Home > Archivio > 05 - 2003 > «Io non sono un mistico»
GIOVANNI PAOLO I
tratto dal n. 05 - 2003

UNA CONVERSAZIONE DI LUCIANI VESCOVO

«Io non sono un mistico»


«Di contemplazione non me ne intendo. Mi fermo alla semplice orazione, quella umile, quella delle anime semplici. Certa povera gente non ha imparato a meditare, ma dice bene le preghiere, con cuore, le preghiere vocali. Santa Bernadette è diventata santa solo per questo. Diceva bene il rosario, ubbidiva alla sua mamma»


una conversazione di Albino Luciani vescovo


Albino Luciani vescovo di VittorioVeneto

Albino Luciani vescovo di VittorioVeneto

Il Signore ci fa tante raccomandazioni, nel Vangelo, sulla preghiera. L’insistenza. Non basta domandare una volta. Non è come suonare il pianoforte: tocchi il tasto, ne esce il suono. «Signore, dammi questa grazia». Pronti, servito! A tamburo battente. Non è così. Il Signore stesso ha detto che non è così. Voglio che domandiate. Ha raccontato anche la parabola. C’era un giudice iniquo in una città. Non gliene importava niente né di Dio né dei poveri mortali. Una vedova andava ogni giorno da lui: «Rendimi giustizia, rendimi giustizia!». «Via, Via! Non ho tempo, non ho tempo». Ma la vedova tornava. Finalmente un giorno il giudice ha detto tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho nessun riguardo per gli uomini, poiché questa vedova viene sempre ad importunarmi e non mi lascia più in pace, le voglio fare giustizia, così non l’avrò più tra i piedi». Conclusione di Gesù Cristo: questo lo fa un giudice iniquo e per un motivo egoistico, e il Padre vostro, quando voi insisterete nel domandargli che vi faccia giustizia, il Padre vostro dei cieli, che vi ama, non ve lo farà? E abbiamo già sentito dal Concilio: Bisogna pregare sempre: pregare senza interruzione.
Il nostro primo dovere è di insegnare alla gente a pregare, perché quando abbiamo dato loro questo mezzo potente, si arrangiano anche loro ad ottenere le grazie del Signore. Io non posso fare un trattato sulla preghiera, anche perché forse ne sapete più di me. Accennerò solo a qualche cosa. Forse battiamo molto sulla preghiera di petizione: «Signore, ricordati di me; Signore perdonami!». Bellissimo! Però Gesù quando ci ha insegnato il Pater noster, ci ha detto: «Pregate così», e la sua preghiera l’ha divisa in due parti. La prima: «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». È questa la parte che riguarda il nostro rapporto con Dio. Solo dopo si passa alla seconda: «Dacci il nostro pane, ecc.». Quindi anche nelle proprie preghiere si deve seguire questo metodo: fare prima la preghiera di adorazione, di lode, di ringraziamento; e solo dopo quella di domanda. Nelle epistole di san Paolo: «Gratias agamus, Deo gratias, Deo autem gratias...». Queste espressioni, non le ho contate io, ricorrono più di centocinquanta volte. San Paolo rende grazie continuamente. Ma osservate anche le altre preghiere: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te». Dopo viene la domanda: «Prega per noi, peccatori». Prima si fa un bel complimento alla Madonna. Bisogna essere diplomatici: si fa una lode, e poi si chiede. Anche gli oremus antichi, non quelli moderni, hanno tutti all’inizio la lode, il complimento. «Deus qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione docuisti...», fatta una bella lode: «da nobis quaesumus...», viene la domanda. Invece: «Concede nobis, famulis tuis...», questo è un oremus moderno; comincia subito col domandare qualcosa. Non ha capito niente, non ha capito niente, chi lo ha composto. E anche le litanie della Madonna: «Mater purissima», l’elogio, «ora pro nobis», la domanda; tutte così. Questo metodo dobbiamo usarlo nelle nostre preghiere. Preoccuparsi un po’ anche... Non ha bisogno il Signore delle nostre preoccupazioni, ma gli fa certamente piacere che ci occupiamo un po’ di lui. C’è un libro molto bello di padre Faber: Tutto per Gesù; non è “alto”, cose umili; e dice proprio che bisogna preoccuparsi degli interessi di Dio, prima che degli interessi nostri. Dicevo: l’adorazione: «Tu sei lassù, o Dio immenso onnipotente, e io sono qui, piccolo piccolo, Signore», questo senso di adorazione di stupore davanti a Dio. «Ti devo tutto, Signore!». Il ringraziamento. Il sentirsi sempre piccoli, miseri, davanti a Dio. Bisogna aiutarli, i fedeli, ad adorare, a ringraziare il Signore. Nessuno è grande davanti a Dio. Davanti a Dio anche la Madonna s’è sentita guardata, piccola. È importantissimo sentirci guardati da Dio. Sentirci oggetto dell’amore che Dio ci porta. San Bernardo, quand’era piccolissimo, in una notte di Natale, s’è addormentato in chiesa e ha sognato. Gli è parso di vedere Gesù bambino che diceva, additandolo: «Eccolo là, il mio piccolo Bernardo, il mio grande amico». S’è svegliato, ma l’impressione di quella notte non si è più cancellata e ha avuto un’enorme influenza sulla sua vita. Sentiamoci piccoli, perché siamo piccoli. Se non ci sentiamo piccoli è impossibile la fede. Chi alza la cresta, chi si vanta troppo, non ha fiducia in Dio. Tu sei grandissimo, Signore, io, di fronte a te, piccolissimo. Non mi vergogno di dirlo. E farò volentieri quello che mi chiedi. Tanto più che non chiedi per prendere, ma per dare, non chiedi a vantaggio tuo, ma nell’interesse mio! Manzoni dice: «L’uomo, mai è più grande di quando si inginocchia davanti a Dio». Nelle preghiere che si fanno manca sempre di più quello che è il senso dell’adorazione. È invece uno degli attegiamenti fondamentali di tutta la religione cristiana.
Albino Luciani a Lourdes durante la processione eucaristica

Albino Luciani a Lourdes durante la processione eucaristica

Quali preghiere e con quale metodo? Voi siete maestri in Israele; sapete che la preghiera più bella è, per sé, quella passiva, dove ci si abbandona all’azione della grazia. Così è di qualche anima che viene addirittura catturata da Dio, lavorata, dominata, santificata. È la cosiddetta preghiera mistica, di quelli che si danno alla contemplazione. E su questo non posso dirvi niente, perché sinceramente io non sono un mistico. Mi dispiace. L’ho insegnato anche a scuola, ho studiato i vari sistemi, le varie tendenze, i carmelitani di qua, i gesuiti di là... Però santa Teresa, che era una donna molto esperta, dice: «Io ho conosciuto dei santi, dei veri santi, che non erano contemplativi, e ho conosciuto dei contemplativi che avevano grazie di orazione superiore, che però non erano santi». Il che vuol dire che, «salvo meliore iudicio», non sarebbe necessaria la contemplazione alla santità. Sulla contemplazione quindi non posso perciò intrattenervi, perché sinceramente non me ne intendo, anche se ho letto qualche libro. Perciò mi fermo alla semplice orazione, quella umile, quella delle anime semplici. Io mi spiego di solito con un esempio molto semplice e pratico. Sentite: c’è il papà che festeggia l’onomastico: in casa hanno organizzato un po’ di festicciola. Arriva il momento: lui sa già di che si tratta, e dice: «Adesso vediamo cosa mi fanno di bello!». Per primo viene il più piccolo dei suoi bambini: gli hanno insegnato la poesia a memoria. Povero piccolo! È lì di fronte al papà, recita la sua poesia. «Bravo!», dice il papà, «ho tanto piacere, ti sei fatto onore, grazie, caro». A memoria. Va via il piccolino, e si presenta il secondo figliolo, che fa già le medie. Ah, non si è mica degnato di imparare una poesiola a memoria; ha preparato un discorsetto, roba sua, farina del suo sacco. Magari breve, ma si impanca da oratore. «Non avrei mai creduto», il papà, «che tu fossi così bravo a far discorsi, caro». È contento il papà: ma guarda che bei pensieri!... Non sarà un capolavoro, ma... Terza, la signorina, la figliola. Questa ha preparato semplicemente un mazzetto di garofani rossi. Non dice niente. Va davanti al papà, neanche una parola: però è commossa, è così rossa che non si sa se sia più rossa lei o i garofani. E il papà le dice: «Si vede che mi vuoi bene, sei così emozionata». Ma neanche una parola. Però i fiori li gradisce, specialmente perché la vede tanto commossa e così piena di affetto. Poi c’è la mamma, c’è la sposa. Non dà niente. Lei guarda suo marito e lui guarda lei: semplicemente uno sguardo. Sanno tante cose. Quello sguardo rievoca tutto un passato, tutta una vita. Il bene, il male, le gioie, i dolori della famiglia. Non c’è altro. Sono i quattro tipi di orazione. Il primo è l’orazione vocale: quando dico il rosario con attenzione, quando dico il Pater noster, l’Ave Maria; allora siamo dei bambini. Il secondo, il discorsetto, è la meditazione. Penso io e faccio il mio discorso col Signore: bei pensieri e anche profondi affetti, intendiamoci. Il terzo, il mazzo di garofani, è l’orazione affettiva. La ragazzina tanto emozionata e tanto affettuosa. Qui non occorrono molti pensieri, basta lasciar parlare il cuore. «Mio Dio, ti amo». Se uno fa anche solo cinque minuti di orazione affettiva, fa meglio che la meditazione. Quarto, la sposa, è l’orazione della semplicità o di semplice sguardo, come si dice. Mi metto davanti al Signore, e non dico niente. In qualche maniera lo guardo. Sembra che valga poco, questa preghiera, invece può essere superiore alle altre. Fate qualche considerazione su ciascuna di queste forme di preghiera. Anche la prima. Si dice: è un bambino, comincia appena. Ma santa Teresa scrive: si può diventar santi con la prima orazione. Certa povera gente non ha imparato a meditare, ma dice bene le preghiere, con cuore, le preghiere vocali. Santa Bernadette è diventata santa solo per questo. Diceva bene il rosario, ubbidiva alla sua mamma. È diventata santa.
Ed ora lasciate che vi raccomandi la devozione alla Madonna, giacché devo fare un cenno al rosario, che in parte è una preghiera vocale. Il rosario è anche la Bibbia dei poveri. Mai tralasciare il rosario, e recitarlo bene. Io sono molto preoccupato dei miei fedeli: ce ne sono ancora di quelli che fanno la preghiera in casa, ma non dicono più il rosario. Quando i figli in famiglia vedono il papà che prega, che prega insieme a tutti, questo ha un effetto sull’educazione, che le nostre prediche non avranno mai, siatene certi. Quindi nella visita pastorale faccio anche questa domanda: «Recitano la preghiera in casa?». Purtroppo pregano poco. Peccato! Allora lo dico in chiesa: «Fate il piacere! Dovete guardare la televisione, capisco. Ma se non potete dire il rosario, tutte le cinque poste, ditene almeno una, dieci Ave Maria, un mistero solo. Vi raccomando tanto, almeno questo. E anche voi insistete sulla devozione alla Madonna. Un giorno mi hanno anche chiesto, sono curiose queste pie anime: «Lei quale Madonna preferisce? Quella del Carmine? Perché, vede, io sono devota della Madonna del Carmine». È gente piuttosto alla buona e io ho risposto: «Se lei mi permette un consiglio, io le suggerirei la Madonna dei piatti, delle scodelle e delle minestre». Guardate che la Madonna si è fatta santa senza visioni, senza estasi, si è fatta santa con queste piccole cose di lavoro quotidiano. Volevo dire: molta devozione alla Madonna. Sì al rosario, la fiducia in lei, ma anche l’imitazione delle sue virtù. Quindi non stancatevi di raccomandare la devozione a Maria.


Español English Français Deutsch Português