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ARTE
tratto dal n. 06 - 2005

Caravaggio, san Carlo e donna Costanza


Uno studio molto accurato getta nuova luce sulla vita del grande pittore e scopre il ruolo decisivo giocato da Costanza Colonna, a sua volta in stretta relazione con san Carlo Borromeo, che sponsorizzò il matrimonio “lombardo” della Colonna con un erede Sforza


di Giuseppe Frangi


Michelangelo Merisi da Caravaggio

Michelangelo Merisi da Caravaggio

Che cosa sarebbe stato di Caravaggio senza questa donna-ombra che lo ha seguito passo passo per tutta la sua vita? Non ci si può non porre una simile domanda dopo aver letto la poderosa, documentatissima e affascinante storia che Giacomo Berra ha ricostruito attorno agli anni giovanili del grande pittore lombardo. La donna in questione portava un cognome celebre: era infatti una Colonna, seconda figlia di quel Marcantonio, protagonista nel 1571 della battaglia di Lepanto e nominato da Filippo II, nel 1577, viceré di Sicilia. Costanza – questo il suo nome – era nata a Roma probabilmente nel 1555. Appena tredicenne si trovò al centro di un affaire matrimoniale in cui oltre al padre era coinvolta un’altra famiglia dal blasone celebre: gli Sforza. In realtà si trattava di blasone ormai un po’ offuscato. E neppure si trattava del ramo principale della famiglia: il Francesco Sforza che pretendeva la mano della nobile romana infatti era marchese di Caravaggio. Si trattava di un marchesato di una certa importanza, collocato com’era a cerniera tra le terre sotto controllo della Spagna e quelle della Repubblica veneziana. Ma c’era una certa evidente sproporzione tra i due partiti, per quanto Marcantonio potesse considerare strategico il rendere più stabili i rapporti tra la sua famiglia e la corona spagnola che governava Milano.
Colonna esitò in un primo tempo anche per la giovinezza della figlia «d’età sì tenera», come scrisse in una lettera al cardinale Alessandro Sforza, che si era fatto tramite di suo nipote Francesco. Ma dovette sciogliere tutte le sue riserve quando nella partita entrò anche il cardinale di Milano, Carlo Borromeo, che si fece convinto sponsor di quel matrimonio. Così, quando il 21 ottobre 1568 la ragazzina partì a bordo di una galera alla volta di Genova, il padre fece partire una lettera indirizzata al Borromeo, in cui esponeva tutte le sue inquietudini: «Donna Costanza mia figlia se ne viene a marito, et certo sento infinitamente questa sua lontananza, per esser così giovinetta, pur mi vo consolando la presentia di Vostra Signoria Illustrissima in Milano, dove so che mirerà per lei et ne terrà proportione». Puntualmente il cardinale, il 9 novembre, dava notizia a Marcantonio dell’arrivo della figlia a Milano: «La Signora Donna Costanza nostra giunse qua iersera, et io l’ho vista...».
Il matrimonio tra la tredicenne Colonna e il diciassettenne Sforza insomma era arrivato in porto. Ci fu in realtà un clamoroso contrattempo, che creò non pochi imbarazzi al cardinale, in quanto dopo pochi mesi Costanza iniziò a lamentarsi con il padre di essere maltrattata dal marito, tanto che il Borromeo le trovò rifugio in un monastero di Milano e pensò allo scioglimento delle nozze. Ma un colpo di scena risistemò la situazione: le suore scoprirono che la ragazza era incinta, fatto che dimostrava l’infondatezza delle voci sull’impotenza del marito. Costanza – che per la sua giovane età aveva evidentemente scambiato le avances del marchese per violenze nei suoi confronti – tornò a Caravaggio dove poco alla volta divenne sempre più padrona della situazione e dove mise al mondo ben dodici figli. E san Carlo continuò ad assicurarle la sua paterna e assidua protezione, come dimostra il fittissimo epistolario conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Ma Michelangelo Merisi come entra invece nell’orbita della marchesa Costanza? Il 14 gennaio 1571 a Caravaggio vennero celebrate le nozze di Fermo Merisi e Lucia Aratori (proprio Fermo e Lucia, come Manzoni – senza nulla sapere di questa vicenda solo ora ricostruita – chiamò inizialmente i protagonisti dei suoi Promessi sposi!). Per quanto Fermo fosse un semplice muratore, al matrimonio, come attestano i documenti, fu presente, in qualità di testimone, anche il marchese Francesco. Il 29 settembre, giorno di san Michele Arcangelo, nacque il loro primogenito, che per questo venne chiamato Michelangelo. Nacque probabilmente a Milano, dove Fermo lavorava e dove aveva casa vicino a San Vito in Pasquirolo. Ma nel 1577 l’intera famiglia era certamente tornata a Caravaggio per sfuggire alla peste che aveva colpito Milano e che Fermo non riuscì comunque a scansare: morì infatti il 20 ottobre di quello stesso anno.
Toccò così a Lucia farsi carico dei figli sopravvissuti: Michelangelo, appunto, e poi Giovan Battista e Caterina. E qui iniziano a infittirsi gli indizi di un primo contatto tra il futuro artista e la marchesa di Caravaggio. Innanzitutto il nonno materno, Giovan Giacomo Aratori, era stato nominato procuratore della famiglia Colonna-Sforza. In secondo luogo la zia Margherita (sorella della mamma di Michelangelo) era l’affezionatissima balia dei figli di Costanza: si conservano tante lettere piene di tenerezze tra lei e la marchesa. In terzo luogo a Caravaggio, su indicazione di san Carlo (ne parla lui stesso in una lettera del 18 gennaio 1570), era stata «introdutta la schola di dottrina cristiana... e la Marchesa va lei medesima a insegnarla». Giacomo Berra, l’autore del libro da cui stiamo attingendo le notizie per questa storia del giovane Caravaggio, ne conclude che «è una notizia particolarmente interessante in quanto si potrebbe ipotizzare che qualche anno dopo la stessa Costanza abbia esposto al giovanissimo Michelangelo gli elementi fondamentali della dottrina cristiana».
Possiamo solo immaginare quale fosse la vita di un borgo che aveva nell’agricoltura la sua prima ricchezza, ma che viveva anche attorno a quel santuario che godeva di sempre maggior devozione e popolarità. Nel 1571 sempre il Borromeo ne aveva ordinato il rifacimento per avere una chiesa più degna. Il progetto venne affidato al suo architetto di fiducia, Pellegrino Tibaldi; ma il cantiere che s’incaricò di realizzare l’opera monumentale era quello di Bartolomeo Merisi e Fermo Degano. Il primo era zio di Michelangelo: il quale, da ragazzino, è assai presumibile – essendo figlio di muratore – che abbia lavorato per qualche tempo agli ordini di Bartolomeo tra le mura del nuovo grande santuario (che è poi quello che ancor oggi è in piedi).
Comunque nel 1584 il Caravaggio prende un’altra strada: va come apprendista a Milano nella bottega di un pittore, Simone Peterzano. Nella scelta probabilmente entrò in gioco anche l’architetto di san Carlo, Pellegrino Tibaldi, che lo avrebbe aiutato a collocarsi a bottega. La madre Lucia sposò con convinzione l’idea, tanto da vendere alcune proprietà per finanziare l’apprendistato, siglato con atto notarile del 6 aprile 1584.
La marchesa Costanza, dal canto suo, sta sempre discretamente nell’ombra; ma anche lei frequenta assiduamente Milano, con lunghi soggiorni nel palazzo di famiglia situato dov’è l’odierna piazza Missori. Ed è facile pensare che abbia seguito con attenzione il crescere di quel giovane talento. Prove non ce ne sono; tuttavia gli indizi di un marcamento “a uomo” da parte della marchesa sono tantissimi. E si protraggono per tutta la vita del Caravaggio. Prendiamo ad esempio il decisivo viaggio a Roma. Il giovane Michelangelo lo fece in una data imprecisata ma di poco successiva al 1° luglio 1592, come ricaviamo dall’ultimo documento che lo attesta ancora in Lombardia. Da altre fonti sappiamo che nell’estate di quel 1592 anche la marchesa Costanza si trovava a Roma e c’è probabilmente il suo zampino nella prima sistemazione romana del pittore, presso monsignor Pandolfo Pucci da Recanati, amico della famiglia Colonna.
La sezione del nuovo santuario di Caravaggio, così come venne progettato da Pellegrino Tibaldi per volontà di san Carlo.

La sezione del nuovo santuario di Caravaggio, così come venne progettato da Pellegrino Tibaldi per volontà di san Carlo.

Ma gli interventi di Costanza si rivelarono ben più preziosi quando la vita di Caravaggio prese la piega drammatica dettata dal suo “cervello stravagantissimo”. Il 29 luglio 1605, dopo il primo fatto di sangue di cui si era reso colpevole, era fuggito a Genova e qui aveva trovato rifugio e lavoro presso la famiglia Doria, cioè una famiglia legata strettamente ai Colonna. Tornato a Roma, Caravaggio l’anno successivo si rese responsabile di un fatto ancor più grave, l’omicidio, commesso il 28 maggio, di Ranuccio Tomassoni. Per evitare la condanna fuggì da Roma trovando rifugio nel principato di Paliano, feudo dei Colonna e già proprietà del padre di Costanza (qui tra l’altro Caravaggio dipinse la Cena in Emmaus oggi conservata a Brera). E i documenti confermano che la marchesa Costanza sino al 18 ottobre di quel 1606 si era certamente fermata a Roma...
E per quale motivo poi Caravaggio nella sua fuga da Roma, lasciando Paliano, si dirige verso Napoli? Perché sapeva di poter contare su appoggi affidabili e potenti: in particolare quello di Luigi Carafa Colonna, nipote di Costanza. La quale, puntuale, si fa trovare a sua volta a Napoli, dove è documentata la sua presenza il 14 giugno 1607. E come va Caravaggio da Napoli a Malta proprio nel giugno 1607? Viaggiando sulla galera di Fabrizio Sforza, figlio di Costanza, e cavaliere dell’Ordine di Malta.
Infine c’è l’atto finale, quel drammatico viaggio del 1610 da Napoli alla volta di Roma che si sarebbe concluso con la sua morte. Nell’ottobre 1609 Caravaggio, tornato di nuovo a Napoli, era stato ferito gravemente davanti all’Osteria del Cerriglio. Per sfuggire ai suoi sicari, come documentano alcune lettere ritrovate nell’Archivio Segreto Vaticano da Vincenzo Pacelli, si sarebbe rifugiato nel palazzo Carafa Colonna di via Chiaia, lo stesso dove alloggiava con il suo seguito la marchesa Costanza. Fu lei a far da tramite con papa Paolo V per ottenere la grazia per il pittore? Non ci sono prove. Ma certo Caravaggio intraprese il viaggio fatale dell’estate del 1610 nella convinzione di poter contare ancora una volta su una mano potente che aveva sistemato i suoi pasticci. Andò molto diversamente per motivi che restano misteriosi. E quel geniale suddito a cui la marchesa sognava di affidare la decorazione della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli (come riferisce Capaccio, un cronista dell’epoca) finì il suo viaggio e la sua vita nell’ospedale di Porto Ercole il 20 luglio 1610.


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