Il passato
Senza alcun preciso riferimento, ricordo lo spocchioso monito che figurava tra le massime del ventennio: «Qui non si fa politica, ma si lavora». Subito dopo Pietro Nenni intraprese la controffensiva con il suo: «Politique d’abord». Giova qui rifarsi all’aureo detto latino: «In medio stat virtus»: in mezzo sta la giusta posizione...
Giulio Andreotti
Alcide De Gasperi
Accanto alle manifestazioni programmate dalla Provincia di Trento e dalla Fondazione che porta il nome del presidente, vi sono state molte iniziative, ovunque con un consuntivo senza dubbio positivo. In particolare si è riusciti a suscitare al riguardo l’interesse degli ambienti giovanili – specie ma non esclusivamente universitari.
Si dice da molti, oggi, che i giovani non si interessano alla politica e questo è vero anche a livello delle realtà territoriali. Ma forse sta cominciando a incuriosire molti la ricorrente e petulante svalutazione in blocco di tutto il passato, che si cerca quotidianamente di insinuare. In via generale si dice addirittura che l’errore consisteva nel voler vedere tutto in chiave politica.
Senza alcun preciso riferimento, ricordo lo spocchioso monito che figurava tra le massime del ventennio: «Qui non si fa politica, ma si lavora». Subito dopo Pietro Nenni intraprese la controffensiva con il suo: «Politique d’abord». Giova qui rifarsi all’aureo detto latino: «In medio stat virtus»: in mezzo sta la giusta posizione. La politica non è tutto, ma senza politica la vita pubblica è sterile e non costruisce.
Forse proprio questo messaggio degasperiano è stato recepito. Tra l’altro con l’impostazione – nuova – di uno stretto collegamento tra la politica interna e quella esterna; vedendosi quest’ultima non solo come supporto internazionale, ma anche come connessione comunitaria.
In una opposizione pregiudiziale e globale i partiti di sinistra non solo non condivisero l’europeismo e la connessione atlantica, ma votarono contro anche le riforme sociali per le quali la Dc si era impegnata nella determinante elezione della prima legislatura (18 aprile 1948). Paradossalmente, votando contro la riforma agraria del 1950, i comunisti si trovarono a fianco dei grandi proprietari che difendevano i loro latifondi.
Forse proprio in questo ricordo storico sta la spiegazione di una delle manifestazioni più incisive del cinquantenario. Ho assistito con emozione alla intitolazione ad Alcide De Gasperi di una piazza di Grosseto, decisa da quel consiglio comunale. Grandi fotografie ricordavano che nel 1952 il presidente era andato a Grosseto per distribuire i certificati di proprietà agli assegnatari della riforma. I superstiti con i figli e nipoti erano non solo a festeggiare, ma a dare una spiegazione visiva del perché gli orientamenti di una parte notevole della popolazione sono, via via, cambiati in meglio. Del resto De Gasperi non poté rallegrarsene perché soltanto ventitré anni dopo la sua morte i comunisti riconobbero che «Patto atlantico e Comunità europea sono i punti di riferimento fondamentali della politica estera italiana».
Un’altra giornata del cinquantenario ha visto in una grande città dell’Emilia – Parma – intestare a De Gasperi un nuovo, bellissimo ponte. Qualcuno ha ricordato, nell’occasione, che quando nel maggio 1947 il presidente estromise le sinistre dal governo cercò – ma non riuscì – di mantenere ad personam al Ministero dei Trasporti l’ingegnere parmense Giacomo Ferrari, chiamato allora maliziosamente “comunista degasperiano”. In chiave più generale, di quel momento così teso e incisivo si deve ricordare che l’Assemblea costituente nel suo lavoro istituzionale non risentì affatto della svolta politico-governativa. E a fine d’anno la Costituzione fu votata quasi all’unanimità.
Fermissimo nelle posizioni politiche di fondo, De Gasperi si ispirava però a una concezione molto precisa e giusta della lotta politica: gli antagonisti erano avversari e non nemici. Forse il sistema proporzionale che regolava la rappresentanza favoriva questa concezione. Il bipolarismo, con il proposito di semplificare e rendere più solido il sistema, ha finito con innalzare in seguito un muro che se non è quello di Berlino, è vicino a quello in costruzione in Palestina.
Mentre scrivo non è ancora chiaro se il ritorno alla proporzionale avverrà; anche perché mentre il progetto storico di Forza Italia (proposta di legge Urbani-Tremonti-Tomassini) riproduceva il sistema tedesco – proporzionale puro con un tetto minimo del 5 per cento –, la nuova proposta si ispira a un rifacimento globale di collegi e ad altre peculiarità per cui non è stata bene accolta né dai partiti di governo né dal centrosinistra. Lo stesso Berlusconi, ipotizzando un tetto minimo del 10 per cento (palesemente punitivo, nelle intenzioni, della contestatrice Udc), ha suscitato l’incredula reazione della Lega Nord. Si aggiunga che Prodi si è espresso per lo status quo, nulla curandosi delle convinzioni proporzionaliste di Fausto Bertinotti.
Forse gioverà qui ricordare che la moderazione è una virtù; e che il compromesso, se sui principi è inaccettabile, per il resto, sia nella vita pubblica che in quella privata, è l’unico atteggiamento che fa progredire.
La politica non è tutto,
ma senza politica la vita pubblica è sterile
e non costruisce.
Forse proprio questo messaggio degasperiano
è stato recepito. Tra l’altro
con l’impostazione – nuova – di uno stretto collegamento tra la politica interna
e quella esterna; vedendosi quest’ultima non solo come supporto internazionale,
ma anche come connessione comunitaria
Di De Gasperi è stata giustamente rievocata anche la limpida laicità. Qualche saggio storico (vedi, ad esempio, i diari del cardinal Pavan curati da Andrea Riccardi) aiuta a comprendere quanto questo gli costasse. In particolare nei confronti di Pio XII che era concettualmente ostile alle coalizioni governative: prima a quella ciellenista con le sinistre e poi a quella di centro con partiti concettualmente non omogenei con il mondo cristiano.
Non era solo il Papa in persona. Quando, più tardi, a livello governativo e anche istituzionale si ebbe un crescente sviluppo di relazioni con il governo sovietico (tenendole ben distinte dal rapporto interpartitico tra comunisti), vi furono diffusi malumori in campo ecclesiastico. Tanto che L’Osservatore Romano fu costretto a spiegare che il cardinale Ottaviani esprimeva sue idee personali.
Del cardinale Ottaviani (per il resto stupenda figura di sacerdote romano) ho ricordato un’altra volta un episodio. Alla vigilia della riapertura dei Club rotariani, che il fascismo aveva ostracizzato, il cardinale mi telefonò perché sconsigliassi il presidente dall’andarci, in quanto si trattava di iniziativa di sponda contrapposta alle nostre. Mi guardai bene dal dirlo a De Gasperi e qualche anno dopo, partecipando a un pranzo al Rotary in onore proprio del cardinale Ottaviani, glielo rammentai, senza malizia. Del resto, in occasione di un meeting internazionale degli stessi rotariani, i sacerdoti aderenti concelebrarono una solenne messa in San Pietro.
Il tempo aiuta a correggere pregiudizi e ad avvicinare posizioni.
Simbolico e cordialissimo fu sempre il rapporto personale di De Gasperi con monsignor Montini, del padre del quale era stato collega alla Camera dei deputati, ambedue estromessi nella grande “purga” del 1925.
Peraltro, anche se con minore intensità e senza comuni radici particolari, anche con monsignor Tardini il rapporto fu di grande comprensione e stima reciproca.
Devo peraltro ricordare che la divaricazione concettuale con Pio XII non significa affatto un giudizio negativo del Papa. Vi è un documento molto eloquente in proposito. L’11 febbraio 1949, nel ventennale della Conciliazione, De Gasperi fu ricevuto solennemente in Vaticano e, innovandosi sul protocollo (che prevede discorsi solo per capi di Stato), Pio XII gli rivolse un bellissimo indirizzo. Chiesi a monsignor Dell’Acqua chi lo avesse minutato ed ebbi fotocopia del testo, manoscritto personalmente dal Pontefice. Anzi, avendolo forse trovato, rileggendolo, non abbastanza caldo, vi è a margine un’aggiunta molto elogiativa.
L’inaugurazione di piazza Alcide De Gasperi a Grosseto il 21 dicembre 2004
Né può dimenticarsi che quando fu possibile (con un mio appunto recapitato tramite suor Paschalina) informare direttamente il Papa che l’Operazione Sturzo, messa in piedi a suo nome alla vigilia delle elezioni romane del 1952, comportava una gravissima crisi politica con le dimissioni del governo De Gasperi, Pio XII dette immediate istruzioni per farla archiviare. Ma c’è di più. Avendo il presidente fatto sapere di essere disponibile a mettersi lui stesso in lista per le comunali, apprezzò l’intento, ma disse: «Ci mancherebbe anche che mettessimo in crisi De Gasperi».
Quando due anni dopo il presidente morì, oltre le condoglianze ufficiali, il Santo Padre inviò da Castel Gandolfo a Sella di Valsugana il direttore delle Ville Pontificie Emilio Bonomelli per esprimere alla famiglia la sua calda partecipazione.
Tra qualche settimana uscirà il mio diario 1948, con la documentazione del diretto impegno del Papa e della Chiesa per la scelta politica degli italiani (prima legislatura repubblicana), affrontandosi a viso aperto il Fronte comunista-socialista, la cui vittoria avrebbe comportato l’estensione all’Italia dell’influenza sovietica e quindi anche il più che fondato rischio di persecuzione religiosa. Superato questo tornante, l’impegno sarà sempre meno avvertito e il contrasto avviene non più sull’ordinamento politico ma su alcuni principi, a cominciare dalla difesa della vita e dell’importanza fondamentale del matrimonio e della famiglia.