Un contributo atteso
di Gianni Cardinale

Benedetto XVI con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 12 maggio 2005
Certo è che alla prima udienza (in francese) di papa Ratzinger con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 12 maggio, aveva colpito la menzione «delle nazioni con le quali la Santa Sede non intrattiene ancora relazioni diplomatiche», e l’espressione ad esse della sua «gratitudine» per l’essersi associate alle celebrazioni per la morte di Giovanni Paolo II e per la sua elezione. Egli inoltre ha espresso il desiderio di vedere tali nazioni «al più presto rappresentate presso la Sede Apostolica». Che vi fosse un riferimento, tra l’altro, alla Cina continentale, è stato evidente.
Come pure è stato evidente che l’azione e l’eredità di papa Wojtyla non si può racchiudere in poche frasi. Lo si era riscontrato nei numerosi saluti di congedo in memoria di papa Giovanni Paolo II tributati da tutti i leader dell’Onu, da Kofi Annan al presidente dell’Assemblea Jean Ping e agli speaker che avevano preso la parola in rappresentanza davvero di tutto il pianeta. Perché egli, è stato rilevato, ha combattuto il capitalismo selvaggio a Ovest e il comunismo a Est, ha dato voce a chi nel Sud è condannato a vivere con meno di un dollaro al giorno e ha cercato di diffondere la cultura della vita nel Nord sviluppato. E appartiene a papa Giovanni Paolo II l’auspicio che l’Onu debba essere un centro morale capace di far sì che il mondo sia una famiglia di nazioni. Il che, tradotto, significa essere dalla parte della pace, dei più deboli e poveri.
Come declinerà questa eredità il nuovo Pontefice?
Benedetto XVI, appena eletto, ha detto di volersi riallacciare idealmente a Benedetto XV – «che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale» – e così mettere il suo ministero «a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra tutti gli uomini» . Riconciliazione, dunque.
Né vi è altresì dubbio, alla luce dei primi pronunciamenti di Benedetto XVI, che la dignità umana, base di ogni conseguente considerazione e azione politica, riceverà la medesima cura e impegno profusi dal Papa precedente, e dunque vi sarà di certo la volontà di esprimersi sui problemi della bioetica, come ad esempio la clonazione, tema scottante al Palazzo di Vetro.
Se Benedetto XV fu il papa che tentò di evitare «l’inutile strage» mediando con chi nel mondo voleva la guerra, il suo omonimo successore si trova già di fronte, in sede Onu, al tentativo imponente di riassestamento dell’ordine mondiale, dove la pace, la sicurezza e lo sviluppo sono allo stesso tempo criteri e urgenze inderogabili. La Chiesa non può condizionare unilateralmente l’attività dell’Onu, ma nessuno dubita che la viva intelligenza del Pontefice avrà modo di dare quel contributo che ci si attende dalla Chiesa cattolica sulla pace e la povertà nel mondo. Il “deserto della povertà” è stato peraltro da lui immediatamente evocato nell’omelia con cui il 24 aprile ha inaugurato il suo ministero petrino, prefigurando la sua volontà di dare impulso al magistero sociale e all’azione caritatevole, anche attraverso istanze internazionali come le Nazioni Unite.
Circa il mantenimento della pace, poi, i diplomatici di papa Benedetto, sulla linea del “no” alla guerra come strumento politico, potranno offrire a Kofi Annan un sincero sostegno ideale.
In marzo il segretario generale ha infatti pubblicato un rapporto che mira a tracciare la via per la riforma delle Nazioni Unite, sessant’anni dopo la loro nascita. A proposito dell’uso della forza nelle relazioni internazionali (compreso il caso delicato dell’“intervento umanitario” preventivo), egli chiede che vi sia una risoluzione ad hoc del Consiglio di sicurezza che sancisca dei criteri per il futuro. I quali – enunciati per esteso da Annan: serietà della minaccia, retto proposito nell’uso della forza, previa considerazione dei mezzi alternativi a essa, proporzionalità della forza da usare rispetto alla minaccia, ragionevole speranza di successo – sono in ictu oculi identici a quelli espressi nel Catechismo della Chiesa cattolica come eredità di Agostino e dei Padri della Chiesa. Applicando i criteri alla realtà, il rappresentante vaticano all’Onu non ha mancato l’occasione, in maggio – a proposito del delicatissimo impegno di dare esito positivo alla conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare – di affermare che la pace nel XXI secolo non può basarsi solo sulla deterrenza nucleare e che la risposta alla minaccia del terrorismo «non deve produrre mali e disordini più gravi del male da eliminare».
G. C.