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ITALIA REFERENDUM
tratto dal n. 05 - 2005

Delicati equilibri in tema di procreazione assistita



di Fernando Santosuosso


In sala parto pochi minuti dopo la nascita di un bambino

In sala parto pochi minuti dopo la nascita di un bambino

Alcuni aspetti di fondo
Sui tanti problemi relativi alla procreazione assistita si discute da molto tempo; basti pensare che una proposta per disciplinare la materia fu presentata dai parlamentari Gonella e Manco alla nostra Camera dei deputati il 25 novembre 1958, e altre proposte vennero fatte invano in tutte le successive legislature. È noto che per troppi anni, a differenza di quasi tutti gli altri Stati, l’applicazione delle tecniche di detta procreazione sono rimaste affidate alla sola deontologia professionale degli operatori, e che solo da quando, attraverso una sorprendente mediazione fra contrapposte tendenze, si è riusciti nel febbraio del 2004 ad approvare la prima regolamentazione, sempre più numerosi sono i cittadini che stanno rendendosi conto di come la materia implichi un arduo bilanciamento fra varie esigenze.
Così è stata prospettata di recente una diversa (e radicale) impostazione delle finalità normative che il legislatore nazionale dovrebbe ritenere meritevoli di tutela (in particolare se, accanto all’evidente scopo di ovviare alle cause di sterilità delle coppie, le tecniche e le norme relative alla procreazione assistita debbano perseguire anche il fine di evitare la nascita di bambini malati da coppie fertili). Inoltre ci si chiede preliminarmente se la fecondazione umana debba essere lasciata alla libertà pressoché illimitata delle coppie e dei singoli, oppure se sia doveroso porre delle regole, quanto meno per impedire offese alla natura e alla dignità umana (come quelle di utilizzare gli embrioni come cavie, selezionarli per motivi eugenetici, produrli illimitatamente e abbandonarli senza responsabilità di nessuno, consentire la maternità assistita ai single e anche a chi ha l’età delle nonne, oppure l’affitto dell’utero e così via).E dal momento che su questa legge sono stati proposti cinque referendum abrogativi, si pone una domanda di base: se anche (o soprattutto) in materie così delicate debbano valere le condizioni affermate costantemente dalla Corte costituzionale circa la chiarezza dei quesiti e il rispetto della libertà dei votanti di potersi esprimere selezionando ciascuna delle eterogenee questioni cumulate in uno stesso referendum. In proposito va accennato che nello stesso referendum numero 1 si propone l’abrogazione di quattro disposizioni della legge numero 40, relative a diverse questioni (clonazione terapeutica, altri scopi della ricerca sull’embrione, crioconservazioni senza limiti di numero e di tempo); i referendum numeri 2 e 3 incidono ripetitivamente su ben nove articoli della legge, tra cui la norma che annovera anche il concepito tra i soggetti da tutelare; e l’ultimo referendum non chiarisce se fra le fecondazioni “di tipo eterologo” (che non dovrebbero essere vietate) si comprende anche la tecnica fecondativa mediante affitto dell’utero.
Non si può considerare l’embrione una “cosa” di cui si possa liberamente disporre, sia pure nell’interesse di altri
Coerenza in sede
di ammissibilità
Sempre con riferimento a specifici problemi posti dalla prossima consultazione popolare e dalle relative sentenze della Corte costituzionale, va ricordato che detta Corte ha ritenuto di fare un primo bilanciamento dei valori in gioco, da una parte dichiarando (con sentenza numero 45) inammissibile il referendum per l’abrogazione dell’intera legge numero 40 del 2004, e dall’altra (come le successive tre sentenze) dando corso ai referendum diretti ad abrogare numerose norme della stessa legge. Sia consentito di notare in proposito qualche incoerenza. Invero con la prima sentenza è stato riconosciuto che la procreazione assistita coinvolge alcuni interessi di rango costituzionale, non sottoponibili a referendum, e che un livello minimo di tutela legislativa è necessario per evitare violazioni di diritti umani, come le pratiche di eugenetica o di clonazione, vietate anche da vari atti normativi sovranazionali.
Senonché alcune di queste affermazioni sembrano contraddette da altri orientamenti delle successive tre sentenze: in particolare dall’ammissibilità dei referendum intesi ad abrogare appunto il divieto di clonazione, il divieto di procreazione assistita per le coppie fertili, il divieto di superproduzione di embrioni destinati all’abbandono o alla ricerca, il divieto di fecondazioni di tipo eterologo, e soprattutto la menzione del “concepito” fra i soggetti coinvolti in queste pratiche.
Un neonato riceve le prime cure dopo il parto

Un neonato riceve le prime cure dopo il parto

Equilibri fra tutela
del concepito
e diritti della madre
A quest’ultimo proposito, si profila il doveroso equilibrio fra una posizione di subordinazione dei diritti del concepito alla salute e alla vita della madre e l’esigenza di considerare l’embrione, non come una “cosa” di cui si possa liberamente disporre sia pure nell’interesse di altri, ma un essere che, senza mutare natura nel corso del suo continuo sviluppo, ha diritto alla vita e alla dignità umana (come riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenza numero 35/1997), alla stessa stregua delle persone che non siano psicologicamente presenti. Da acuti studiosi, che si propongono di dare mano libera agli operatori sul numero e sulla disponibilità degli embrioni, si sostiene la distinzione fra il processo di vita comprensivo delle operazioni di fecondazione, nel corso del quale a un certo punto si ha il sorgere dell’inizio della vita dell’embrione, con la conseguenza di non estendere la tutela di questo individuo a tutto lo svolgersi di quel processo. Ma sembra abbastanza evidente la forzatura di questo sofisma.
Analogo equilibrio va ravvisato, come già rilevato, fra l’esigenza che le tecniche di procreazione assistita debbano tener conto della salute della donna, evitando il più possibile di crearle grossi disagi, e d’altra parte la necessità che le tecniche stesse non debbano determinare l’abbandono di troppi embrioni o la loro distruzione, specie per utilizzare cellule staminali, peraltro prelevabili dal cordone ombelicale o dagli adulti.A questo punto si pone l’esigenza di conciliare l’efficacia della fecondazione con il minimo disagio possibile per la donna e un numero non eccessivo di embrioni da produrre e impiantare. La legge numero 40 sembra prestarsi a una interpretazione non felice, come se obbligasse a creare non più di tre embrioni da impiantare tutti contemporaneamente. In realtà un’interpretazione più corretta e saggia dovrebbe essere quella di espiantare una sola volta dalla donna (per evitare altre stimolazioni ovariche) il maggior numero di ovociti e congelarli (come risulta dall’articolo 14 numero 8); vengono quindi prelevati gli ovociti necessari alla fecondazione di un numero non superiore a tre alla volta; dovrebbe infine essere il medico a decidere quanti embrioni impiantare, in un unico momento o in succcessivi tentativi di impianto, tenendo conto anche di eventuali fecondazioni plurime, o di qualche embrione residuo da utilizzare in seguito. Altro problema delicato, su cui si scontrano diverse esigenze, è quello della diagnosi preimpiantatoria degli embrioni e delle sue conseguenze. Anche qui la legge ha cercato una soluzione equilibrata consentendo la ricerca clinica e la sperimentazione su ciascun embrione, ma a condizione che ciò tenda alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e non a scopi eugenetici o selettivi. Le Linee-guida emanate dal ministro prevedono in proposito che «qualora dall’indagine vengano evidenziate gravi anomalie irreversibili dello sviluppo di un embrione, il medico responsabile della struttura ne informa la coppia ai sensi dell’articolo 14, comma 5». Si precisa inoltre che «ove in tal caso il trasferimento dell’embrione, non coercibile, non risulti comunque attuato, la coltura in vitro del medesimo deve essere mantenuta fino al suo estinguersi».
Un genetista al microscopio durante una fecondazione artificiale

Un genetista al microscopio durante una fecondazione artificiale

Incoercibilità dell’impianto
e limiti alla revocabilità
del consenso
I principi appena indicati si inquadrano nel già accennato dovere di bilanciamento tra la tutela della salute della donna e la sorte degli embrioni prodotti. Invero, l’articolo 14 non solo prescrive che la coppia debba essere informata sul numero e sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire in utero, ma stabilisce anche che, qualora tale trasferimento non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento da realizzare non appena possibile.
In altri termini, la legge tende a ridurre la superproduzione di embrioni e a consentire la crioconservazione (e la distruzione) di embrioni solo nelle ipotesi strettamente inevitabili. Non si è potuto ovviamente prevedere la coercibilità dell’impianto (anche per rispetto del principio contenuto nell’articolo 32, secondo comma, della Costituzione), ma, essendo stato previsto che il consenso (responsabilmente espresso e sottoscritto) della coppia alla fecondazione sia preceduto da una rigorosa informazione e da avvertimenti su tutte le conseguenze, si è consentita la revocabilità di detto consenso, ma non oltre il momento dell’avvenuta fecondazione. Quest’ultimo limite era stato implicitamente affermato anche dalla sentenza numero 347 del 1998 della Corte costituzionale.Ma per conciliare il contemporaneo rispetto dei due principi (della non coercibilità e limiti alla revocabilità), dovrebbe prevedersi che la revoca, non giustificata e oltre i limiti temporali consentiti, determini altri tipi di responsabilità o di provvedimenti, che la legge attuale non ancora contempla.
Le Linee-guida emanate dal ministro prevedono in proposito che «qualora dall’indagine vengano evidenziate gravi anomalie irreversibili dello sviluppo di un embrione, il medico responsabile della struttura ne informa la coppia ai sensi dell’articolo 14, comma 5». Si precisa inoltre che «ove in tal caso il trasferimento dell’embrione, non coercibile, non risulti comunque attuato, la coltura in vitro del medesimo deve essere mantenuta fino al suo estinguersi».

Abbandono degli embrioni
e loro destinazione
L’esposta situazione suggerisce qualche rilievo diretto a conseguire un ulteriore bilanciamento (da auspicare in sede di futuro miglioramento della legge), circa la destinazione degli embrioni dichiarati in stato di abbandono (va ricordato che gli embrioni oggi congelati ammontano a varie diecine di migliaia). Invero le predette Linee-guida ministeriali prevedono due tipologie di embrioni crioconservati: quelli in attesa di un futuro impianto e quelli per i quali sia stato accertato lo stato di abbandono. Questa seconda tipologia, attualmente molto frequente, ricorre: o quando il centro operativo abbia avuto rinuncia scritta all’impianto, oppure se il centro provi di avere ripetutamente tentato invano di contattare la coppia per almeno un anno, oppure quando dimostri la sua non rintracciabilità. Le Linee-guida aggiungono che «gli embrioni definiti in stato di abbandono saranno congelati e crioconservati in maniera centralizzata con oneri a carico dello Stato». In mancanza di precise norme circa la destinazione degli embrioni definiti in stato di abbandono, può prevedersi che la loro sorte sarà l’estinzione, se prima non finiscano nel giro del mercato nero per varie utilizzazioni.
Resta l’auspicio che l’esperienza e il risultato di studi e dibattiti conducano a soluzioni meno gravi, quali anzitutto la loro destinazione (da parte di un’autorità) al completamento vitale presso altre coppie richiedenti e coi requisiti degli adottanti. In estremo subordine, potrebbe considerarsi l’eventuale utilizzazione (più ragionevole rispetto alla loro sicura distruzione) per scopi scientifici o terapeutici a favore di altri embrioni o di esseri viventi, fermo restando comunque il prescritto divieto di produrre embrioni unicamente per destinarli come oggetto di ricerca o solo per il prelievo di cellule staminali.
Anche se le fecondazioni di tipo eterologo sono facilmente realizzabili oltre confine e se la nostra legge numero 40 lascia già tanto spazio, anche ai non abbienti, di ottenere la fecondazione con seme di chi si dichiari “convivente”, senza requisiti di durata, e quindi pur di un solo giorno, oppure con seme del marito o del convivente miscelato ai gameti di un altro uomo, comunque permangono seri motivi di principio (oltre che per le rischiose conseguenze di detti interventi) giustificatori del divieto. Basti, invero, considerare gli effetti negativi sulla coppia...

Aspetti più equilibrati
in tema di fecondazioni
di tipo eterologo
L’ultimo dei referendum propone l’abrogazione delle norme della legge che vietano «il ricorso a tecniche di procreazione assistita di tipo eterologo», cioè al decisivo intervento di terzi donatori estranei alla coppia (e tale intervento sembra comprensivo anche del caso di donne donatrici del proprio utero). La proposta abrogativa si ispira alla assurda filosofia di fondo di «escludere sempre il dato biologico come fondamento delle relazioni familiari», fondamento che era stato invece uno dei cardini della riforma del diritto di famiglia del 1975.
Anche se le fecondazioni di tipo eterologo sono facilmente realizzabili oltre confine e se la nostra legge numero 40 lascia già tanto spazio, anche ai non abbienti, di ottenere la fecondazione con seme di chi si dichiari “convivente”, senza requisiti di durata, e quindi pur di un solo giorno, oppure con seme del marito o del convivente miscelato ai gameti di un altro uomo, comunque permangono seri motivi di principio (oltre che per le rischiose conseguenze di detti interventi) giustificatori del divieto. Basti, invero, considerare gli effetti negativi sulla coppia (derivanti dalla non coincidenza tra chi concepisce il figlio e chi dovrebbe essere poi il suo genitore, nonché la posizione asimmetrica dei componenti della coppia) e gli effetti altrettanto negativi sul figlio (sviluppo squilibrato della sua personalità nel delicato processo di costruzione dell’identità e varie altre difficoltà circa l’accertamento del suo status). Senza contare i rischi per l’intervento di sconosciuti (a Londra da una coppia bianca sono nati, mediante fecondazione eterologa, due bambini neri; ed è anche possibile il pericolo di incesto fra i numerosi figli di unico donatore), oltre che le frequenti liti giudiziarie per l’identificazione della maternità legale, nella persona della donna che ha donato l’utero oppure in quella che ha commissionato la gravidanza.
La legge numero 40 costituisce certo una buona base per un’opera di completamento che determini ulteriori equilibri in questa ardua materia
Problemi di bilanciamento
in tema di genitorialità
A quest’ultimo proposito, non risultando in modo assolutamente certo dalla legge numero 40 quale sia la soluzione normativa dell’accennato grave problema circa l’identificazione della madre legale (ovviamente necessaria anche se la procreazione per surrogazione resti vietata), può esporsi qualche elemento utile a una scelta equilibrata, che potrebbe essere chiarita in un futuro intervento legislativo. A fondamento della maternità sembra anzitutto logico esigere almeno uno dei due elementi naturalistici (la provenienza dell’ovulo o la gestazione), e non meramente l’elemento volitivo (efficace solo nella ben diversa filiazione adottiva). In realtà il criterio-base previsto dall’articolo 269 del Codice civile era, ed è ancora, quello di riconoscere la maternità legale nella donna partoriente.
Nella peculiare ipotesi di procreazione assistita, ove il conflitto sorga fra due donne, ognuna delle quali fornitrice di uno dei due indicati elementi naturalistici, il conflitto andrebbe risolto a favore della donna che cumuli uno di questi elementi a quello della volontà della procreazione, con l’ulteriore priorità per chi abbia preso l’iniziativa di far ricorso a dette tecniche. Anche nell’identificazione della paternità occorrerebbero altri interventi migliorativi, specie in tema di requisiti della convivenza, di presunzioni legali, di azione di disconoscimento, di miscela di semi. Non potendosi esaurire in questa sede i problemi sulla genitorialità, né quelli che in precedenza sono stati accennati, va affermato in conclusione come sia stato già tanto riuscire anche in Italia, dopo molto tempo ed estenuanti dibattiti, a raggiungere alcuni importanti equilibri con la legge numero 40. La quale costituisce certo una buona base per un’opera di completamento che determini ulteriori equilibri in questa ardua materia, peraltro suscettibile di evoluzione tecnico-scientifica. Ma sempre per andare avanti, non per distruggere tutto rendendo così ancora più difficile ricominciare da capo.


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