L’Europa che nasce sulle rovine della grande Germania
Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. Tra superamento del passato e processo di integrazione europea
di Walter Montini

Alcide De Gasperi con Konrad Adenauer, Robert Schuman e i ministri degli Esteri di Olanda e Lussemburgo durante i lavori del Consiglio d’Europa a Strasburgo nel 1951
Un bel volume, non solo nella grafica e nell’impaginazione, ma soprattutto perché raro esempio di ricerca scrupolosa su un tema storico fondamentale, dichiarato nel sottotitolo, che investe non solo l’Italia e la Germania del secondo dopoguerra, ma i rapporti delle potenze vincitrici coi due Paesi più antitetici dell’Europa occidentale.
Di piacevole lettura, l’opera della Di Maio è un esempio di “circolo ermeneutico”, perché intreccia l’orizzonte planetario delle grandi potenze con quello europeo e dei singoli Stati nazionali. Ancora: Di Maio sistematicamente delinea l’intersezione dialettica di politica estera e interna dei due Paesi, dei rispettivi partiti maggioritari (Democrazia cristiana e Cdu-Csu) anche nel confronto coi rispettivi partiti dell’opposizione (Pci-Psi e Spd).
Questa ricerca può interessare chiunque voglia ripercorrere i sentieri politici battuti dai governi De Gasperi e Adenauer nei rispettivi Paesi i quali, alleati nell’“Asse Roma-Berlino” (25 ottobre ’36), si riconfermarono tali nel “Patto anti-Komintern” (6 novembre ’37) e si cementarono nel “Patto d’acciaio” di tipo militare (22 maggio ’39). Questa alleanza così conclamata non illuse Hitler: il rovesciamento dell’8 settembre ’43, la dichiarazione di guerra al Terzo Reich del 13 ottobre ’43 presentata dal governo Badoglio, la cobelligeranza dell’Italia con gli Alleati (che non salvò l’Italia dall’essere trattata come la Germania, costretta alla “resa incondizionata”) non lo sorpresero. L’Italia si confermò, agli occhi dei tedeschi, come la solita miserabile “voltagabbana”, collaudata dal rinnegamento della “Triplice Alleanza” (1882) a favore dell’”Intesa” Parigi-Londra nella primavera del 1915. Agli occhi dei tedeschi, ancora negli anni Sessanta, un italiano era un “badoglio”, un traditore. Solo una personalità politica come De Gasperi (trentino-sudtirolese, sul crinale delle culture asburgica e italiana, cattolico impegnato sul fronte sociopolitico come lo era Adenauer), insieme ai due partiti di ispirazione cristiana, Dc e Cdu-Csu, a un Land cattolico come la Baviera e a un grande papa come Pio XII, dotato di una lucida visione politica mondiale, poteva lanciare ponti verso la Germania in modo credibile.
Rivelatrici ci sembrano alcune considerazioni di Sandro Fontana nel suo ultimo lavoro, I grandi protagonisti del popolarismo italiano. Sturzo, De Gasperi, Moro (editrice Rotas, Barletta 2005). A proposito di De Gasperi, scrive che la sua strategia è un pilastro di politica sociale, di alleanze nazionali e di scelte internazionali (ibidem, p. 61). Aggiunge che De Gasperi «intendeva rompere per sempre con tutta una tradizione politica che da Crispi a Sonnino, da Mussolini a Badoglio, conservava a livello internazionale una pessima reputazione a causa di troppe scelte caratterizzate dalla doppiezza e dal dilettantismo, dalla megalomania e dall’astuzia levantina. Voleva rompere con la tradizione di un Paese che [...] aveva aderito a due conflitti mondiali solo quando appariva certa la vittoria dei nuovi alleati e con l’animo di chi si muoveva per assestare il colpo di grazia al nemico in ginocchio al fine di ricavarne il massimo vantaggio col minimo sforzo». De Gasperi considera l’unità federale dell’Europa come metodo e fine capace di salvarla e riportarla a essere soggetto di storia. Adenauer e Schuman concordarono profondamente con la stessa visione storica. Non è un caso che fossero tutti e tre cattolici e avessero, della storia, la stessa visione così vicina a quella del filosofo e referente culturale della “Germania delle rovine”: Karl Jaspers.
Un muro psicologico tra i due Paesi venne eretto dopo l’8 settembre ‘43, confermato dalla “vergognosa” campagna di Grecia, dalla generalità italiana inetta, dalla disorganizzazione militare; si trapassò poi a una valutazione generalizzante di tipo razzistico (“i soliti italiani”), presuntivamente confermata dalla povertà economica dell’Italia priva di materie prime, ricca di poverissimi emigranti straccioni (più di 20 milioni a partire dagli anni Settanta del XIX secolo fino al 1914), senza intraprendenza aziendale, vasi di argilla tra contenitori di ferro, come si era visto durante la “campagna di Russia”. Soprattutto l’occupazione dell’Italia da parte della Wehrmacht fu tale che anche di recente si devono scoprire eccidi assurdi delle SS a danno della popolazione civile, taciuti (opportunamente nell’immediato dopoguerra), ma non cancellati, per non ritardare il riavvicinamento dei due popoli.
Le relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Germania Federale iniziarono nel ’51, sei anni dopo la fine della guerra. Bisognoso di notizie, dato che l’Italia non poté partecipare direttamente alle cinque “conferenze” ministeriali degli Alleati dal ’45 al ’47, De Gasperi le chiedeva da ogni parte. Mobilitò tutte le ambasciate italiane in Europa, avvalendosi soprattutto della “testa più fine” della diplomazia italiana: Pietro Quaroni ambasciatore prima a Mosca e poi a Parigi. Specialmente a due tipi di informazioni era interessato: la situazione generale interna della Germania nel suo complesso (est-ovest) e la politica tedesca di ogni singola “grande potenza”. Da quanto rivela Di Maio con numerose citazioni della stampa non italiana, De Gasperi era molto informato sugli aspetti principali del centro nevralgico dell’Europa: la Germania dell’est in via di essere sovietizzata e quella dell’ovest, dove gradualmente cessava la hard peace e si delineava un appeasement, una soft peace in parallelo con le riforme socioeconomiche e politiche irreversibili dell’Urss nella “zona sovietica”.

Tiziana Di Maio, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, Giappichelli, Torino 2004, 378 pp., euro 33,00
Nel volume della Di Maio è dato seguire passo passo il delinearsi di un confronto planetario tra Mosca e Washington con implicazioni decisive per la Germania e per l’Europa. Nel volume si leggono, per esempio, citazioni di articoli di George Blun – corrispondente da Berlino del Journal de Genève – di particolare perspicacia sull’evoluzione della questione tedesca, sui processi di denazificazione molto blandi a est e spesso molto severi all’ovest. Gli articoli erano inviati al capo del governo.
Blun dà l’impressione di aver capito le intenzioni sovietiche che ripetevano l’assunto di Lenin: «Chi tiene la Germania, tiene l’Europa». Articoli anche di Wolfgang Bretholz della Nationale Zeitung di Basilea sulla Germania nel ’47: «Una gigantesca terra di nessuno, nel cuore dell’Europa [...], nella quale 66 milioni di persone ogni giorno affrontavano una lotta disperata per il cibo [...], la Germania è l’epicentro della scossa tellurica che si fa sentire in tutta l’Europa». Il capo della rappresentanza italiana in Germania, Vitale Gallina, forniva le stesse valutazioni con l’aggiunta della profonda delusione anche dell’episcopato cattolico verso gli Alleati. Francesi e inglesi avevano letteralmente spellato le rispettive zone di occupazione tedesche, imitando l’Urss. La Germania era diventata, de facto, una “terra pastorizia”, come aveva auspicato il generale Clay.
Tanti particolari significativi contribuiscono a rendere “veramente originale” il lavoro della Di Maio – come scrive Giuseppe Ignesti presidente del corso di Scienze politiche della facoltà di Giurisprudenza della Lumsa – anche per «la stimolante prospettiva di lettura... e per la novità dell’argomento studiato».