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APPROFONDIMENTI
tratto dal n. 06 - 2002

ARMI E SVILUPPO. Un realistico collegamento

Finché c’è guerra c’è ricchezza


I conflitti si sono sempre dimostrati fattori decisivi per l’innovazione tecnologica e lo sviluppo. Gli investimenti Usa per le guerre stellari, ad esempio, hanno prima sfiancato l’Urss e poi hanno determinato la crescita del Pil americano nell’era Clinton. E oggi? Intervista con il professor Giuseppe Guarino


di Paolo Mattei


Un  cannone montato su una nave

Un cannone montato su una nave

Nel suo libro Il governo del mondo globale (Le Monnier, Firenze 2000), Giuseppe Guarino cerca di capire e raccontare la globalizzazione valutando una serie di fattori che, nell’abbondante letteratura sul fenomeno, sono trattati quasi sempre distintamente, con una propensione allo studio specialistico tendente a introdurre diaframmi tra una disciplina e l’altra, senza collegamenti. Gli Stati nazionali, le transnational corporation, le organizzazioni internazionali, il mercato unificato, la qualità della vita, la povertà, il profitto, le ideologie, le telecomunicazioni, le grandi religioni, la febbre del pianeta, la guerra… Solo provando ad osservare tutti questi elementi in una prospettiva unitaria se ne possono cogliere i nessi e, eventualmente, capire qualcosa di più del mondo in cui si vive.
Per esempio, la relazione tra spese militari e sviluppo economico è una delle dinamiche analizzate nel saggio di Guarino. È un fenomeno che ha connotato le vicende del mondo nel secolo scorso e che rischia di caratterizzare fortemente anche il secolo attuale, iniziato, appunto, all’insegna della globalizzazione. Al professor Guarino, tra gli iniziatori degli studi di diritto dell’economia, che è stato ministro delle Finanze nel 1987, dell’Industria nel 1992, e docente di diritto costituzionale, diritto pubblico e diritto amministrativo in varie università italiane, abbiamo rivolto alcune domande su questo tema.

Professor Guarino, lei individua nel suo libro Il governo del mondo globale un collegamento tra eventi bellici e sviluppo economico…
GIUSEPPE GUARINO: Io mi limito a constatare alcuni fatti. Negli anni corrispondenti alla Prima guerra mondiale il Pil degli Usa aumentò da 478.105 milioni di dollari (del 1980) nel 1914 a 599.832 milioni nel 1919, ovvero passò dall’essere di poco superiore al doppio di quello inglese nel 1914 a quasi il triplo nel 1919. Il Pil statunitense che nel 1914 era di circa tre volte e mezzo quello francese, nel 1919 era divenuto di quasi sei volte superiore. Ma le sorprese si registrano negli anni della Seconda guerra mondiale.
Che dicono i dati di quel periodo?
GUARINO: Per risponderle faccio riferimento al testo fondamentale di Angus Maddison, Monitoring the World Economy, in cui l’autore ha analizzato le informazioni sull’economia mondiale dal 1820 al 1992. Da una tabella che riguarda i movimenti del Pil tra il 1938 e il 1944, si vede che gli Stati Uniti hanno fatto registrare in questo periodo, corrispondente agli anni della Seconda guerra mondiale, un eccezionale incremento pari al 114,4%.
L’incremento riguardò solo gli Stati Uniti?
GUARINO: No. Per esempio l’Inghilterra, sostenuta dagli Usa, ebbe una crescita del 22%. Se andiamo ad analizzare i dati degli altri Paesi, vediamo che quelli che ebbero un ruolo passivo nella guerra, ossia furono oggetto di occupazione bellica, come la Francia e l’Olanda, subirono delle perdite rilevantissime nel Pil: l’Olanda regredì del 46,7%, la Francia del 49,7%, la Norvegia del 12,7%. Altri Stati non belligeranti, ma che svolsero il ruolo di fornitori, videro aumentare il loro Pil. Ad esempio l’Argentina registrò una crescita pari al 24%, l’Australia al 32,4%, il Canada al 75,4%, il Cile al 20%, la Colombia al 18%, il Messico al 38,9%.
Si tratta di crescite comunque non paragonabili al balzo americano di quegli anni…
GUARINO: Sì, ed è un dato su cui è bene soffermarsi e ragionare. Infatti la crescita del Pil dei Paesi fornitori in periodo di guerra è un fenomeno abbastanza comprensibile, basti pensare alla necessità di grano, di prodotti alimentari, di materie prime. Mentre il sorprendente dato relativo agli Stati Uniti assume una rilevanza importante ai fini delle valutazioni di carattere generale. Il territorio degli Stati Uniti ha sempre costituito un luogo ideale per lo sviluppo capitalistico, perché è un’area di carattere continentale nella quale sono contenute tutte le ricchezze possibili e immaginabili: si pensi solo all’oro, al petrolio, al grano, alle foreste, alle vie fluviali che facilitano i trasporti. Eppure, nel corso di un lungo periodo, dal 1820 al 1913, pur essendo gli Usa il Paese in cui si erano concentrati i maggiori investimenti esteri da parte soprattutto dell’Inghilterra e del Belgio, la media di sviluppo degli Stati Uniti non aveva superato il 4%. Se poi valutiamo complessivamente il periodo che va dal 1922 al 1938 e, ancora, consideriamo gli anni tra il 1938 al 1992 constatiamo che gli Usa, nonostante la crescita registrata durante la Prima guerra mondiale, hanno fatto registrare un aumento del Pil mediamente non superiore al 2,5% per anno. Quindi il balzo del 20% circa annuo del periodo 1938-1944 è un fatto estremamente significativo. Ed è su questo dato che bisogna ragionare. Gli Stati Uniti sono diventati la prima potenza, con grande distacco nei confronti di tutti gli altri Stati, a conclusione della Seconda guerra mondiale.
Poi ci fu il periodo della pace o, meglio, della guerra fredda…
GUARINO: …e si verificò un secondo fatto veramente singolare, che merita di essere sottoposto a un’analisi approfondita. Ronald Reagan, negli anni Ottanta, dopo aver annunciato nel suo programma elettorale la più grande riduzione dell’imposizione fiscale mai attuata nella storia Usa, e dopo averla effettivamente realizzata nei primi due anni di mandato presidenziale, invertì radicalmente la tendenza ed attuò la maggiore imposizione fiscale mai avutasi nella storia degli Stati Uniti. Tale inversione di tendenza avvenne nel momento in cui fu posto in cantiere il progetto che è comunemente chiamato delle “guerre stellari”, tecnicamente definito Sdi, Strategic defense initiative, Sistema di difesa strategica. Questo progetto è stato determinato da ragioni di carattere strategico, tendenti principalmente a provocare il crollo dell’Urss. Prima del programma di Sistema di difesa strategica, si ipotizzava di scongiurare il ricorso alla guerra atomica in base al principio dell’ineluttabile distruzione reciproca. Nessuno dei due contendenti poteva pensare di poter distruggere l’altro senza essere, a sua volta, annientato. Con il Sistema di difesa strategica si intendeva impedire che i missili nemici colpissero il proprio territorio mantenendo intatta, nel contempo, la possibilità di attaccare l’avversario. Era un progetto che imponeva anche all’Urss di mettere in cantiere un’arma di uguale ampiezza e costosità. Ma l’Urss non era in grado di farlo e quindi il progetto Usa raggiunse con straordinaria intelligenza politica la sua finalità: determinare il crollo dell’Unione Sovietica.
Era soltanto l’annientamento del gigante comunista lo scopo del progetto “guerre stellari”?
GUARINO: No, esso perseguiva altre due altre finalità: ridare agli Usa la supremazia tecnologica nei confronti del Giappone e superare la fase di stagnazione nella quale l’economia americana era caduta. I dati statistici che ho ricordato dimostrano che l’economia degli Stati Uniti non raggiunge il massimo della sua capacità di sviluppo se abbandonata a se stessa. Prima del 1938 ci fu l’impulso dato dalla Tennessee Valley Authority istituita da Roosevelt. Il progetto Sdi costituì un input esterno estremamente forte.
Questo input aveva una duplice caratteristica. Primo: comportava un investimento di dimensioni eccezionali, misurabile in base all’entità delle spese militari che si aggiungevano a quelle della Nasa. Esse in quegli anni raggiunsero un totale anche del 6-7% del Pil nazionale, considerando, per capirci, che il Pil nazionale degli Stati Uniti corrisponde grosso modo a quello dell’intera area della moneta unica europea. Seconda caratteristica: si trattava di un programma di investimento nelle tecnologie più avanzate che ha avuto un impatto fertilizzante sull’economia in conseguenza della trasmigrazione dell’innovazione nei settori produttivi, da quello delle telecomunicazioni a quello dei nuovi materiali, da quello della biologia e della chimica applicata a quello delle apparecchiature sanitarie, da quello della conoscenza della terra a quello degli infiniti usi delle reti informatiche a raggio universale. Il programma Sdi, una volta messo in cantiere, provocò ricadute positive sull’occupazione e mise in moto meccanismi ulteriori di incentivazione, attirando negli Usa quote preponderanti degli investimenti mondiali e determinando un notevole incremento dei corsi borsistici con effetti diffusi in tutti gli altri Paesi del mondo. Si trattava di una grande scommessa perché tali programmi di tecnologia avanzata in gran parte andavano incontro a forti alee. Si aveva a che fare sia con ricerche allo stato iniziale, sia con progetti avanzati ma sempre esposti all’incertezza del risultato. Avrebbero avuto successo i singoli progetti? Avrebbe avuto successo il progetto complessivo nel suo insieme? Un programma di tale ampiezza può misurare i suoi risultati e dispiega tutti i suoi effetti soltanto dopo sette o otto anni. Questo spiega come nel periodo reaganiano l’economia americana si sia sviluppata ad un ritmo inferiore a quello italiano. Quando è diventato presidente Clinton è scattato il risultato positivo che ha provocato la supremazia degli Stati Uniti rispetto a tutti gli altri Paesi. Il tasso di variazione del Pil è aumentato in media di circa il 4% l’anno tra il 1994 e il 1999. A partire dal 1913 non si era mai avuto negli Usa in periodi di pace un progresso economico di tale entità, protrattosi per un così lungo periodo.
Poi è tornata la crisi…
GUARINO: Il programma Sdi ha esaurito la sua spinta propulsiva e l’economia americana è caduta in crisi. Il che è coinciso – la storia è piena di paradossi e di sorprese – con il tempo in cui Clinton ha terminato il suo mandato e George W. Bush ha assunto la presidenza.
Giuseppe Guarino

Giuseppe Guarino

Dunque, professore, possiamo dire che il programma Sdi ha rappresentato una guerra combattuta sul piano degli investimenti tecnologici?
GUARINO: Già dalla Prima guerra mondiale si è avvertito il valore di arrivare a una superiorità tecnologica nei confronti dell’avversario. La guerra diventa una gara a chi riesce primo. Arrivare prima dell’altro a un’innovazione tecnologica fornisce un’arma formidabile in più. Questo si è visto per esempio per il radar durante la Seconda guerra mondiale. Oppure nel caso della decrittazione dei messaggi segreti, all’origine, a quanto pare, dello sviluppo dell’informatica. C’è uno stato di necessità che obbliga a realizzare innovazioni tecnologiche in grado di assicurare un vantaggio comparativo prima dell’avversario. E quindi a investire massicciamente nei settori innovativi da cui si può trarre un beneficio di carattere bellico. Proprio per creare mezzi tecnici di cui l’avversario non era ancora in possesso, durante la Seconda guerra mondiale, si fecero investimenti di portata eccezionale per realizzare programmi complessi collegati a nuove armi. Il caso di Peenemunde, per esempio, la base sul mar Baltico dove i tedeschi progettarono il razzo e le bombe volanti, fu un investimento portentoso nelle nuove tecnologie, nei materiali, nei carburanti, nelle tecniche di lancio. Peenemunde fu un programma complesso che ha poi dato dei frutti eccezionali anche dopo la guerra, quando tutti se ne poterono appropriare. Il primo a escogitare un motore a razzo pare che sia stato un italiano. Però l’Italia non aveva né i mezzi economici né le potenzialità collegate né una struttura industriale complessa per realizzarlo. I tedeschi sì. La bomba atomica fu il frutto di un’organizzazione che comprendeva 40mila persone le quali, nel deserto, in una struttura urbana costruita ad hoc, operarono con il massimo dell’efficienza senza che nessuno sapesse della loro esistenza. Questi progetti hanno aperto settori incommensurabili di innovazione anche per la vita civile. Essi probabilmente non si sarebbero potuti realizzare – o ci sarebbero voluti parecchi più anni – se non ci fossero stati l’urgenza, la necessità e i ritmi serrati imposti dalla guerra. Per effetto della guerra, per la necessità e l’urgenza di arrivare prima dell’avversario e per la spinta a realizzare progetti complessi che coinvolgevano parecchi aspetti dell’attività produttiva, si sono avute delle innovazioni con ricadute positive generalizzate e spettacolari nella società civile. L’Sdi, e rispondo alla domanda, ha rappresentato un fenomeno dello stesso tipo. Ma esso a mio giudizio merita uno studio particolare che non vedo ancora compiuto nella letteratura. Perché è il primo caso nella storia in cui un’enorme influenza sulla vita economica e sullo sviluppo del prodotto interno lordo del singolo Paese, ma con una serie di effetti che riguardano la generalità dell’economia mondiale, non si è prodotta durante la guerra, ma per scongiurarla. Per l’Sdi si è operato in tempo di pace con la stessa necessità e la stessa urgenza necessarie in periodo bellico. Si è lavorato a un programma complesso non per fare la guerra ma per evitarla, per prevenirla.
Fare le guerre o prevenirle… Sembra che sia sempre una situazione bellica a permettere che avvenga lo sviluppo, e che per assicurare la crescita economica sia necessario far esplodere guerre o perlomeno mantenere una situazione potenzialmente conflittuale.
GUARINO: Non bisogna generalizzare. Che la Germania hitleriana sia economicamente risorta attraverso la predisposizione dei programmi bellici è sicuro. Che, ad esempio, la rete autostradale tedesca sia stata immaginata e realizzata per poter rapidamente spostare le armate da un confine all’altro è cosa certa. Tutta l’economia tedesca dal 1934 fu polarizzata nella produzione bellica, impegnata nella costruzione di aerei, navi, sottomarini, carri armati e armi in genere. Dico di più. La Germania prima di invadere la Russia aveva tratto dalla guerra vantaggi enormi. Fino a quando non sono cominciati gli effetti negativi della campagna di Russia, aveva migliorato il tenore di vita dei suoi cittadini e aveva messo a propria disposizione, assorbito nel proprio sistema produttivo, tutta l’economia europea. Roosevelt ha compreso che gli eventi bellici potevano essere un volano per l’economia Usa. Nel ’39 si sono cominciati a constatare gli effetti positivi della guerra a causa delle ordinazioni provenienti dall’Inghilterra. Non si può dire però che gli Stati Uniti abbiano scatenato la guerra mondiale per realizzare un proprio vantaggio. Anche perché quanto ora ci appare chiaro, non lo era affatto a quell’epoca. Questo vale anche per la Germania. Nei suoi Taccuini, Alberto Pirelli riferisce le opinioni degli industriali tedeschi durante il conflitto. Essi sostenevano che Hitler era un folle a non limitarsi alla conquista dell’Ucraina e a trattare la pace. Essi dicevano: «Abbiamo in mano tutto…». Dal punto di vista economico certamente l’interesse della Germania non sarebbe stato quello di proseguire la guerra.
È vero, però, che una volta compreso il meccanismo, i grandi gruppi economici potrebbero volerlo sfruttare…
GUARINO: Certo, il pericolo potrebbe esserci. Però mi preme dire che l’interesse teorico delle vicende e dei dati che ho riassunto è dato dall’innovazione. Il grande processo di trasformazione dell’economia europea che ha portato per la prima volta l’Europa a sopravanzare la Cina, cioè la rivoluzione industriale iniziata dalla seconda metà del Seicento, è tutto fondato sulla ideologia dell’innovazione. Tutto avvenne in modo spontaneo e decentrato. Poi la dottrina ha evidenziato il meccanismo di innovazione che fa capo ai grandi gruppi economici. I dati che ho elencato dimostrano che c’è un altro meccanismo produttivo di innovazione. Esso consiste nella possibilità di concentrazione di enormi investimenti pubblici in progetti fortemente innovativi anche complessi, specie se vi si congiunge la necessità di arrivare al risultato prima che vi pervenga l’avversario. Lo stato di necessità ha additato obiettivi ambiziosi e si è dimostrato un fattore decisivo per l’innovazione. Il mondo non progredisce senza innovazione. Nel I secolo del dominio imperiale di Roma c’è stato un periodo lunghissimo di pace, di benessere e di vita civile. Ma non produsse nessuna innovazione e preparò la caduta dell’Impero romano. La Cina sta attuando degli investimenti pubblici, che non hanno precedenti come dimensioni, per la costruzione di dighe, evacuando città con milioni di abitanti e trasformando la fisionomia di intere regioni. Si produrranno trasformazioni nella vita, nella geopolitica, nell’ambiente, ma non innovazione. L’obiettivo che oggi si pone agli studiosi è di verificare come sia possibile realizzare meccanismi di potente e accelerata innovazione prescindendo dagli accadimenti bellici. È una finestra nuova che si apre. Ci sono dei fenomeni complessi che a mio parere sono maturi. Essi offrono elementi di valutazione ed una massa di dati, tale da permetterci di verificare se sia possibile raggiungere gli stessi risultati di predisposizione di progetti complessi e innovativi, di accelerazione dell’innovazione e di sviluppo della collettività mondiale, senza bisogno che si ricorra alle guerre. Si dovrebbe partire, a mio parere, da un’analisi attenta, analitica, dettagliata di tutte le componenti del progetto Sdi. E di tutti gli effetti attribuibili all’Sdi che si sono prodotti a livello mondiale, oltre che come innovazione, anche come correlazione economica tra le varie componenti del sistema economico e finanziario globale.
Comunque rimane una sensazione di impotenza, di totale dipendenza da meccanismi innescabili esclusivamente in quella parte economicamente sviluppata del mondo, che sembra essere interessata all’innovazione solo per concentrare sempre più ricchezza in mano a sempre meno individui, senza alcuna prospettiva redistributiva, e che in sostanza, fino ad oggi, non ha trovato una soluzione per lo sviluppo che non passasse per le spese belliche.
GUARINO: Guardi, il mondo è più complesso di quello che sembra. Bisogna cercare di valutare il tutto, di avere un quadro d’insieme. Anche nei Paesi capitalisti più avanzati ci sono aree di povertà assoluta. Gli Stati Uniti hanno aree di indigenza molto estese, attestate dall’indice di povertà che è tra i più elevati tra quelli dei Paesi ad alto sviluppo. Il Pil pro capite degli Usa merita un’analisi più approfondita anche sotto qualche altro aspetto perché la quota di ricchezza concentrata in una percentuale limitata di persone le quali non possono fisicamente goderne più di tanto, dimostra che quello che noi definiamo Pil individuale corrisponde in realtà per una parte alla ricchezza collettiva destinata all’investimento. C’è poi da dire che l’economia capitalistica non costituisce una quota maggioritaria del mondo globale. Bisogna poi tenere conto dei fattori ideologici. I musulmani e i buddisti hanno una concezione della vita che non è quella occidentale del lavorare più intensamente per produrre di più e poi spendere di più… Bisogna non trascurare la forza delle grandi religioni. Il Papa richiama continuamente il mondo ai valori dell’uomo. Vi sono infine i movimenti trasversali e globali, a favore dell’ambiente, della pace, dei poveri nel mondo. Sono, queste, altrettante forze di bilanciamento efficaci ed utili.
Parlando di sviluppo, si sono citati quasi sempre gli Stati Uniti. Ma c’è anche l’Europa.
GUARINO: Molti additano all’Europa il modello degli Stati Uniti, cioè la possibilità di stimolare massicciamente l’economia, di possedere grandi forze armate, di poter influire sui fatti mondiali… Invece la novità assoluta del modello europeo, di cui anche i principali protagonisti, a dir la verità, si dimenticano, è che l’Europa è il primo grande sistema politico che utilizza come prospettiva di sviluppo economico la crescita sostenibile. La crescita sostenibile significa che nessun fattore di sviluppo può essere utilizzato al di là di quanto esso naturalmente può offrire. Questa è la soluzione tra tutte la più coerente con lo sviluppo mondiale. Ove si volesse imporre all’antica civiltà europea – posta in un’area così complessa e variegata da tutti i punti di vista, con una densità di popolazione non paragonabile con quella di altre aree salvo la Cina e l’India – un modello politico d’intervento diretto per stimolare l’economia attraverso programmi bellici o parabellici, si farebbe un enorme passo indietro. Il dato sul quale bisogna puntare i riflettori è costituito all’opposto dalla assoluta novità della formula europea: ancorare lo sviluppo all’economia reale rifiutando gli stimoli artificiali. Il governo unitario, le imponenti manovre finanziarie, un forte potere politico e militare sono tutti elementi contrari ad uno sviluppo economico sostenibile. Il sistema politico dell’Europa è un sicuro fattore di pace, un modello che andrebbe esportato o ripreso in altre aree del globo. Dovrebbero individuarsi altre aree nel mondo dove sia possibile sviluppare un sistema di crescita economica sostenibile. Non c’è bisogno che tutti facciano lo stesso mestiere. Se la funzione straordinariamente innovativa si è concentrata durante gli scorsi decenni negli Stati Uniti, rimanga pure negli Stati Uniti. All’Europa spetta il compito di realizzare progetti di innovazione e sviluppo sganciati dalle dinamiche militari o belliche.


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