Un intervento di don Matteo Galloni fondatore della comunità Amore e libertà
A chi bussa sarà aperto
Un intervento di don Matteo Galloni fondatore della comunità Amore e libertà
di Matteo Galloni

Qui sopra, scene di abbandono minorile; nella foto a destra in alto, un bambino di strada indica il murale di una delle tante sette che si possono incontrare per le strade di Matete. Basta avere un piccolo spazio, una tettoia, un microfono e un altoparlante per far nascere una nuova setta
La terza novità è legata alla suddetta decisione del cardinale Etsou di costituirci in parrocchia. È normale da noi che bussi alla porta qualcuno che ti chiede la carità, perché ha fame o perché non ha nulla da portare alla sua famiglia. Per i parroci e le missioni di quaggiù sostenere questa folla di questuanti distribuendo un po’ a ciascuno è occupazione giornaliera, e così sarà, sempre di più, per la nostra comunità, eretta la parrocchia.
Il salario medio di un congolese corrisponde a circa novanta euro al mese: poco, ma sufficiente a sfamare una famiglia. A chi ci chiede aiuto abbiamo iniziato a dare l’equivalente di una giornata di lavoro, tre euro, chiedendo in cambio, dove è possibile, un piccolo lavoro (mettere in ordine il prato, spostare dei contenitori d’acqua, fare il guardiano…). È per questo che chi visita la nostra missione a Kinshasa trova sempre una discreta folla, intenta ai lavori più diversi (qualcuno evidentemente inventato…). Crediamo che sia meglio così, che sia carità anche rendere questi uomini contenti a fine giornata di ricevere un salario e non solo di essere assistiti al momento e lasciati a se stessi. Ma la nostra parrocchia ha settantamila anime, per quanto inventiamo lavori non occuperemo mai tutti; e poi che fare con gli anziani, o con i bambini? L’appezzamento di terra dove noi risiediamo è tra l’aeroporto e la baraccopoli, ci fu venduto appositamente perché non costruissero abusivamente a ridosso delle piste, rendendo pericoloso il transito degli aerei. Dopo l’aeroporto e lungo il fiume Congo ho individuato un vastissimo terreno fertile, e ho iniziato le trattative per acquistarlo alla nostra missione, se troverò il denaro necessario. Sto anche cercando di far partire dall’Italia un container di zappe e sementi e di trovare un mezzo di trasporto adeguato per portare gli uomini a questo campo. Spero di poter riuscire. Vorremmo offrire un lavoro, e dare a ciascuno ogni giorno la sua paga. I prodotti del campo sarebbero dati per il sostentamento della missione e dei suoi ospiti, che comprendono (e sempre più comprenderanno) gli inabili e gli anziani. Tempo fa un sacerdote amico mi portò in una capanna dove trovammo una vecchia sola e ormai allo sfinimento: i figli erano partiti in cerca di lavoro, non avevano più dato notizie né aiuto, e la madre non mangiava chissà da quando. Da noi spesso la vita è così. A chi ha la possibilità di aiutare quest’opera spiego tutto nei dettagli, spiego che novanta euro valgono la vita di un famiglia, che terra, acqua e braccia non mancano, che le prospettive di un progetto agricolo siffatto, innovativo, possono essere davvero grandi e utili (anche a frenare l’emigrazione dettata da disperazione, o far tornare chi è partito). In una parola, vorremmo “adottare” dei padri di famiglia, con la stessa carità missionaria che la nostra comunità ha avuto con i bambini, in Italia prima e a Kinshasa adesso.
È una proposta, a taluni piace, e ciò ci conforta, ma capita anche che la burocrazia ci metta dolorosamente i bastoni tra le ruote. Pazienza, purché nel frattempo però non ci rimetta chi ha fame. Questo no. Noi non vogliamo bandiere ed onori, lavoriamo per il Signore e per i poveri. o