Per un’Europa più mediterranea
La conferenza tenuta dall’ex presidente del governo autonomo della Catalogna il 19 maggio 2005 a Roma, nell’ambito delle iniziative promosse dall’Osservatorio del Mediterraneo. Bilanci e prospettive del Processo di Barcellona a dieci anni dalla sua nascita
di Jordi Pujol

Jordi Pujol
Spero che la vostra benevolenza mi consenta di spiegarvi tutta la questione non solo dal punto di vista spagnolo, ma anche da quello catalano, in primo luogo perché sono stato per ventitré anni il presidente del governo autonomo della Catalogna e, ricoprendo tale carica, ho lavorato a lungo su questo tema; in secondo luogo perché, effettivamente, la richiesta iniziale e più insistente a favore di una politica mediterranea spagnola viene proprio dalla Catalogna.
Nel 1987 il governo della Catalogna ha avviato una campagna di contatti e di conferenze in giro per l’Europa su due temi: sul Mediterraneo in generale e, rispondendo a un interesse più specificamente catalano, sul ruolo e le possibilità del Mediterraneo nord-occidentale, cioè il nord Italia, la costa mediterranea francese e la costa mediterranea spagnola fino a Valencia e ad Alicante. Di questi temi abbiamo parlato da Stoccolma al Cairo, da Bruxelles a Monaco e, naturalmente, a Casablanca e a Tunisi.
Adesso, però, farò riferimento all’argomentazione europea globale, cioè alla necessità, secondo il nostro punto di vista, che l’Ue presti maggiore attenzione al Mediterraneo.
Abbiamo cercato di far notare che l’interesse dell’Ue era focalizzato principalmente sull’Europa centrale e molto poco sull’Europa meridionale e il Mediterraneo. Fino ad allora questo disinteresse era stato molto accentuato, nonostante sin dal primo momento l’Italia avesse partecipato al processo di unificazione e fosse stata un Paese particolarmente dinamico all’interno della Cee. Ma il peso dell’asse franco-tedesco, la preoccupazione principale rappresentata dai Paesi comunisti dell’Est e la lontananza fisica e mentale della Gran Bretagna facevano del Mediterraneo un’area del tutto secondaria. Ricordo che verso il 1988, in una riunione del Comitato “Jean Monnet” a Parigi, a un mio intervento sulla necessità di rivolgere più attenzione al Mediterraneo, Edward Heath, ex primo ministro britannico, mi lasciò interdetto con la seguente osservazione: «Ma è proprio sicuro, Pujol, che il tema mediterraneo sia così importante?».
Ma verso il 1990 ci sono stati dei cambiamenti. Da una parte, l’ingresso nella Cee di Spagna, Portogallo e Grecia, che rafforzava la presenza e il peso dell’Italia, aveva spostato verso sud il centro di gravità dell’Europa. Dall’altra, una volta abbattuta la cortina di ferro, era diventato più evidente che la frontiera più problematica dell’Europa fosse il Mediterraneo. Era la frontiera del sottosviluppo, dell’esplosione demografica, dei grandi movimenti migratori, del fondamentalismo e del terrorismo. La nostra ammonizione sull’importanza del Mediterraneo ha avuto allora una maggiore accettazione.
Tutto ciò è avvenuto in concomitanza con un importante progresso nei rapporti tra la Spagna e il Marocco e con un momento di prestigio della Spagna, resosi evidente, tra l’altro, con la Conferenza di Madrid del 1991 sul vicino Oriente e con la Conferenza di Oslo. Devo dire, però – e spero che questo non dia fastidio a nessuno –, che sono rimasto alquanto sorpreso del fatto che la Francia e l’Italia non esercitassero molte pressioni perché il Mediterraneo fosse tenuto in maggiore considerazione. L’atteggiamento della Francia non mi stupiva più di tanto, perché so che la sua ossessione è stata sempre la Germania e che, nonostante i suoi interessi nel Mediterraneo, ha sempre considerato questo un tema secondario. L’atteggiamento dell’Italia mi stupiva di più.
Infine, nel secondo trimestre del 1995 le circostanze favorevoli prima menzionate hanno coinciso con la presidenza spagnola della Ue. Era un momento in cui le relazioni di Felipe González con il cancelliere Kohl, con Jacques Delors e con il presidente Mitterrand erano particolarmente buone. In quel periodo, inoltre, il governo socialista poteva governare in Spagna solo grazie all’appoggio parlamentare dei nazionalisti catalani, in particolare del Ciu (Convergència i unió); e noi chiedevamo con grande insistenza una politica europea di maggiore attenzione verso il Mediterraneo.
Da tutto ciò è sorta una forte richiesta del governo spagnolo, cui ha corrisposto un atteggiamento ricettivo da parte della Commissione e, in generale, dei Paesi dell’Ue.
Perché possiate comprendere l’importanza che questo tema aveva per noi, in Catalogna, vi racconterò un episodio particolare. Nel settembre del 1995 andai a trovare il presidente del governo spagnolo Felipe González per dirgli che il mio partito non poteva più appoggiare il suo governo, che era minoritario e dipendeva dai nostri voti. Ciò significava elezioni anticipate. Il presidente comprese la situazione, ma ci trovammo d’accordo sul fatto di non sciogliere il Parlamento fino alla fine dell’anno, in modo che lui potesse portare a termine la presidenza europea del semestre con due obiettivi fondamentali: negoziare i fondi di coesione europei e promuovere una nuova politica europea sul Mediterraneo attraverso la Conferenza di Barcellona. La situazione politica spagnola era molto tesa e il governo socialista aveva perso credito. Il mio partito dovette quindi sopportare molte critiche per non aver fatto cadere subito il governo. Ma i due obiettivi di cui ho parlato pesano nel nostro animo più di tutte le critiche.
Il 28 dicembre, terminato il semestre di presidenza spagnola dell’Ue, svoltasi con successo la Conferenza e avviato il Processo di Barcellona, un anno prima della fine della legislatura, il presidente González ha indetto le elezioni.
Come dicevo, la Conferenza è stata un successo. Per la prima volta l’Ue, attraverso il programma Meda, ha preso un impegno economico veramente importante nei confronti della costa Nord e della costa Sud. E di fatto l’impegno era soprattutto nei confronti della costa Sud. Per la prima volta l’Ue ha manifestato in questo senso una chiara volontà politica. Le prospettive del Processo sembravano favorevoli.
È bene ricordare che alla Conferenza di Barcellona è subito seguito il Forum civile euromediterraneo, svoltosi anch’esso a Barcellona. Tale evento implicava la mobilitazione dei governi degli Stati e delle istituzioni europee, ma anche della società civile, sia del Nord che del Sud. Anche il Forum si è rivelato un successo.
Erano tutti d’accordo sulla necessità di agire rapidamente. Gli squilibri economici, demografici e sociali tra la costa Nord e la costa Sud diventavano sempre più grandi.

Il primo ministro spagnolo Felipe González durante i lavori della Conferenza euromediterranea di Barcellona nel 1995
Bisogna dire che neanche la risposta dei Paesi della costa Sud è stata molto efficace.
Un forte sviluppo di questi Paesi sarà possibile solo attraverso un processo di riforme serio ed efficiente: democratizzazione, maggiore efficienza e trasparenza nell’amministrazione statale, più agilità e sicurezza nell’amministrazione della giustizia. Non è che dal 1995 a oggi non si siano fatti passi avanti in questa direzione (in Marocco, per esempio, c’è stato un evidente progresso), ma nell’insieme sono mancate agilità e decisione.
Dico tutto ciò con una punta di delusione. Innanzitutto perché quando ero presidente della Catalogna, dal 1980 al 2003, la promozione della politica mediterranea è stato uno dei miei obiettivi – ed è stato in generale un obiettivo della Catalogna – e devo constatare che i nostri tentativi di rilanciare il Processo si sono rivelati vani. In particolare se n’è disinteressato il governo del Partido popular, nonostante l’opinione personale favorevole del ministro degli Affari esteri Piqué. In secondo luogo perché il danno non è stato solo per la costa Sud, ma per tutto il Mediterraneo e per tutta l’Europa meridionale. E ciò ha avuto una ripercussione particolarmente negativa perché in questi anni l’Ue si è allargata verso Nord (Paesi scandinavi) e soprattutto verso Est. Questo aspetto, da solo, doveva per forza rappresentare una perdita di peso per l’Europa meridionale, che un Processo di Barcellona potente e produttivo poteva in parte frenare.
Nel frattempo, la distanza tra il Nord e il Sud del Mediterraneo è diventata sempre più grande.
Ma adesso, esattamente a dieci anni di distanza dalla Conferenza di Barcellona, siamo in presenza di circostanze che, a mio giudizio, rendono possibile un rilancio vigoroso del Processo.
Innanzitutto l’Ue si è finalmente posta il problema del suo neighborhood, dei suoi vicini. È vero che se lo pone soprattutto rispetto alla Turchia e all’Ucraina, e persino rispetto alla Russia, ma, una volta iniziato il processo, il Mediterraneo non potrà essere lasciato fuori.
In secondo luogo, l’attuale governo spagnolo vuole mantenere una buona relazione con il Marocco e con tutto il Maghreb. E vuole cogliere l’occasione del decimo anniversario della Conferenza euromediterranea di Barcellona per rilanciare il Processo.
In terzo luogo, i conflitti mediterranei della metà degli anni Novanta si sono risolti o sono sensibilmente migliorati (tensioni turco-greche, conflitti balcanici, guerra civile in Algeria, ecc.). E, come dicevo, il Marocco ha progredito dal punto di vista democratico e civile.
In quarto luogo, la fortissima immigrazione che viene dal Sud del Mediterraneo ha sensibilizzato l’opinione pubblica e i governi europei.
In termini più generali, si può dire che tutto ciò che ha a che fare con l’islam interessa oggi molto di più di dieci anni fa.
C’è, infine, anche una maggiore consapevolezza della necessità di combattere il sottosviluppo. A questo hanno contribuito fattori assai diversi tra loro, quali la globalizzazione, il terrorismo, un’immigrazione massiva e una maggiore sensibilizzazione della coscienza universale, e più specificamente di quella europea. Prova ne è la proposta della Gran Bretagna che questa volta ha difeso Gordon Brown nei forum internazionali e che Tony Blair porterà al G7. Ne è un’altra prova il fatto che nell’Ue si parli di mettere una tassa sulle tariffe aeree destinata a favorire la crescita dei Paesi meno sviluppati. Non so se questa sia la misura migliore, forse un’altra sarebbe più efficace, ma è una prova di cambiamento di mentalità. È bene anche ricordare che alcuni economisti, come Jeffrey Sachs, parlano di “the end of poverty”, la fine della povertà, e che ne parlano credendo davvero che sia possibile; in parte perché adesso assistiamo a una crescita economica molto generalizzata; in parte perché vari Paesi, quali Brasile, Sudafrica, India, ecc., ma anche altri più modesti, si stanno muovendo con grande efficienza; e ancora, perché nei Paesi ricchi si comincia a capire che esistono problemi che riguardano tutti noi – tra cui il terrorismo – che non possono trovare soluzione se non con un grande progresso economico e sociale molto diffuso. Nel nostro caso, si comincia a capire che alcuni problemi che interessano seriamente l’Europa – soprattutto terrorismo e immigrazione – potranno essere risolti solo con una buona cooperazione tra Nord e Sud.

Sopra, una regata velica per la pace davanti alla costa di Barcellona
Permettetemi quindi di insistere su un punto. Finalmente, come dicevo, seppure troppo tardi, la Ue comincia a porsi la questione dei suoi vicini. Potrebbe darsi che l’Unione faccia ad alcuni Paesi una proposta di accordo strategico di carattere economico e sociale, e di fatto anche politico, senza però contemplare la possibilità di un’integrazione. Personalmente, credo che questo si sarebbe dovuto fare già vent’anni fa con la Turchia. Adesso è tardi, nonostante ci siano ancora importanti resistenze all’ingresso della Turchia.
Sempre vent’anni fa, re Hassan chiese l’ingresso del Marocco nell’Ue. La risposta fu ovviamente negativa. Ma l’Ue non dovrebbe limitarsi a dire di no. Dovrebbe studiare seriamente una proposta di collaborazione molto stretta con i Paesi del Nord Africa. Un po’ sulla linea di “everything but institutions”; vale a dire, non essere membro dell’Unione ma stabilire una relazione economica e sociale molto privilegiata. E credo che l’Italia e la Spagna dovrebbero prendere l’iniziativa in questo senso.
Comunque, ripeto, il governo spagnolo vuole cogliere l’occasione di questo decimo anniversario per rilanciare il Processo. Qual è la posizione dell’Italia, e quale quella della Francia? Qual è la posizione dell’Ue?
L’allargamento a Est e la problematica russa, o la tensione non ancora risolta di alcuni Paesi europei con gli Usa, potrebbero far sì che l’Ue continui a non interessarsi al Mediterraneo. Sarebbe un grave errore, che soprattutto l’Italia e la Spagna dovrebbero evitare.