Dalla Parola alle opere
In un volume, pubblicato da poco dalla Conferenza episcopale italiana, sono documentati quindici anni di attività del “Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo”. Intervista con monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei
Intervista con monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei
di Gianni Cardinale
Giuseppe Betori
Per parlare di questo impegno della Cei nel Terzo mondo e più in generale di alcune tematiche collegate all’otto per mille, 30Giorni ha incontrato il vescovo Giuseppe Betori, dal 2001 segretario generale della Cei. Betori, 58 anni, umbro di Foligno, è sacerdote dal 1970. Per molti anni docente di Sacra Scrittura, prima di essere nominato dal Papa segretario generale, è stato responsabile dell’ufficio catechistico dell’episcopato italiano e, dal 1996, sottosegretario della Cei.
Eccellenza, perché questo volume di quattrocento pagine sui quindici anni di attività del “Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo”?
GIUSEPPE BETORI: A dire il vero già a cinque anni dall’inizio di questa modalità di utilizzazione dell’otto per mille ci fu una piccola pubblicazione che non ebbe una larga diffusione. Questa volta abbiamo ritenuto opportuno che la pubblicizzazione del lavoro fatto avesse una dignità e una completezza maggiori, anche per un giusto riconoscimento per quelli che lavorano in questo ambito.
Questo libro è stato presentato proprio all’indomani del referendum, quando le polemiche hanno toccato anche la questione dell’otto per mille. C’è un collegamento tra i due fatti?
BETORI: Direi proprio di no. Questo volume era in cantiere da un anno.
Si è trattato quindi di una coincidenza…
BETORI: Di una felice coincidenza, che non ci è affatto dispiaciuta. Abbiamo potuto dimostrare ampiamente come vengono spesi importanti fondi dell’otto per mille, smontando così molte falsità che si sono dette a riguardo.
Che genere di falsità?
BETORI: Mi riferisco al modo con cui alcuni trattano la questione dell’otto per mille. Al fatto che venga considerato un regalo che lo Stato fa alla Chiesa cattolica o ad altre confessioni religiose, e non piuttosto come una modalità con cui lo Stato ha scelto di impiegare una parte delle proprie risorse, riconoscendo la rilevanza sociale delle loro attività. C’è poi un’altra falsità che ogni tanto fa capolino, e cioè che noi non rendicontiamo in modo chiaro come utilizziamo tali fondi.
Invece…
BETORI: Invece ogni anno pubblichiamo un bilancio in cui mostriamo voce per voce come, secondo la legge, utilizziamo questi fondi. Lo stesso fanno le diocesi per i fondi a loro affidati. Ma c’è anche un terzo tipo di falsità.
Quale?
BETORI: Ci accusano di non rendicontare quanto viene speso per la promozione della conoscenza dell’otto per mille, attraverso la pubblicità sui mass media. Non è vero. Anche queste cifre vengono pubblicate puntualmente ogni anno!
Avete mai avuto rilievi critici da parte delle autorità statali riguardo a questi rendiconti?
BETORI: Ogni anno mandiamo allo Stato italiano un rendiconto. Non solo. Ogni tre anni si riunisce una commissione paritetica governo-Cei per analizzare l’andamento e l’utilizzazione dell’otto per mille. Non ricordo che ci siano stati problemi di rilievo.
In queste pagine, alcune foto di Francesco Zizola tratte dal volume Dalla Parola alle opere, in cui si documentano quindici anni di attività del “Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo”
BETORI: Vorrei anzitutto dire che esso è parte integrante di un sistema di sostegno economico alla Chiesa che ha permesso di fare comunione tra le Chiese in Italia, tra diocesi “ricche” e diocesi “povere”, e di estendere tale comunione anche alle Chiese del Terzo mondo. L’otto per mille, poi, è un esempio di cordiale collaborazione tra Stato e Chiesa a servizio dell’intera società italiana. E, ancora, è una forma di “democrazia fiscale”. Quanto alla forma, infine, come dicevo, si tratta di una modalità scelta dallo Stato per utilizzare una parte delle risorse destinate a finalità sociali, individuando nelle confessioni religiose dei soggetti che possono essere deputati a utilizzare in modo positivo questi fondi. Nel caso della Chiesa cattolica l’utilizzazione è regolata dalla legge 222 del 1985, la quale indica specificatamente gli usi che possono essere fatti di questi fondi, e cioè: il sostentamento del clero, le finalità di culto e pastorale, le attività di carità in Italia o in Paesi particolarmente bisognosi. Si tratta di finalità che nascono da una lunga storia.
Cioè?
BETORI: Per quanto riguarda il sostentamento del clero, la storia rimonta alla cosiddette leggi eversive della seconda metà dell’Ottocento. Dopo averne incamerato i beni, lo Stato si sentì in dovere di rifondere almeno parzialmente la Chiesa con un modesto assegno (la cosiddetta “congrua”) ai sacerdoti impegnati nella cura d’anime. Questa modalità non fu toccata dal Concordato del 1929 ed è stata adattata ai tempi trasformandola in una delle finalità dell’otto per mille con la revisione concordataria del 1984. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la destinazione a finalità di culto e pastorale.
Un elemento di novità invece è l’utilizzazione dei fondi dell’otto per mille per aiuti al Terzo mondo…
BETORI: Appunto. Ma bisogna aggiungere che, per quanto riguarda questo punto, questi fondi, per legge, possono essere destinati solo ad attività sociali – educative e sanitarie, ad esempio –, ma non pastorali. Possiamo costruire ospedali ma non chiese. Possiamo finanziare corsi di formazione per infermieri ma non seminari.
All’interno di questi limiti legislativi quali sono i vostri criteri per l’erogazione di questi fondi?
BETORI: Tendenzialmente cerchiamo di evitare la nascita di nuove strutture e preferiamo sostenere le attività locali già esistenti. Paghiamo più volentieri un corso per insegnanti piuttosto che la costruzione di una nuova scuola. Più la formazione di periti agrari che l’escavazione di nuovi pozzi.
Usate criteri confessionali?
BETORI: Assolutamente no, possiamo finanziare realtà presenti in territori a maggioranza cattolica, ma anche a maggioranza non cattolica, islamica o buddista. Ovviamente i soggetti che chiedono devono essere conosciuti e accreditati dalle Chiese locali che devono dare un giudizio di congruità e affidabilità del soggetto richiedente.
Dai dati segnalati nel volume risulta che sono molti a chiedere questo tipo di aiuti, ma non tutti sono accontentati…
BETORI: Attualmente soddisfacciamo un terzo delle richieste. A malincuore, ma siamo costretti a dire di no per motivi di bilancio o perché ci chiedono interventi di natura pastorale che non possiamo soddisfare per legge.
I fondi destinati agli aiuti al Terzo mondo sono comunque solo una piccola parte della quota dell’otto per mille destinata alla Chiesa cattolica. Ciò è dovuto a motivi di bilancio o a vincoli imposti dallo Stato?
BETORI: No, è una scelta nostra, che tiene conto di due fattori. Il primo riguarda la compatibilità con le altre voci dell’otto per mille, la prima delle quali è il sostentamento del clero. E qui, se permette, inserirei una precisazione…
Prego.
BETORI: Non è in primo luogo la Chiesa cattolica a voler sostenere il clero con l’otto per mille. È lo Stato a chiedere alla Chiesa cattolica di sostenere il clero con l’otto per mille. Così lo Stato si è liberato dall’obbligo delle congrue cui era tenuto come risarcimento per le già citate “leggi eversive”.
E il secondo fattore qual è?
BETORI: Non vogliamo ingigantire la struttura che deve gestire questi finanziamenti al Terzo mondo. Non vogliamo cioè che i soldi destinati ai poveri, di fatto servano a tenere in vita una struttura burocratica. Adesso abbiamo raggiunto un equilibrio notevole: appena il 4 per cento dei fondi destinati agli aiuti serve a mantenere la struttura. È un risultato eccellente se si pensa che, per realtà analoghe, in media l’incidenza è del 40%, con un minimo del 20% e casi in cui alcune istituzioni – non faccio nomi – tengono per il proprio funzionamento addirittura il 70% dei fondi che ricevono... Per questo motivo e ancor più per l’efficacia complessiva del lavoro svolto, devo essere grato al Comitato che presiede alla distribuzione degli aiuti per lo sviluppo nei Paesi del Terzo mondo, e in particolare al suo presidente monsignor Piergiuseppe Vacchelli.
Probabilmente è anche per questo che Sergio Romano sul Corriere della Sera (20 luglio), «da laico», ritiene che «forse […] molti italiani, credenti e no, riconoscono alla Chiesa un’utile funzione sociale o, peggio, che non si fidano del modo in cui lo Stato spende i suoi soldi».
BETORI: Non solo. In effetti vediamo crescere nella gente la consapevolezza che i soggetti sociali non statali devono crescere all’interno del nostro Paese, e che lo Stato non deve accrescere le proprie competenze. È il principio di sussidiarietà tanto caro alla dottrina sociale cattolica che fa breccia anche in molti laici. E tra questi soggetti sociali la Chiesa ha una tradizione di credibilità ampiamente riconosciuta dal popolo. Per cui anche lo “stipendio” dato al prete non è lo stipendio a un funzionario qualsiasi, ma il contributo a una persona che è a disposizione di tutti, e sopratutto dei più bisognosi, ventiquattro ore su ventiquattro. Ed è per questo che, tranne rari casi in cui il pregiudizio ideologico prevale su tutto, in genere le amministrazioni comunali – di qualunque colore politico – sono sempre molto interessate a che ogni quartiere abbia la sua chiesa, la sua parrocchia: sanno benissimo che è il migliore antidoto a ogni degenerazione sociale. Per questo la quota di otto per mille che va al clero è in fondo anche un guadagno per le istituzioni civili. Il servizio spirituale dei sacerdoti è un contributo a tutta la società italiana profondamente impregnata di valori religiosi.
BETORI: Con l’otto per mille lo Stato non ha comprato la Chiesa. Con la stessa libertà con cui la gente sceglie di firmare per la Chiesa cattolica nella dichiarazione dei redditi, la Chiesa propone la propria visione dell’uomo e la partecipa a tutti.
Un’associazione di anticlericali ha fatto una campagna affinché gli italiani diano la loro firma dell’otto per mille in favore della comunità valdese, la quale, a sua volta, pur ringraziando per il gesto di stima e pur condividendo con gli anticlericali «la battaglia – sempre più ardua nell’Italia di oggi – per la difesa della laicità dello Stato e della sua indipendenza dalla Chiesa», ha respinto questo tipo di sponsorizzazione…
BETORI: Noi preferiamo motivare positivamente le ragioni per cui dare il proprio sostegno alla Chiesa cattolica. Il nostro “Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa”, diretto con efficace competenza dall’ingegner Paolo Mascarino, non si sognerebbe mai di attivare campagne aggressive contro altre comunità cristiane o confessioni religiose. Noi non chiediamo la firma per l’otto per mille per sostituirci ad altri, ma per quello che abbiamo fatto e che continuiamo a fare. Possiamo dire con libertà, ma anche con soddisfazione, che questi fondi sono utilizzati al meglio, anche per il bene della nostra Italia.
Tra le opzioni per la destinazione dell’otto per mille ci sono, oltre quelle in favore della Chiesa cattolica, anche quelle in favore dello Stato, di altre comunità cristiane e confessioni religiose. Manca ancora la casella per l’islam. Ci sono obiezioni da parte vostra affinché questo avvenga?
BETORI: No. Credo che il problema consista nel fatto che lo Stato non ha di fronte a sé un interlocutore rappresentativo e credibile del mondo islamico italiano con cui stipulare un’intesa, che permetterebbe poi l’attivazione del meccanismo dell’otto per mille. Occorrerà però verificare anche quale inserimento l’islam potrà sviluppare nella nostra società.
Non teme che, con l’arrivo di nuove opzioni per la distribuzione dell’otto per mille, aumenti la “concorrenza”?
BETORI: Certamente no. Perché la Chiesa cattolica, e la Chiesa cattolica italiana in particolare – se permette questa nota di orgoglio – è una Chiesa di popolo, vicina alla gente. È una Chiesa che neanche nei tempi di crisi postconciliare ha mai voluto essere una Chiesa di élite, di pochi, di una piccola setta di eletti. Ma ha voluto, con tutti i suoi limiti, con tutti i peccati dei suoi membri, con tutte le sue rughe, essere sempre presente dovunque possibile. In Italia anche chi non mette piede in chiesa, magari lo mette nella canonica del parroco, nell’oratorio e nelle case di accoglienza della Caritas. E in questi luoghi trova sempre, grazie a Dio, conforto e aiuto, i frutti visibili del Vangelo. Per questo non temiamo concorrenza.