Le testimonianze di ventuno cardinali sul nuovo papa
Ventuno cardinali sul nuovo papa. Parte I
Bernardin Gantin
del cardinale Bernardin Gantin
decano emerito del Sacro Collegio
Sono molto contento che Benedetto XVI mi abbia ricevuto prima che io ritornassi in Benin per continuare a essere missionario romano in Africa. E sono molto contento che nella stessa mattinata il Papa abbia ricevuto anche il cardinale vicario Camillo Ruini e i vertici del Celam. Roma, l’Africa e l’America Latina insieme. Al Papa ho fatto gli auguri per un pontificato lungo e proficuo. E ho ricordato i problemi del mio continente, spesso dimenticato dai potenti di questo mondo, ma sempre nel cuore del successore di Pietro. Di Giovanni Paolo II ieri, del suo successore oggi. Ho parlato delle guerre che insanguinano la nostra terra, della fame che uccide grandi e piccini, delle sette che avvelenano la fede dei semplici, dell’islam che avanza, dell’Aids che fa strage di innocenti. A questo proposito sono rimasto colpito dal fatto che il primo appello del Papa nel primo Regina Caeli recitato dalla finestra del suo appartamento del Palazzo apostolico sia stato per la pace nel Togo, Paese confinante col mio Benin. Sono commosso dalla prontezza del Papa, anche se, ovviamente, avrei preferito non si rendesse necessario il suo intervento. Nella breve udienza abbiamo parlato del presente e del futuro. Non c’è stato tempo per nessun “amarcord”. Non posso comunque dimenticare il fatto che Benedetto XVI venne creato cardinale da Paolo VI nel 1977, e che in quello che fu un vero “miniconcistoro” – i neocardinali furono quattro –, la porpora venne concessa anche alla mia umile persona. Anche di questo sono grato al grande papa Montini.
Alfonso López Trujillo
del cardinale Alfonso López Trujillo
presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia
«La prima opera di Ratzinger che lessi fu Introduzione al cristianesimo. Mi impressionò per la sua chiarezza e per il modo di trattare, a partire dalla fede, i problemi del mondo contemporaneo. Mi offrì poi materia di riflessione la sua opera ecclesiologica Parola nella Chiesa. Fu come spalancare finestre per respirare il buon ossigeno della fede. I suoi criteri sono quelli giusti. Ai miei sacerdoti, a Medellín, ero solito regalare quel libro in occasione della loro ordinazione; è uno di quelli che deve stare nella biblioteca di ogni sacerdote. Credo di aver letto tutto ciò che è stato pubblicato del cardinale Ratzinger in spagnolo, e anche in italiano e in francese». Queste parole, scritte per il mio libro Testimonianze, uscito in spagnolo nell’ormai lontano 1997, conservano tutto il loro valore.
Posso aggiungere poi che la mia conoscenza con l’allora professor Joseph Ratzinger risale al 1971. Ero vescovo da poco e nella sede della Conferenza episcopale colombiana organizzammo un mese di corsi di aggiornamento teologico per i vescovi del Paese. E tra i conferenzieri c’era l’attuale papa Benedetto XVI. Ricordo come fosse oggi che il giovane professor Ratzinger a volte “spariva” dalla circolazione e si ritirava in un angolo per recitare il breviario o per preparare la conferenza successiva. A questo proposito sono testimone di come fosse molto abile nell’usare la tachigrafia per scrivere velocemente le proprie lezioni.Successivamente, nel 1988, quando ero presidente della Conferenza episcopale colombiana, organizzai una settimana di incontri tra i vescovi e il solo Ratzinger, che nel frattempo era diventato cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.Come membro della predetta Congregazione poi ho avuto modo di apprezzare in questi oltre venti anni le grandi doti umane e spirituali dell’attuale Pontefice. Il suo atteggiamento semplice, umile, tranquillo. La sua capacità di ascolto e di sintesi. La sua apertura paziente al dialogo. Senza mai dimenticare però l’obbligo di ricordare a tutti ciò che il Signore desidera dalla Sua Chiesa.Sempre nel mio libro del 1997 scrissi: «Francamente, in noi che lo conosciamo da vicino, provoca piuttosto ilarità vederlo ingiustamente qualificato come “grande inquisitore’”. Anzitutto, credo che solo la sua esemplare obbedienza l’abbia portato a una così difficile responsabilità, esercitata con l’autorità che si cementa nella verità serena, ma fermamente servita […]. Una nota poco conosciuta, forse, è quella della sua pazienza, di cui potrebbero testimoniare quelli che hanno avuto a che fare con lui nel compimento degli incarichi che gli ha affidato la Chiesa, inclusi i teologi della liberazione». Anche queste sono parole che a otto anni di distanza non hanno perso il loro valore… Anzi.Voglio chiudere questo mio breve intervento affermando che sono molto onorato dal fatto di essere stato tra i primi a essere ricevuti in udienza privata dal Papa. In quella occasione ho avuto modo di aggiornarlo sui preparativi dell’Incontro mondiale delle famiglie con il Papa previsto per la prima settimana del luglio 2006 a Valencia, in Spagna.
Giovanni Battista Re
del cardinale Giovanni Battista Re
prefetto della Congregazione per i vescovi
Se il nome Benedetto XVI è risultato per molti una sorpresa, per ciò che riguarda la brevità del conclave e l’elezione del cardinale Ratzinger non si può parlare di vera sorpresa a motivo della personalità del nuovo Papa.
Egli infatti era, già in anni lontani, tra i teologi di maggior spicco (salito in cattedra universitaria a trentun anni, perito del Concilio Vaticano II, ecc.); inoltre, dal 1977, da quando cioè Paolo VI lo nominò arcivescovo di Monaco e, qualche mese dopo, cardinale, era tra i personaggi più noti nel mondo per lo spessore intellettuale, per la visione dei problemi del nostro tempo e per l’impegno nella difesa dell’identità cristiana.La novità del nome non deve far pensare a una discontinuità con i suoi immediati predecessori: Benedetto XVI certamente continuerà la linea di Giovanni Paolo II, nella scia della bimillenaria tradizione della Chiesa. Lo ha dichiarato egli stesso, l’indomani della sua elezione, affermando che gli sembrava di «sentire la mano forte» di papa Giovanni Paolo II stringere la sua, e lui stesso dirgli: «Non avere paura!» (L’Osservatore Romano, 21 aprile).Papa Ratzinger unisce vigore e rigore intellettuale alla finezza umana e alla semplicità di modi. Rivelatrici della sua umanità sono anche le parole con cui, appena dopo l’elezione a papa, ha presentato sé stesso, definendosi «un semplice e umile lavoratore della vigna del Signore».La grandezza di un papa sta nel fatto di essere successore di san Pietro e, di conseguenza, vicario di Cristo in terra col compito di confermare i fratelli nella fede e di essere fondamento dell’unità della Chiesa. Cambia la persona, ma continua la stessa missione.Tuttavia, ogni papa porta la sua personalità, le sue origini, l’impronta che gli viene dall’ambiente in cui è avvenuta la sua formazione umana e cristiana. Pertanto lo stile di Benedetto XVI sarà diverso da quello del suo predecessore, ma non sarà differente l’amore a Cristo e il desiderio di servire l’umanità, aiutandola a crescere nella fratellanza, nella solidarietà, nel rispetto degli altri, nell’amore, nella giustizia e nella pacifica convivenza.In questi ventitré anni in cui è stato a capo del dicastero della Curia romana che si occupa della difesa e della promozione della fede cattolica, il cardinale Ratzinger ha manifestato di essere un grande testimone della verità su Dio e sull’uomo, senza cedimenti alle mode e senza mai cadere nella ricerca del successo di questo mondo.Nell’omelia del giorno in cui si è aperto il conclave, commentando san Paolo che esortava «a non lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina», il cardinale Ratzinger ha usato parole forti contro la «dittatura del relativismo», tanto diffuso oggi, «che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». E concludeva che una fede adulta non è quella che «segue le onde della moda e dell’ultima novità», ma è «la fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo» (L’Osservatore Romano, 19 aprile). Sono parole, queste, che fanno capire l’orizzonte del suo pensiero e della sua mentalità e che manifestano uno spirito coraggioso. Uomo di fede profonda, è disposto a incontrare e a dialogare con chiunque, purché sia ricercatore sincero della verità.Mentre Giovanni Paolo II era per natura un mistico e un filosofo, in Benedetto XVI prevale una spiritualità radicata nella tradizione dei Padri della Chiesa e una forte dimensione teologica.La scelta del nome si collega con l’impegno per la pace che caratterizzò Benedetto XV (1914-1922), il quale parlò della guerra come di «un’inutile strage» e fu infaticabile ricercatore di soluzioni pacifiche. Ma tale nome riprende soprattutto l’eredità di san Benedetto, fondatore del monachesimo, che da Montecassino si è diffusa in tutta Europa e che tanto ha influito nella formazione della civiltà europea, fondata sul riconoscimento del primato di Dio sulla storia e dello spirito sulla materia. Il nome Benedetto ha pertanto una profonda radice di fede, di cultura e di civiltà. Dei sedici papi che hanno scelto questo nome, ben dieci erano romani: nel nome vi è quindi anche una radice di romanità.L’esperienza ci insegna che ogni epoca ha il papa di cui ha bisogno, perché lo Spirito Santo agisce nella Chiesa e nei cuori.Lo straordinario interesse che il papato ha suscitato nel mondo in queste settimane e l’incisività che ha avuto nei cuori non solo manifesta quanto è viva la Chiesa cattolica, ma è anche segno di speranza che l’azione del nuovo Papa, pur tra le tempeste e le tribolazioni che non mancheranno, porterà frutti abbondanti di bontà e di bene all’umanità di oggi, segnata da un desiderio di infinito che nessuno potrà mai cancellare nei cuori umani.Benedetto XVI ora traccerà la sua strada, che sarà nuova e antica allo stesso tempo. Nell’omelia per la messa di inaugurazione del ministero pastorale come successore di Pietro, Benedetto XVI ha voluto ricordare e fare sue le parole di Giovanni Paolo II, risuonate il 22 ottobre 1978: «Aprite le porte a Cristo!». Con forza ha sottolineato che «il cristiano non è mai solo» e che chi fa entrare Cristo nella propria esistenza «non perde assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande» (L’Osservatore Romano, 25 aprile).D’ora in poi papa Ratzinger non avrà più il tempo di suonare Mozart al pianoforte. Sarà un Papa che rafforzerà nel mondo la fede; sarà un grande Pastore, esigente sul piano della fede e dei principi, ma col cuore pieno di bontà verso vicini e lontani, in un mondo assetato di amore e di ragioni di speranza e di vita.
Francis Arinze
La liturgia
È l’espressione della fede
del cardinale Francis Arinze
prefetto della Congregazione per il culto divino
e la disciplina dei sacramenti
Ho conosciuto l’allora cardinale Joseph Ratzinger quando era arcivescovo di Monaco, nel 1977 o 1978, durante una visita in Germania che feci quando ero arcivescovo di Onitsha, in Nigeria. Avevo sentito parlare di lui come teologo, ma non lo avevo mai incontrato prima. L’ho conosciuto molto meglio quando sono stato nominato da Giovanni Paolo II presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, cioè nell’84, e poi in qualità di membro della Congregazione per la dottrina della fede.
Io direi che è una grande personalità. In lui vedo un sacerdote, un vescovo, un cardinale e ora un Papa dedito a Gesù Cristo e alla Chiesa; una persona di fede, di fede cattolica senza sconto, intelligente. Papa Benedetto sa articolare la fede in forma chiara, lucida; in una forma che va bene per i dotti e non è troppo difficile per i semplici. Quando si ha la fortuna di ascoltarlo, si rimane sempre arricchiti dottrinalmente e spiritualmente. È una persona molto intelligente, ma allo stesso tempo non opprime l’altro, sa ascoltare. Se l’altro presenta davvero un argomento positivo, lui non esita ad accettarlo. Anche io l’ho visto pronto a cambiare la sua posizione quando si è trovato di fronte ad argomenti veramente persuasivi.
Spesso si dimentica che il ruolo della Congregazione per la dottrina della fede è quello di promuovere e difendere la fede e non di reprimere i teologi dissenzienti. Così la gente ha immaginato il cardinale Ratzinger solo come un arbitro severo e fiscale pronto a fischiare il fuori gioco o ad annullare dei goal non validi… Ebbene – anche se è giusto che ci sia un arbitro per evitare che il gioco finisca in “bottiglie rotte” – la fede è qualcosa di molto più importante di una partita di calcio, e la figura del cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto, non può essere ridotta a quella di un arbitro petulante. Basta vedere L’Osservatore Romano del 24 aprile con le due pagine fitte della sua bibliografia prodotta negli ultimi quarant’anni. Impressionante veramente!
Alle persone che non lo conoscono personalmente, io dico: aspettate, ascoltate, aprite gli occhi, aprite anche le orecchie, perché una persona non può vedere se chiude gli occhi e non può sentire niente se non vuole ascoltare.
Alcuni hanno paura della verità, perciò quando sentono parlare di Congregazione per la dottrina della fede subito dicono di soffrire di mal di testa o di pressione alta, ma io dico loro di non aver paura: quando leggerete di più i testi di questo Papa, sentirete, gusterete di più la gioia di essere fedeli testimoni di Gesù!
Papa Benedetto XVI da teologo e da cardinale ha scritto molto sulla liturgia, perché «lex credendi, lex orandi»: la liturgia è l’espressione della fede ed è la fede che guida la liturgia. La liturgia non è il campo di quelli a cui piace fare le cose di testa propria, non è il campo del “fai da te”. La liturgia è l’espressione ufficiale della fede della Chiesa, i misteri di Cristo che si celebrano. E il cardinale Ratzinger – oggi papa Benedetto – aveva idee abbastanza chiare sulla liturgia, e non aveva paura di esprimerle. Questo ci incoraggia molto nel nostro lavoro della Congregazione per il culto divino, come si può ben indovinare. Chi non ha paura di aprire le orecchie, intenda!
Bernard Francis Law
del cardinale Bernard Francis Law
arciprete della Patriarcale Basilica Liberiana
di Santa Maria Maggiore
Conoscevo i libri di Joseph Ratzinger teologo, ma il primo incontro con l’attuale Pontefice risale agli anni Ottanta, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e io ero delegato ecclesiastico della Conferenza episcopale statunitense per la pastoral provision dei membri del clero anglicano uxorato che volevano entrare nella Chiesa cattolica come sacerdoti. In pratica facevo da trait d’union tra la Congregazione che formalmente accordava agli anglicani il permesso di essere consacrati sacerdoti e i singoli vescovi che erano disposti a dare un ruolo pastorale a questi nuovi sacerdoti della Chiesa cattolica. Dopo il Sinodo straordinario del 1985, ebbi poi modo di frequentare più da vicino l’allora cardinale Ratzinger. In conseguenza di quel Sinodo infatti il Papa decise che venisse preparato un Catechismo ufficiale della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II nominò Ratzinger presidente della Commissione incaricata di redigerlo e io fui nominato tra i membri di questa Commissione. In quell’occasione ho avuto modo di lavorare fianco a fianco con Ratzinger. E questa per me è stata una esperienza straordinaria, una ricchezza per la mia vita. A questo proposito non posso dimenticare un fatto che mi lega personalmente alla figura del nuovo Papa e a quella del suo predecessore. Era il 27 maggio 1994, l’ultimo giorno di degenza di Giovanni Paolo II al Gemelli, dove era stato ricoverato per un’operazione all’anca. Proprio in quella mattina il Papa – ancora nella sua camera al decimo piano del policlinico – ricevette dall’allora cardinale Ratzinger e dal sottoscritto la prima copia, con la classica copertina di cuoio bianco, della versione inglese del Catechismo della Chiesa cattolica.
Con il cardinale Ratzinger ho partecipato anche a numerose riunioni di varie Congregazioni della Curia romana, durante le quali sono rimasto impressionato dai suoi pareri sempre preziosi. La sua capacità di ascoltare, la sua capacità di fare una sintesi degli interventi che ascoltava nel corso delle riunioni, di eliminare le confusioni, era una cosa meravigliosa.
Una cosa che mi ha poi sempre impressionato del cardinale Ratzinger è che, ascoltando o leggendo ogni suo intervento, si impara sempre qualcosa e che lui ha un particolare, straordinario, carisma per insegnare. Non solo. Il nuovo Papa è anche un uomo che vive la sua vita senza paura, perché ripone tutta la sua confidenza in Dio, in Gesù e nella Beata Vergine Maria. E questo si è visto anche nel modo semplice con cui ha accettato il compito umanamente inaudito di vescovo di Roma e successore di Pietro.
Dionigi Tettamanzi
della luce di cristo»
del cardinale Dionigi Tettamanzi
arcivescovo di Milano
«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Questa parola di Gesù è il fondamento indistruttibile e la motivazione più profonda che dà ragione di quanto abbiamo sperimentato in queste ultime settimane. È, infatti, questa affermazione di Gesù a spiegare l’amore che il popolo cristiano nutre per il Papa, per ogni Papa.
Le parole di Gesù giungono al termine di un dialogo serrato e sempre più coinvolgente tra Gesù e i suoi discepoli. Sono come la risposta e il suggello dello stesso Signore Gesù all’incisiva professione di fede dell’apostolo Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
È questa la stessa pagina evangelica che venne letta nel silenzio della Cappella Sistina nel tardo pomeriggio di martedì 19 aprile, subito dopo che il nuovo Papa aveva accettato la sua elezione canonica a sommo pontefice e aveva scelto di volersi chiamare Benedetto XVI. Ciò che un giorno lontano si era realizzato nel dialogo decisivo tra Pietro e il Signore Gesù, in quel preciso momento si rinnovava e si realizzava ancora una volta tra lo stesso Signore Gesù e il novello Pietro, che aveva il nome e il volto del cardinale Ratzinger.
Sono certo che la spiccata e ricca personalità del nuovo Papa si andrà rivelando a poco a poco, nello sviluppo del suo pontificato.
C’è un tratto della vicenda storica e della personalità del nuovo Papa che mi piace sottolineare. È il tratto della fedeltà al Concilio e della sua attuazione.
E oggi è ancora il Concilio a orientare il ministero appena iniziato del nuovo Papa. Egli, infatti, seguendo la scia del compianto Giovanni Paolo II, intende continuare il cammino nel terzo millennio «recando nelle mani il Vangelo, applicato al mondo attuale attraverso l’autorevole rilettura del Concilio Vaticano II», come ha detto con le parole pronunciate nella Cappella Sistina il giorno dopo la sua elezione.
Ora, «dove c’è Pietro lì c’è la Chiesa di Milano», come già sosteneva uno dei miei predecessori, l’arcivescovo Luigi Nazzari di Calabiana, riprendendo la nota espressione del nostro padre sant’Ambrogio («Ubi Petrus, ibi Ecclesia»). Sì, anche la nostra Chiesa si impegna a camminare in fedeltà al Concilio Vaticano II.
Tale Concilio, infatti, ha additato con nuovo vigore agli uomini del nostro tempo Gesù Cristo, quale «luce delle genti» e ha desiderato «ardentemente illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo che si riflette sul volto della Chiesa, annunciando il Vangelo ad ogni creatura» (Lumen gentium, n. 1). Come diceva già il nostro sant’Ambrogio: «La Chiesa rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia» (Esamerone IV, 32).
Chi fissa lo sguardo su Cristo Signore e nella fede lo riconosce unico, universale e necessario Salvatore dell’uomo e del mondo, è coinvolto nel dinamismo missionario della Chiesa: diviene testimone di Lui, il Risorto. Come ha detto il Papa domenica 24 aprile, «noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini», per proclamare a tutti, con la parola e con la vita, che «non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui».
Chi fissa lo sguardo su Cristo Signore, fa proprio il suo ardente desiderio, la sua precisa volontà: ut unum sint (Gv 17, 21), e cammina sulla strada dell’ecumenismo. E ancora: chi fissa lo sguardo su Cristo si apre al dialogo interreligioso, si apre – nella verità e nell’amore – all’uomo, a tutti gli uomini e a ciascuno, in particolare alle tante persone che vivono nel deserto.
Mi colpisce la richiesta che il nuovo Papa ha fatto e continua a fare con singolare insistenza: la richiesta del prezioso sostegno delle nostre preghiere. «Pregate per me»: è questa la domanda, anzi l’esortazione quanto mai personale e forte che Benedetto XVI ha consegnato anche a me nel breve ma assai emozionante momento di saluto e di omaggio nella Cappella Sistina subito dopo la sua elezione e ancora nella mattinata di venerdì 22 aprile al termine dell’incontro con tutti i cardinali. Inginocchiato davanti a lui, gli dicevo la vicinanza e l’affetto di tutta la nostra Chiesa ambrosiana e gli accennavo alle preghiere che lo accompagnavano. Ed egli mi rivolse, con tono insieme fermo e commosso, queste semplici, ma incisive parole: «E pregate per me!».
Dalla guglia più alta del Duomo, la santissima Madre di Gesù e della Chiesa, la nostra Madonnina, raggiunga con il suo sguardo e il suo sorriso Benedetto XVI e lo accompagni nel suo servizio di pastore universale.
Francis Eugene George
del cardinale Francis Eugene George
arcivescovo di Chicago
Papa Benedetto XVI è un uomo di fede, di fede cattolica, ed è anche un uomo di preghiera, che avrà tra i compiti principali quello di affrontare un processo di secolarizzazione aggressivo, particolarmente in Occidente.
Ho avuto modo di ascoltare l’allora cardinale Joseph Ratzinger durante una conferenza teologica a Philadelphia, negli Stati Uniti, prima che fossi nominato vescovo. Avevo già letto i suoi libri, non soltanto quelli sulla dottrina della Chiesa, sulla teologia fondamentale e sulla ecclesiologia, ma anche quelli di spiritualità, che sono stati un aiuto per me nella preghiera. Quando sono diventato vescovo, ho avuto modo di incontrarlo e parlare varie volte con lui. Mi ha sempre dato l’impressione di un uomo sereno e capace. Capace di ascoltare e di trovare i punti di consenso, rimandando ad altra occasione il confronto sui punti divergenti.Quando Benedetto XVI si è affacciato dal balcone di San Pietro e ha fatto quel gesto espansivo per salutare la folla ho pensato: ecco la grazia di stato, il cardinale Ratzinger prima non era così espansivo. Devo dire che per me è stato poi molto importante il momento in cui il cardinale Ratzinger ha accettato l’elezione a papa. In quel momento ho pensato: ecco, ora abbiamo una Chiesa completa, non c’è un comitato di cardinali, ma c’è qualcuno che ha nelle sue mani il potere delle chiavi.Devo dire che mi ha colpito anche la scelta del nome, con i riferimenti alla pace nel mondo (papa Benedetto XV) e al futuro dell’Europa (san Benedetto da Norcia). Credo che avremo un Papa profondamente sensibile alle correnti culturali di oggi.Benedetto XVI, poi, conosce bene la storia della liturgia, ed è consapevole che con la cosiddetta riforma liturgica qualcosa è andato perduto. Lui è indubbiamente un uomo del Concilio Vaticano II, come lo era Giovanni Paolo II. Ma sono passati quarant’anni, e dobbiamo vedere il bene e il male della riforma. E forse il nuovo Papa porterà equilibrio nel campo contestato della liturgia.
Paul Shan Kuo-hsi
e speranza all’umanitÀ
del cardinale Paul Shan Kuo-hsi
vescovo di Kaohsiung (Taiwan)
Sono molto felice che abbiamo un nuovo Papa, che è assai simile in molti aspetti al suo predecessore. È un dato di fatto che sia stato un grande amico di Giovanni Paolo II, il suo braccio destro, e così molti grandi progetti del precedente Pontefice possono essere continuati.
Il nuovo Papa è un uomo di fede profonda. Così anche se in una società secolarizzata c’è ogni sorta di venti e onde dottrinali – che la gente è indotta a seguire, e spesso non sa più dove andare perché ha smarrito la direzione, il senso della vita, il significato delle cose –, questo Papa, con la sua profonda fede in Dio e in Gesù, sa in modo molto chiaro in quale direzione vanno la Chiesa e l’umanità.E poi è un grande teologo, è stato per un quarto di secolo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e custode della fede della Chiesa, ha una visione e una prospettiva molto nette, di cui la Chiesa e l’umanità intera hanno bisogno. Da questo nuovo Papa io mi attendo che prima di tutto possa dare un senso di sicurezza alla Chiesa. Lui sa che negli ultimi decenni, seguendo i venti di diverse dottrine e fedi, gli stessi cristiani sono diventati cristiani da “caffetteria”, scelgono qui e là, prendono una cosa e ne rifiutano un’altra, non sanno più che la fede vale nella sua pienezza e richiede di essere presa nella sua totalità, non si può tagliarla a pezzi, pena la sua inautenticità. Questo Papa può darci la certezza della fede. In secondo luogo, papa Benedetto può portare all’umanità luce e speranza. Molti giovani cercano per il loro futuro una guida, un lume, una speranza che né i loro professori né i loro governi possono offrire. Vi è tanta confusione, e il Papa può offrire una luce, non la sua ma quella del Signore Gesù, che disse di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre», perché solo in Gesù Cristo noi abbiamo speranza e luce.Terzo, è bello il suo nome, Benedetto, che è quello del santo patrono dell’Europa occidentale. Giovanni Paolo II proveniva dall’Europa dell’est, che liberò dal comunismo ateo. L’Europa dell’ovest è oggi molto secolarizzata e la fede è assai indebolita. Come san Benedetto e i suoi monaci hanno mantenuto in Europa la tradizione e la cultura cristiana durante le invasioni dei barbari, così papa Benedetto può rivitalizzare le tradizioni e le radici della cultura e della società europee. Sappiamo pure che nel 1914, all’inizio della Prima guerra mondiale, fu eletto papa Benedetto XV che non voleva e non amava la guerra, ma cercò sempre la pace e la riconciliazione. E ricordiamo pure che scrisse – e l’impatto che ebbe fu grande – la celebre enciclica Maximum illud per promuovere le attività missionarie, come pure la creazione e la formazione del clero indigeno nelle terre di missione. Anche questo Papa si prodigherà per le missioni e per nuove vocazioni locali, porterà una più grande evangelizzazione nel mondo. Spero che, nel prendersi cura delle terre di missione, seguirà il suo predecessore Giovanni Paolo II, che, nel 1995 a Manila, parlando alla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia, disse che il terzo millennio sarebbe stato quello dell’evangelizzazione dell’Asia, e lo ripeté nella sua esortazione apostolica Ecclesia in Asia, dopo il Sinodo dei vescovi asiatici. Per papa Wojtyla, il primo millennio aveva visto l’evangelizzazione del Mediterraneo, il secondo delle Americhe, del nord e del sud, e di parte dell’Africa, e dunque il terzo millennio sarebbe stato riservato all’Asia. Spero che ciò non sia stato solo un suo desiderio o una sua preghiera, ma anche una profezia a cui spero che anche il nuovo Papa possa aderire.Infine, spero che sotto la guida di papa Benedetto XVI i teologi possano trovare termini nuovi per offrire la nostra fede in un modo accettabile dal mondo moderno, e comprensibile all’uomo comune.Offro queste mie speranze al nuovo Papa.
Theodore Edgar McCarrick
del cardinale Theodore Edgar McCarrick
arcivescovo di Washington
Credo che possiamo essere davvero tutti contenti che il Signore ci abbia donato questo nuovo Papa, Benedetto XVI. Ritengo che il fatto che il conclave si sia concluso così velocemente sia dovuto a quanto questo uomo ci ha colpito non solo per il modo in cui ha pregato per il nostro amato santo padre Giovanni Paolo II; non solo per i modi umili, gentili, affabili, ma pieni di bontà e dignità, con cui ha svolto il suo ruolo di decano del Sacro Collegio nei giorni tra la morte del Santo Padre e il conclave; ma anche perché, stando con lui, abbiamo cominciato a ricordare tutte le cose straordinarie che egli ha fatto per la Chiesa negli ultimi venticinque anni a fianco del Santo Padre. Egli ha svolto in modo splendido il ruolo di teologo del Santo Padre e di guardiano della dottrina della fede, che era tanto importante per Giovanni Paolo II e per tutti noi.
Con la loro saggezza, egli e il Santo Padre formavano una grande squadra che ha lavorato per il bene della Chiesa e per guidare i fedeli. Credo che, ci siamo ricordati quando lo guardavamo e lo ascoltavamo, che egli non è solo un grande teologo ma un uomo di fede. Ricordo di aver letto i suoi libri spirituali, i suoi libri di meditazione, libri che non solo rivelano la sua saggezza e la sua intelligenza, ma anche la sua umiltà, la sua pietà e la sua bontà. Così quando abbiamo scelto il nuovo Papa, il primo a essere eletto nel terzo millennio, ci siamo trovati in presenza di un uomo che ci aveva colpiti per il modo in cui ci aveva guidato per tre settimane e che ci ha fatto ricordare, con la sua bontà e con la sua santità, i doni straordinari che egli aveva già fatto alla Chiesa in tutti gli anni della sua vicinanza al papa Giovanni Paolo II. Nel mondo di oggi egli sembra avere la forza e la grazia necessarie per guidarci nel tempo a venire. Questo è il motivo per cui abbiamo tutti creduto che lo Spirito Santo ci abbia detto: ecco il vostro uomo, sceglietelo, seguitelo e rallegratevi, poiché vi ho dato questa nuova guida che vi farà da pastore. Siategli fedeli così come avete cercato di esserlo ai suoi predecessori. Negli Stati Uniti c’è questa usanza: il nuovo presidente, appena eletto, fa un discorso allo Stato dell’Unione nel quale spiega la sua posizione, la sua visione dello stato presente delle cose e i suoi progetti per il futuro. Credo che il Santo Padre, con grande lungimiranza, abbia fatto la stessa cosa nella sua prima omelia il 20 aprile. Non poteva averla preparata troppo tempo prima perché non poteva sapere che sarebbe diventato Papa; ma è stato come se lo Spirito Santo gli avesse detto: «Di’ loro di cosa la Chiesa ha bisogno nel suo cammino». Ed ecco tutte le cose che egli ha accennato, specialmente la sua volontà di basarsi sul lavoro del Concilio Vaticano II, di basarsi su quei grandi documenti. Siamo sempre stati consapevoli che Giovanni Paolo II è stato uno dei grandi padri del Concilio e che vi ha giocato un ruolo di primo piano, e che, nondimeno, anche il cardinale Ratzinger, papa Benedetto XVI, ha rivestito un ruolo di grande importanza in quanto uno tra i più grandi teologi del Concilio. Come siamo stati fortunati ad avere due uomini che sanno autenticamente interpretare il Concilio e autenticamente guidarci a seguirne i grandi insegnamenti, le grandi grazie, le grandi visioni! Ritengo quindi che siamo fortunati ad avere questo grande uomo. Alcune volte i media, (di certo non 30Giorni!), forniscono interpretazioni sulle persone, e spesso il cardinale Ratzinger è stato descritto come un uomo duro, forte, un uomo che non lavora con gli altri. Bene, nelle tre settimane in cui abbiamo vissuto con lui, abbiamo notato la sua collegialità, il suo essere collaborativo, la sua volontà di lavorare in gruppo e la sua affabilità: c’è in lui una grande gentilezza e una grande umiltà nel rapportarsi ai suoi fratelli cardinali. Dobbiamo ringraziare Dio di avere lui come papa, e prego che il Signore continui a benedirlo nel suo compito di guida del grande gregge di questa grande Chiesa cattolica negli anni che ci stanno davanti. Il Papa ci ha spiegato che ha scelto il nome Benedetto perché papa Benedetto XV è stato un uomo che ha lavorato per la pace e per la riconciliazione dei popoli del mondo, lacerato dalla terribile Prima guerra mondiale. Ha poi detto di averlo scelto perché san Benedetto è stato uno dei grandi patroni dell’Europa, Europa che ora deve unirsi per intraprendere il giusto cammino negli anni a venire. Quando ho sentito il nome, ho pensato che è “Benedictus” per noi perché sarà una benedizione per la Chiesa, e per tutti noi. Non che egli abbia preteso di esserlo. Lo sarà. Sarà una benedizione per noi in questo momento così critico per la vita della Chiesa e del mondo.
Desmond Connell
meravigliose
del cardinale Desmond Connell
arcivescovo emerito di Dublino
L’elezione di Benedetto XVI mi ha fatto un’ottima impressione.
All’annuncio del cardinale Medina, alcune persone probabilmente si sono chieste se il cardinale Ratzinger, ora Benedetto XVI, sia un pastore o piuttosto un teologo, o forse persino un uomo distante dal contatto con la gente comune. Ciò che abbiamo visto a partire dalla sua elezione dimostra che egli è un vero pastore. Sono stato molto colpito dalla sua omelia del giorno dell’inaugurazione del suo ministero, in particolare dall’uso dell’immagine del deserto. Molta gente, per vari motivi, inclusa la povertà e l’abbandono, vive nel deserto della società secolare moderna. Mi è sembrato che nelle parole del Santo Padre ci sia stata una meravigliosa compassione e comprensione della sofferenza della gente nel mondo moderno. Ho visto il Papa aprire il suo cuore alla sofferenza. Mi hanno anche molto colpito le questioni che egli ha a cuore. È ansioso di sviluppare la collegialità. Credo che ciò abbia suscitato una certa sorpresa, ma è chiaro che egli desidera trovare una strada per far progredire ciò che interessava al Concilio Vaticano II. È chiaro che, come Giovanni Paolo II, egli è un uomo del Concilio Vaticano II che vuole infondere nella Chiesa il pensiero di quel Concilio. Gli stanno molto a cuore anche la pace e la riconciliazione nel mondo. Egli sta seguendo l’esempio del suo predecessore Benedetto XV, il quale, durante la Prima guerra mondiale, intraprese i primi grandi passi della Santa Sede nel perseguimento della pace e della riconciliazione necessarie per rendere la vita vivibile. Papa Benedetto XVI è anche molto coinvolto nello sviluppo della missione ecumenica della Chiesa, poiché essa è parte fondamentale della ricerca dell’unità per la quale Cristo ha pregato durante l’Ultima Cena. Sono questi alcuni dei miei primi pensieri.
José da Cruz Policarpo
il messaggio di un nome
del cardinale José da Cruz Policarpo
patriarca di Lisbona
Joseph Ratzinger era tra i cardinali più conosciuti. L’esigente responsabilità della missione che ha svolto, nei suoi quasi ventiquattro anni come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, lo ha posto al centro di tutte le questioni vive della creatività teologica, sempre alla ricerca della sintesi tra la fede della Chiesa, le culture e i problemi del mondo contemporaneo. In questa missione egli ha saputo conciliare l’apertura dialogante con la fermezza nell’affermazione della fede. Ma non gli sono state risparmiate valutazioni critiche che, unilateralmente mediatizzate, tendevano a dare di lui una particolare immagine.
La sua elezione pone la Chiesa e il mondo di fronte a un dilemma: classifichiamo un pontificato, appena iniziato, a partire da un’immagine stigmatizzata dai media, non completa e non sempre esatta, o accogliamo il cambiamento che solo lo Spirito di Dio opererà?Con nostra commozione questo cambiamento è avvenuto in noi cardinali elettori, nel momento in cui siamo passati dal compiere un atto elettorale – durante il quale lui era uno di noi – all’inchinarci davanti a lui, con deferenza e fede, promettendogli fedeltà e obbedienza, perché lui era il pastore che, attraverso il nostro voto, Dio aveva appena messo alla guida della Sua Chiesa.La sua capacità di sorprenderci si è rivelata subito nel nome che ha scelto: Benedetto. Il giorno precedente la morte di Giovanni Paolo II, il nuovo Papa era stato a Subiaco, nel santuario di san Benedetto, patrono e grande evangelizzatore dell’Europa. Nella grande crisi di civilizzazione seguita alla caduta dell’Impero romano, la Chiesa ha mostrato che, in termini di evangelizzazione dell’Europa, è sempre possibile cominciare nuovamente, poiché Gesù Cristo porta con sé una speranza che traccia il senso supremo della vita e della storia della civiltà. La volontà di sviluppare la dimensione missionaria della Chiesa è stata un tratto storico anche di un grande Pontefice dell’inizio del XX secolo: Benedetto XV. Il nuovo Papa ha voluto subito spiegare, ai cardinali riuniti nella Sistina, che proprio la figura e l’azione di Benedetto XV hanno ispirato a lui la scelta di questo nome. Benedetto XV è stato il Papa della missione, il Papa della pace, un uomo che ha gettato ponti. San Benedetto, patrono dell’Europa, e il grande Papa che fu Benedetto XV hanno portato il nuovo Pontefice a scegliere quindi un nome che significa un progetto di Chiesa, una Chiesa al servizio dell’uomo e maestra al tempo stesso di umanità, perché sacramento di Gesù Cristo. Nella sua prima omelia, il giorno dopo la sua elezione, egli ha tracciato con fermezza il cammino da percorrere in questi nuovi tempi di missione. Ha sottolineato l’unità dei cristiani, cammino da percorrere con «gesti concreti che penetrino negli animi e smuovano le coscienze»; il dialogo interreligioso e interculturale, e la collaborazione con coloro i quali decidono i destini del mondo, per la ricerca della pace e l’edificazione di un mondo dal volto umano. Egli ha voluto indicare il Concilio Vaticano II «quale bussola con cui orientarsi», e ha ribadito la sua «decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II». Il Vaticano II è stato una svolta così grande, una sintesi talmente decisiva in tutti i campi del pensiero ecclesiologico, che molti aspetti sono ancora da approfondire e sviluppare, non in senso teorico, bensì per trarne tutte le conseguenze di azione e di atteggiamento pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo.