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ITALIA
tratto dal n. 07/08 - 2005

Il “Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo”

I poveri sono cosa della Chiesa



di Piergiuseppe Vacchelli



Uno dei massimi teologi del Novecento, Yves Congar, in una pubblicazione intitolata Chiesa e povertà ha scritto: «I poveri sono cosa della Chiesa. Non sono soltanto la sua clientela o i beneficiari delle sue sostanze: la Chiesa non vive appieno il suo ministero se ne sono assenti i poveri...». Il teologo sembra parafrasare la parola di Gesù: «I poveri li avete sempre con voi» (Mt 26,11); per dire ai discepoli che la compagnia dei poveri avrebbe comunque e ovunque incrociato per sempre il loro cammino. È tra le cose più serie del vissuto della Chiesa di Cristo.
Il “Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo” della Conferenza episcopale italiana compie quindici anni. Dal giugno 1990 gestisce a nome dei vescovi italiani le risorse finanziarie che i cittadini del nostro Paese – e anche altri che qui lavorano regolarmente –, attraverso l’otto per mille, hanno destinato alla Chiesa cattolica per molteplici finalità, tra cui quella di attuare progetti di promozione umana e iniziative di carità nei Paesi del Sud del mondo. La quantità dei progetti, la loro ripartizione per aree geografiche, gli ambiti delle loro ricadute, l’ammontare delle risorse economiche impegnate e quant’altro si voglia conoscere, è descritto nel volume Dalla Parola alle opere.
Si tratta, in definitiva, di sapere che in quindici anni di operatività il Comitato ha finanziato 6.275 progetti per un totale di 710 milioni di euro, considerando che la maggior parte degli interventi caritativi nei Paesi in via di sviluppo ha riguardato progetti di formazione e promozione umana.
Moltissime volte il nostro lavoro si è intrecciato con le notizie drammatiche provenienti dall’Asia, dall’Africa, dall’America Latina. Anche in queste circostanze la carità dei vescovi italiani e la solidarietà dei cittadini del nostro Paese non hanno esitato a esprimersi a favore delle popolazioni colpite da spaventose calamità, come quella del mar delle Antille o l’immane catastrofe naturale che il 26 dicembre 2004 ha colpito diversi Paesi del Sudest asiatico. Con la medesima sensibilità si è stati e si è vicini anche alle devastazioni provocate da tante emergenze umanitarie come la guerra in Iraq, le violenze inflitte alle popolazioni del Darfur o ai rifugiati dei Grandi Laghi. E sono solo alcuni esempi.
Siamo passati insomma dalla Parola con la P maiuscola, che per noi cristiani è quella del Vangelo, ai fatti, ai gesti concreti, in definitiva “alle opere”. E mi sia consentita la segnalazione di una esperienza personale singolare che non finisce di appartenere alle mie trepidazioni. Parlo del Saint Mary Hospital Lacor di Gulu nel nord Uganda. Un ospedale che ho potuto visitare non molto tempo fa e che oggi, grazie ai fondi dell’otto per mille, serve una popolazione di circa due milioni di persone. A ciò bisogna aggiungere una popolazione, non propriamente ospedaliera di migliaia di individui, che si accalca nei terreni dove sono distribuiti i padiglioni del nosocomio per salvarsi dai rapimenti sistematici e dai saccheggi che avvengono nei villaggi sul calar della sera. Quell’ospedale, oggi, è un polo di eccellenza. Un’opera della Chiesa che accoglie tutti senza distinzione.



Monsignor Piergiuseppe Vacchelli,
sottosegretario della Cei, presidente
del “Comitato per gli interventi caritativi
a favore del Terzo mondo”


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