a destra,
Per importanza e dimensioni sia consentito esaminare prima l’andamento nell’evoluzione delle intese sulle armi di distruzione di massa.
Dagli anni Sessanta in poi sono stati negoziati accordi di portata storica e globale che sono patrimonio, politico e giuridico, di primaria importanza. Il Trattato che bandisce gli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio extra-atmosferico e sott’acqua (Partial test ban treaty del 1963), il Trattato che proibisce il collocamento di armi nucleari e di altre armi di distruzione di massa nei fondali degli oceani del 1971, il Trattato che regola le attività degli Stati sulla luna e altri corpi celesti del 1967, il Trattato per l’interdizione totale degli esperimenti nucleari (1996) sono stati la dimostrazione che i governi, rendendosi conto della minaccia posta dalla capacità distruttiva delle armi atomiche e delle necessità di sicurezza dei propri popoli, hanno recepito il grido di allarme della scienza e la cruda esperienza delle prime esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Al tempo stesso si è trattato di un processo di graduale neutralizzazione – se così si può dire – di intere zone geografiche a cui ha pesantemente contribuito la creazione delle “zone libere da armi nucleari” (l’Antartide con il Trattato del 1961, l’America Latina con il Trattato di Tlatelolco del 1967, il Sud Pacifico con il Trattato di Raratonga del 1985, l’Asia del Sud-Est con il Trattato di Bangkok del 1995, l’Africa con il Trattato di Pelindaba del 1996).
Alla “neutralizzazione” di intere zone geografiche si aggiunse poi la neutralizzazione della stragrande maggioranza degli Stati realizzata con il Trattato di non proliferazone nucleare del 1970, di cui sono parte ben 187 Stati, e che riconosce lo status di potenza nucleare solamente agli Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito.
Il processo di disarmo nucleare si consolidava nel 1996 con il Trattato di proibizione degli esperimenti nucleari (Ctbt) mentre nel settore più ampio e inclusivo delle armi di distruzione di massa, sia la Convenzione contro le armi tossiche e batteriologiche (1972) sia la Convenzione sulla interdizione delle armi chimiche (1993) sembrarono chiudere il cerchio degli impegni di pace e sigillare la consapevolezza della capacità distruttiva di nuove armi e della loro necessaria interdizione.
Tutto questo avveniva nonostante la guerra fredda, la deterrenza e il confronto fra due mondi contrapposti, divisi dalla ideologia, timorosi della capacità distruttiva reciproca.
Quando cadde il muro di Berlino e terminò la guerra fredda sembrò che il disarmo, attraverso il controllo, la riduzione ed eliminazione delle armi di distruzione di massa, non potesse avere più veri ostacoli.
Tutto procedette all’inizio sulla spinta di quest’ondata di aspettative ed ottimismo. Con la Risoluzione 984 del Consiglio di sicurezza, i Paesi nucleari nel 1995 garantivano ai non nucleari che non sarebbero stati attaccati con armi nucleari, mentre il Tnp veniva esteso a tempo indeterminato. Nel 2000 i Paesi nucleari membri del Tnp assicuravano che le loro testate nucleari non erano specificamente e preventivamente puntate contro nessuno Stato in particolare.
Ma questi erano gli ultimi sprazzi di luce nel settore delle Adm. La verità è che a partire dal 1995-96 la Conferenza sul disarmo di Ginevra non riuscì a far decollare un trattato che bandisse la produzione di materiale fissile per armi nucleari; e il Gruppo di lavoro ad hoc per la conclusione di un accordo di applicazione della Convenzione sul bando delle armi tossiche e batteriologiche, dopo dieci anni di negoziati, dovette concludersi praticamente con la propria autodissoluzione nel luglio 2001.
Nonostante intese positive, ma bilaterali, come il Trattato di Mosca del maggio 2002 con cui Usa e Federazione Russa riducevano drasticamente le proprie testate nucleari, perché non si riuscì a compiere progressi a livello multilaterale?
La risposta sta essenzialmente in due sviluppi senza precedenti verificatisi a livello mondiale. Il primo è stato il sensazionale sviluppo tecnologico di questi ultimissimi anni del 2000 che ha radicalmente potenziato le capacità distruttive delle nuove armi e ha dato agli Stati Uniti la convinzione di poter conseguire una sicurezza e una assoluta supremazia militare. Di contro, gli altri Paesi, timorosi di essere ridotti a potenze subordinate, condizionavano la loro flessibilità negoziale nel settore nucleare a precise rinunce Usa. Il secondo sviluppo è stato la moltiplicazione delle entità statali verificatosi principalmente dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, con la caratteristica di realtà fragili e con notevoli contenziosi confinari.
Il leader sovietico Leonid Breznev e il presidente americano Jimmy Carter firmano lo storico accordo Salt II, Vienna, giugno 1979
La Convenzione esclude o limita intere categorie di armi. Distingue fra civili e combattenti, impedisce l’uso di armi che producono «ferite superflue e inevitabilmente mortali», armi che uccidono per concussione, armi laser accecanti, limita l’uso di mine, di trappole esplosive e di armi incendiarie. Le norme del Trattato ai “non-states actors” introducono dispositivi neutralizzanti nelle mine antiveicolo e regolano la bonifica dei residuati bellici esplosivi e il recupero alla società civile delle vittime. Si tratta di un filone che apre discussioni sulle armi all’uranio impoverito: discussioni che già fanno presagire controversie sulle armi tecnologicamente avanzate e di grande penetrazione e distruzione. Ricordiamo – a solo titolo indicativo – che uno dei motivi per cui gli Stati Uniti rifiutano di ratificare il Trattato che interdice gli esperimenti nucleari (Ctbt) è proprio la tentazione di sperimentare armi nucleari tattiche e miniaturizzate di grande penetrazione. Sono definite “useful nuclear weapons”. Vi sono sempre termini tragicamente ironici. Ma senza andare troppo lontano, l’applicazione della Convenzione del 1980 non solo registra piccoli progressi annuali, ma potrebbe aprire la via a nuove specifiche convenzioni internazionali.
E infatti dal Protocollo II della stessa Convenzione, quello che limita l’uso di mine, è venuta nel 1997 la Convenzione di Ottawa che vieta la produzione di mine antipersona. È stato un vero trionfo della società civile che attraverso le Ong non solo si è mobilitata, ma ha saputo essere efficace. Ricordate la principessa Diana fra i bambini mutilati della Cambogia o la grande sedia di legno zoppa – a soli tre piedi, perché uno è spezzato – che si trova sulla piazza delle Nazioni di Ginevra e simboleggia la lotta alle mine antipersona? Questa mobilitazione ha indotto i governi al negoziato – quasi a furor di popolo – e poi li ha sostenuti nell’azione di distruzione degli stock e di aiuto alle vittime. Le esatte statistiche fanno rabbrividire. Chi mai avrebbe pensato che l’Italia, grande produttrice ed esportatrice di mine antipersona, fosse capace di chiudere le sue industrie e distruggere in pochi anni uno stock di oltre sette milioni di mine? Siamo senza dubbio il Paese che con più celerità ha fatto fronte ai suoi impegni. Ma rimane molto da fare non solo per far aderire alla Convenzione Paesi importanti come Usa, Russia, Cina e India, ma per continuare a finanziare l’azione di recupero di milioni di vittime.
A questi successi se ne deve aggiungere un altro, quello riguardante un settore dove si registrano mezzo milione di morti ogni anno.
Si tratta del Piano d’azione varato nel luglio 2001 a New York con la Conferenza contro il traffico illecito delle armi piccole e leggere.
169 Paesi hanno riconosciuto che il problema non può essere risolto dai singoli Stati ma solo attraverso una strategia globale, con misure di prevenzione del traffico, con controlli alle esportazioni, marcatura delle armi prodotte, distruzione degli stock sequestrati, assistenza alle vittime, misure sui trafficanti. Il nuovo appuntamento è per il 2006.
Ci si chiede se, nonostante gli ostacoli, il processo di disarmo continui. La risposta è positiva. Nello stesso settore delle armi di distruzione di massa (nucleari, chimiche e biologiche) si sono registrati progressi in questi ultimi anni anche se non sensazionali, come invece sarebbe potuto accadere se funzionasse armonicamente la Commissione sul disarmo di Ginevra. Usa e Federazione Russa, con l’accordo di Mosca del maggio 2002, hanno concordato di limitare a 1700-2200 le testate atomiche dispiegate. Purtroppo però è stato denunciato l’accordo Abm e lo Start II . Va registrato, viceversa, che Cuba nel 2002 ha aderito al Tnp e le cinque potenze nucleari hanno reso note le proprie garanzie di sicurezza in favore dello status di Paese non nucleare della Mongolia, mentre India e Pakistan hanno dichiarato la loro adesione alla moratoria sulle esplosioni nucleari. Il 27 giugno 2002 i G8 concordavano una Global Partnership contro la disseminazione di armi e materiali di distruzione di massa, con conseguente concreto impegno finanziario per favorire specifici programmi di cooperazione.
Nonostante intese positive, ma bilaterali, come il Trattato di Mosca del maggio 2002 con cui Usa e Federazione Russa riducevano drasticamente le proprie testate nucleari, perché non si riuscì
a compiere progressi a livello multilaterale? La risposta sta essenzialmente in due sviluppi senza precedenti verificatisi a livello mondiale. Il primo è stato il sensazionale sviluppo tecnologico di questi ultimissimi anni del 2000 che ha radicalmente potenziato le capacità distruttive delle nuove armi e ha dato agli Stati Uniti la convinzione di poter conseguire una sicurezza e una assoluta supremazia militare. Il secondo sviluppo
è stato la moltiplicazione delle entità statali verificatosi principalmente
dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, con la caratteristica
di realtà fragili e con notevoli contenziosi confinari
Nel novembre 2002, all’Aia veniva lanciato il Codice di condotta contro la proliferazione missilistica.Nella sessione del novembre 2002 la Conferenza di revisione della Convenzione contro le armi tossiche e batteriologiche, che era stata sospesa il 7 dicembre 2001, concordava una ripresa dei lavori sulla base di un programma ridotto di intese e misure.
Concreti e continui progressi – anche se faticosi – venivano registrati negli ultimi due anni verso l’eliminazione delle armi chimiche inventariandone nel frattempo 8 milioni e seicentomila.
In primo luogo oggi la scienza è tutta protesa a correre e ad inseguire senza limiti nuovi progressi. Così come è avvitata nella spirale di conoscenza del genoma, così pure scopre che si possono produrre esplosioni nucleari dagli effetti limitati, che si può tentare un sistema di difesa perfetta dai missili avversari, che si possono produrre modificazioni genetiche artificiali, batteri e microbi letali e di immensa capacità distruttiva a costi limitati. Al tempo stesso queste scoperte possono anche portare ad innovazioni benefiche di grande utilità economica. Ne deriva che questa prospettiva suscita ambizioni e gelosie di coloro che possono sfruttare tali ricerche e li rende riluttanti a verifiche e dichiarazioni sui programmi in corso di sviluppo. Impedisce quindi che si firmino precisi impegni internazionali limitativi della autonomia nazionale. Pensate ai benefici di chi scoprisse l’antidoto dell’Aids o della Sars. Si dimentica però che solo la volontà politica degli Stati è la migliore garanzia contro la possibilità che tali scoperte e prodotti vengano negativamente manipolati e cadano in mano di organizzazioni terroristiche. Si può rispondere a coloro che affermano non esservi verifiche efficaci, che ogni intesa ha le sue manchevolezze, ma anche che ogni legge ha i suoi trasgressori. Ciò non impedisce che le leggi siano utili e siano fatte.
La moltiplicazione degli Stati membri della Comunità internazionale (sono ora 191) ha portato a rivedere come molti di essi siano fragili e alla ricerca di garanzie di sicurezza e di consolidamento della loro sovranità. Ciò dovrebbe portare al riconoscimento che occorre rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite nel garantire l’indipendenza e la sovranità degli Stati. Purtroppo alcuni minano l’istituzione societaria con la loro opposizione a riconoscere e rispettare alcuni trattati fondamentali: è il caso del Tnp a cui India, Pakistan, Nord Corea e Israele non vogliono aderire.
La classe politica in alcuni Paesi ha sì coscienza dei pericoli del terrorismo ma poco fa per incrementare i mezzi di verifica dell’Aiea e per scongiurare attraverso negoziati i pericoli delle armi batteriologiche.
Una grande forza è oggi rappresentata dal coinvolgimento della società civile nel sostegno al disarmo in genere. È una forza che confluisce e determina il filone dell’“intervento umanitario” (o meglio “la responsabilità di intervenire”) che è già forte nel settore delle misure di disarmo convenzionale. Si può fare di più nel sostenere questa tendenza con la generosità finanziaria e con un dialogo più serrato fra Ong, politici e governi. Si pensi alle implicazioni positive dell’idea lanciata nell’ambito burocratico del segretariato delle Nazioni Unite di una Conferenza internazionale dedicata al ruolo della donna nelle attività di disarmo. Le donne impegnate nei vari parlamenti possono dare sostegno politico a tale obiettivo. In conclusione, se la scienza e la complessità della geopolitica creano nuovi problemi e pericoli, l’uomo con la sua volontà può essere sempre il fattore decisivo e determinante.